T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 09-05-2011, n. 3963

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone la ricorrente – associazione rappresentativa delle piccole e medie imprese del commercio e del settore artigiano su tutto il territorio nazionale – di aver presentato istanza per la designazione di un proprio componente in seno al CNEL (categoria dei lavoratori autonomi del settore artigiano), a fronte dell’avviso reso noto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ai fini del rinnovo dei componenti del predetto organismo per il quinquennio 2010 – 2015 ex art. 4 della legge 936/1986.

L’elenco dei nominativi designati dal Consiglio dei Ministri relativamente alla suindicata categoria (per un totale di cinque seggi) comprendeva due rappresentanti della CONFARTIGIANATO, ed uno ciascuno per le altre associazioni CNA, CASARTIGIANI E CLAAI.

Nel soggiungere di aver presentato ricorso al Presidente del Consiglio dei Ministri avverso tale designazione ai sensi dello stesso art. 4 della legge 936/1986, evidenzia la ricorrente come il proposto rimedio sia stato ritenuto inammissibile con decreto del Presidente della Repubblica in data 28 luglio 2010, notificato il successivo 13 ottobre.

Le censure proposte avverso gli atti come sopra gravati sono le seguenti:

1) Violazione e falsa applicazione del principio del pluralismo rappresentativo. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 della legge 936/1986. Eccesso di potere. Carenza di istruttoria. Erronea valutazione degli atti istruttori. Falsa rappresentazione dei fatti. Difetto dei presupposti. Ingiustizia ed illogicità manifeste. Carenza ed incongruità della motivazione.

Nel premettere come la composizione del CNEL sia disciplinata dall’art. 2 della legge 936/1986, evidenzia parte ricorrente che – ai fini dell’individuazione dei componenti espressione delle categorie produttive – il principio della rappresentatività debba essere necessariamente contemperato con il criterio del pluralismo rappresentativo, volto ad assicurare anche alle associazioni di minoranza una partecipazione alla gestione degli interessi delle categorie interessate.

Con specifico riferimento alla categoria dei lavoratori autonomi nel settore artigiano, l’applicazione dei suesposti principi avrebbe dovuto condurre all’attribuzione di un solo seggio (in luogo di due) a CONFARTIGIANATO ed al riconoscimento di un componente alla ricorrente CESAC, quantunque meno rappresentativa della prima a livello nazionale.

Nell’illustrare, sulla base della partecipazione alla stipula dei contratti collettivi di livello nazionale concernenti il settore artigiano, il possesso di uno specifico grado di rappresentatività in seno alla categoria interessata (ulteriormente comprovato dalla consistenza numerica degli iscritti e dall’articolazione della propria presenza sul territorio), rivendica CESAC la propria titolarità di un posto in seno al CNEL, conseguentemente argomentando l’illegittimità delle gravate determinazioni.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 5, della legge 936/1986. Eccesso di potere. Violazione del principio della par condicio. Ingiustizia ed illogicità manifesta. Erronea valutazione di atti istruttori. Carenza dell’istruttoria.

Nel ribadire quanto esposto sub 1), parte ricorrente soggiunge che l’interpretazione giurisprudenziale avrebbe affermato il diritto alla rappresentanza in ambito CNEL in favore di tutte le associazioni maggiormente rappresentative delle categorie produttive.

3) Eccesso di potere. Erronea valutazione di documenti. Erroneità dell’istruttoria. Ingiustizia ed illogicità manifesta. Incongruità manifesta.

Nel rilevare come, con decreto del Presidente della Repubblica 28 luglio 2010, sia stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto da CESAC ai sensi dell’art. 4 della legge 936/1986, per difetto di interesse a concorrere limitatamente al settore commercio nella categoria delle imprese, assume parte ricorrente l’illegittimità di tale atto ove suscettibile di essere omogeneamente interpretato anche con riferimento all’interesse alla ricorrente facente capo quanto al settore artigiani nella categoria dei lavoratori autonomi.

Conclude parte ricorrente insistendo per l’accoglimento del gravame, con conseguente annullamento degli atti oggetto di censura.

L’Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza delle esposte doglianze, invocando la reiezione dell’impugnativa.

Omogenee conclusioni sono state rassegnate da CONFARTIGIANATO, parimenti costituitasi in giudizio.

Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 6 aprile 2011.
Motivi della decisione

1. Prescrive il comma 1 dell’art. 2 della legge 30 dicembre 1986 n. 936 ("Norme sul Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro") che il CNEL "è composto di esperti e rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato e rappresentanti delle categorie produttive, in numero di centoventuno, oltre il presidente, secondo la seguente ripartizione:

I) dodici esperti, qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica, dei quali:

a) otto nominati dal Presidente della Repubblica;

b) quattro proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri;

Ibis) dieci rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni di volontariato dei quali, rispettivamente, cinque designati dall’Osservatorio nazionale dell’associazionismo e cinque designati dall’Osservatorio nazionale per il volontariato;

II) novantanove rappresentanti delle categorie produttive di beni e servizi nei settori pubblico e privato, dei quali quarantaquattro rappresentanti dei lavoratori dipendenti, diciotto rappresentanti dei lavoratori autonomi, trentasette rappresentanti delle imprese".

Il successivo art. 4, nel prevedere (comma 1) che "nove mesi prima della scadenza del mandato dei membri del Consiglio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dà avviso di tale scadenza e dei termini di cui al presente articolo, con pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale", soggiunge (comma 2) che "le organizzazioni sindacali di carattere nazionale, entro trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso nella Gazzetta Ufficiale, fanno pervenire alla Presidenza del Consiglio dei Ministri le designazioni dei rappresentanti delle categorie produttive di cui all’articolo 2".

Avverso l’elenco dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, formato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi del comma 3 del medesimo art. 4, è consentita la presentazione di ricorso amministrativo; nel quale (comma 5 dell’art. 4) "le organizzazioni sono tenute a fornire tutti gli elementi necessari dai quali si possa desumere il grado di rappresentatività, con particolare riguardo all’ampiezza e alla diffusione delle loro strutture organizzative, alla consistenza numerica, alla loro partecipazione effettiva alla formazione e alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro e alle composizioni delle controversie individuali e collettive di lavoro".

2. Il combinato disposto delle previsioni di cui ai riportati commi 2 e 5 dell’art. 4 della legge 936/1986 ha condotto la giurisprudenza a ritenere che il carattere nazionale dell’organizzazione sindacale costituisca requisito indispensabile per poter designare membri in capo al CNEL (Cons. Stato, sez. IV, 29 gennaio 2008 n. 237): rilevando per l’effetto, quali indici del possesso del suindicato requisito, gli elementi indicati dalla disposizione da ultimo richiamata (ampiezza e diffusione dell’organizzazione; consistenza numerica della stessa; partecipazione all’attività di formazione e stipulazione di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro; composizione di controversie individuali e collettive di lavoro).

Omogenee considerazioni sono state rassegnate da questa Sezione (sentenza 2 agosto 2006 n. 6839), osservandosi che:

– se l’art. 4, comma 2, attribuisce alle sole organizzazioni sindacali di "carattere nazionale" il potere di designazione di propri rappresentanti all’interno del C.N.E.L. (in linea, del resto, con il rango e l’efficacia territoriale che quest’ultimo assume nell’ordinamento, quale organo di rilevanza costituzionale)

– mentre il successivo comma 4 precisa che il grado di rappresentatività è correlato all’ampiezza ed alla diffusione delle strutture organizzative, alla consistenza numerica, alla partecipazione effettiva alla formazione ed alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro, nonché alla composizione delle controversie individuali o collettive di lavoro, he

allora le due disposizioni riportate "vanno interpretate congiuntamente, sicché "l’ampiezza e la diffusione" delle organizzazioni in parola va pur sempre riferita al "carattere nazionale", che assurge a necessario ed ineludibile parametro di riferimento in sede di distribuzione dei posti di rappresentante all’interno del C.N.E.L.".

Va peraltro rilevato che l’elaborazione giurisprudenziale si è data carico di integrare il criterio della maggiore rappresentatività con il criterio "pluralistico", chiarendo, in particolare, che è legittima l’assegnazione di un seggio a un’associazione (pur) minoritaria, la quale sia (tuttavia) dotata di una "certa rappresentatività" della categoria; ed affermando che, una volta accertata l’esistenza di una obiettiva consistenza dell’associazione minoritaria che ne evidenzi comunque una capacità rappresentativa, "il principio di partecipazione pluralistica impone che venga riconosciuto il diritto dell’associazione medesima di designare un proprio rappresentante… anche se ciò comporti, nei rapporti tra le varie associazioni, una deroga al principio della potenziale proporzionalità".

