Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 13-01-2011) 05-05-2011, n. 17478 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 31/7/2010 il GIP del Tribunale di Caltagirone emetteva ordinanza cautelare in carcere nei confronti di P. G. (e del convivente D.F.S.), per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in relazione alla detenzione e cessione di droga fatta ad acquirenti presso la propria abitazione.

Le fonti di prova erano costituite da indagini di P.G., appostamenti e dichiarazioni dei tossicodipendenti acquirenti.

2. Con ordinanza del 20/8/2010 il Tribunale di Catania rigettava l’istanza di riesame avanzata dalla P..

Osservava il Tribunale che:

– i gravi indizi emergevano dalle dichiarazioni dei tossicodipendenti acquirenti L.R.F., T.A. e S. O., i quali avevano riferito di avere acquistato, poco prima del loro controllo da parte della P.G., la cocaina sequestrata da due persone e che essa materialmente era stata consegnata dalla P.;

– dal rinvenimento nell’abitazione degli indagati di altre dosi di cocaina e di materiale utile al confezionamento della sostanza (bilancino) e danaro costituito da banconote di vario taglio.

Quanto alle esigenze cautelari, esse emergevano dalla pericolosità manifestata dalla P. gravata da plurimi precedenti e carichi pendenti e che svolgeva la attività di spaccio in modo professionale.

3. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagata, lamentando:

3.1. la violazione di legge in relazione alla perquisizione svolta senza autorizzazione del P.M. e senza alcun avviso della possibilità di farsi assistere da un difensore;

3.2. il difetto di motivazione in ordine alla riconducibilità del fatto nell’alveo del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

3.3. il difetto di motivazione in ordine alla affermata sussistenza di esigenze cautelari, a fronte di precedenti e carichi pendenti riguardanti solo reati contro il patrimonio.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.

3.1. Preliminarmente va ricordato quali siano i limiti del sindacato della Corte di Cassazione in materia cautelare. In particolare è stato più volte ribadito che "l’ordinamento non conferisce alla Corte alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata richiesta l’applicazione delle misura cautelare e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è perciò circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, il cui possesso rende l’atto insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo dell’esposizione di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento" (Cass. 4, n. 2050/96, imp, Marseglia, rv. 206104).

Orbene, quanto ai gravi indizi, nel caso di specie, il Tribunale ha riportato le dichiarazioni degli acquirenti, le quali hanno trovato oggettivo riscontro nel reperimento di cocaina presso l’abitazione della imputata. Quanto alla lamentata illegittimità della perquisizione, va rilevato che:

– la polizia giudiziaria è legittimata a compiere, sulla base di notizie confidenzialmente od altre indagini, perquisizioni di iniziativa nel caso di sospetto di illecita detenzione di armi e sostanze stupefacenti, in forza del disposto del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 41, e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103;

– all’atto della perquisizione, nel verbale della Questura di Caltanissetta del 27/7/2010, ore 2.20, vi è l’avviso all’indagata della facoltà di assistenza difensiva ed è annotato il suo rifiuto;

– in ogni caso, la consolidata giurisprudenza di questa Corte ha statuito che "La perquisizione effettuata ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 103, comma 3, si differenzia da quella d’iniziativa della polizia giudiziaria disciplinata dal codice di rito per il fatto che non presuppone l’esistenza di una notizia di reato e rientra in un’attività di carattere preventivo, ma al pari di quella, seppure sia eseguita illegittimamente, non rende illegittimo l’eventuale sequestro della sostanza stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato, all’esito rinvenute" (ex plurimis, Cass. Sez. 4, Sentenza n. 26668 del 06/05/2009 Ud. (dep. 30/06/2009), Flisi, Rv.

244507; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 150 del 15/11/2005 Cc. (dep. 05/01/2006), D’Ambrosio, Rv. 232793).

Quanto alla possibilità di configurare l’attenuante del fatto di lieve entità, in ogni caso tale eventualità non inibisce la adozione e mantenimento della misura cautelare ed allo stato, valutata la reiterazione delle condotte, il giudice di merito coerentemente non ha ritenuto il fatto di minima lesività. 3.2. In ordine alla valutazione delle esigenze cautelari va ricordato che questa Corte di legittimità, con orientamento consolidato, ritiene che in tema di misure cautelari personali, il venir meno o l’attenuazione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dall’osservanza puntuale delle relative prescrizioni, dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all’inizio del trattamento cautelare (ex piunmis, cass. 4, 39531/06, imp. De Los, rv. 235391; conf., Cass. 2, 39785/07, imp. Poropat, rv. 238763). Nel caso di specie il Tribunale ha evidenziato come la reiterazione delle condotte (da parte di persona già pregiudicata) lasciava trasparire la "professionalità" dell’indagata nell’illecita attività, da cui si desumeva il pericolo della reiterazione delle condotte criminose in caso di adozione di una misura meno afflittiva, tenuto conto, peraltro, che la illecita attività era svolta in casa. Tali argomentazioni, coerenti e non manifestamente illogiche, rendono incensurabile in questa sede il provvedimento impugnato.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p. comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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