Ciò in quanto "la misura della rappresentatività e l’intensità del grado di espressività degli interessi non sono da assumere in funzione del solo dato quantitativo, ma anche in base alla specialità, qualità e rilevanza degli interessi collettivi espressi" (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 1987 n. 1486; 10 luglio 1989 n. 846; 12 febbraio 1993 n.159; 3 giugno 1996 n. 767).

Tale orientamento giurisprudenziale, che presenta profili di persuasiva coerenza rispetto all’esigenza – come sopra esposta – di assicurare la più ampia partecipazione delle organizzazioni di rappresentanza sindacale agli organismi nei quali le medesime siano, come nella fattispecie all’esame, chiamate a designare propri componenti, merita peraltro di essere precisato con riferimento alle evenienze che possono venire in considerazione in relazione al numero dei posti suscettibili di assegnazione.

Tre, in particolare, le evenienze ipotizzabili.

In primo luogo, è possibile che il numero dei posti sia inferiore rispetto a quello delle organizzazioni aspiranti alla nomina di propri componenti.

In tale caso, inevitabilmente verrà in considerazione il criterio della maggiore rappresentatività – necessariamente contemperato con il complesso di indici rilevanti quanto alla fattispecie all’esame, per come precisati dalla sopra riportata disposizione di legge – con conseguente individuazione, nel novero delle organizzazioni "maggiormente rappresentative", di quelle (fra esse) "più rappresentative".

Se, ex converso, non si pone alcun problema di carattere interpretativo laddove il numero dei seggi sia pari a quello delle organizzazione aspiranti, evidentemente diverso è il caso in cui il primo sia superiore rispetto alle seconde.

Viene, infatti, necessariamente a configurarsi un numero "residuo" di posti che, di seguito all’assegnazione di un seggio per ciascuna organizzazione "maggiormente rappresentativa", è ulteriormente suscettibile di attribuzione in ragione dell’eccedenza dei seggi rispetto a queste ultime.

In tal caso, ritiene il Collegio che la concreta attuazione del principio pluralistico anzidetto esige la ripartizione dei seggi in modo da assicurare la più estesa presenza delle organizzazioni maggiormente rappresentative.

In altri termini, nell’ambito di un organo a composizione rappresentativa e nella disponibilità di un sufficiente numero di seggi da ripartire, il contemperamento del principio di pluralità con quello di proporzionalità postula la compresenza nell’organo anche di organizzazioni dotate di minore rappresentatività sul piano dei coefficienti numerici, specie allorché dette organizzazioni operino in specifici e peculiari settori di attività economica che altrimenti risulterebbero prive di rappresentanza.

Il principio proporzionale, che tiene conto della presenza di una certa categoria nell’ambito territoriale, deve dunque essere adeguatamente contemperato con il principio pluralistico, volto ad attribuire rilievo agli interessi categoriali nelle loro differenziate composizioni; giacché, diversamente, alla pluralità della rappresentanza non rimarrebbe altro senso se non quello meramente occupazionale dei componenti dell’organo, contro la più elementare razionalità organizzativa legata anche al maggiore grado di rappresentanza delle diverse componenti socio economiche nazionali (cfr., in termini, Cons. Stato, sez. VI, 7 marzo 2007 n. 1067).

Per quanto superfluo, va tuttavia (conclusivamente sul punto) ribadito che la concreta operatività del principio di proporzionalità (al fine dell’individuazione delle organizzazione nei confronti delle quali operare la ripartizione dei posti disponibili) viene in considerazione esclusivamente in presenza della (presupposta, quanto necessaria) ricognizione del carattere di "maggiore rappresentatività": atteggiandosi tale modalità di distribuzione esclusivamente quale criterio (volto ad assicurare la più ampia partecipazione delle organizzazioni di categoria) subordinato alla accertata qualificabilità delle stesse quali "maggiormente rappresentative".

3. L’applicazione dei suesposti principi non consente, peraltro, di apprezzare positivamente le doglianze dalla parte ricorrente esposte con il presente mezzo di tutela: e ciò in quanto CESAC – pur ribadita la piena operatività del principio di proporzionalità nell’individuazione delle organizzazioni di categoria nei confronti delle quali operare la ripartizione dei seggi disponibili – non appare positivamente individuabile quale organizzazione dotata di "maggiore rappresentatività".

CESAC lamenta – come illustrato in narrativa – l’illegittimità degli atti che hanno dato luogo alla composizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro con riferimento alla categoria lavoratori autonomi nel settore degli artigiani, in quanto sarebbero stati attribuiti a CONFARTIGIANATO due seggi (su un totale di cinque disponibili), in luogo uno solo, che avrebbe dovuto invece essere riconosciuto in favore della stessa CESAC.

Tale doglianza (esposta con il primo degli articolati argomenti di censura) è infondata.

Come in precedenza osservato, il chiaro contenuto delle disposizioni di cui all’art. 4 della legge 936/1986, per come condivisibilmente interpretato dalla giurisprudenza, impone la riscontrabilità, in capo al soggetto che reclami la spettanza di un seggio in seno al Comitato, di tutti gli indici rivelatori della rappresentatività.

CESAC, come reso palese dalla istruttoria condotta dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (nota prot. 01/Gab/5674/1.37 del 26 maggio 2010), non rivela elementi suscettibili di consentirne una qualificazione come organizzazione "maggiormente rappresentativa" in ragione:

– di una diffusione delle strutture organizzative non estesa all’intero territorio nazionale o a parte consistente di esso, non essendo presente in sei regioni ed essendo dotata di una ventina di sedi provinciali;

– della partecipazione ad una non estesa attività di formazione e stipulazione di contratti o accordi collettivi di lavoro;

– della mancata composizione di controversie di lavoro;

– di un numero di iscritti largamente inferiore rispetto a quello vantata da CONFARTIGIANATO (come del resto dalla stessa CESAC riconosciuto: cfr. pag. 9 dell’atto introduttivo del giudizio).

Va quindi escluso che parte ricorrente sia in possesso di una ("maggiore") rappresentatività (per come integrata dalla presenza degli indici normativamente fissati dall’art. 4 della legge 936/1986), tale da legittimarla all’assegnazione di un seggio nella categoria dei lavori autonomi nel settore degli artigiani.

4. Va poi ribadito – quanto ai rimanenti argomenti di censura – che, ai fini della composizione del CNEL, trovano applicazione sia il principio pluralistico (assegnazione di seggi a diverse organizzazioni sindacali), che il principio proporzionale (per effetto del quale alle associazioni sindacali maggiormente rappresentative devono essere assegnati seggi in numero superiore rispetto a quelle meno rappresentative).

A fronte della maggiore rappresentatività riconoscibile in capo a CONFARTIGIANATO, rispetto alle altre organizzazioni (in quanto associazione sindacale con maggiore ampiezza e diffusione delle strutture organizzative su tutto il territorio nazionale; dotata di una consistenza numerica degli iscritti senza dubbio largamente superiore; e, da ultimo, maggiormente rappresentativa nella formazione e nella stipulazione dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ed ai fini della composizione delle controversie di lavoro), viene in considerazione la carente dimostrazione, ad opera dell’odierna ricorrente, del "peso" concretamente assunto dalla propria specifica rappresentatività nel settore in questione, suscettibile di qualificarne la posizione pretensiva fatta valere in giudizio con carattere di preferibilità rispetto alle associazioni sindacali assegnatarie dei seggi.

Deve quindi ritenersi che la ripartizione dei seggi in seno al CNEL, ad opera della procedente Amministrazione, sia intervenuta in corretta attuazione del principio di proporzionalità, mediante assegnazione:

– di due seggi in favore della maggiormente rappresentativa CONFARTIGIANATO;

– e di un seggio ciascuno nei confronti di organizzazioni sindacali, pur meno rappresentative rispetto alla prima, ma, comunque, attributarie di un "grado" di rappresentatività poziore rispetto a quello riconoscibile in capo alla ricorrente CESAC.

5. Se, alla stregua di quanto precedentemente esposto, i primi due argomenti di censura non si prestano a giuridica condivisione, va invece dato atto della inammissibilità del terzo motivo di gravame, per evidente carenza di interesse.

Come illustrato in narrativa, parte ricorrente assume infatti l’illegittimità del decreto presidenziale in data 28 luglio 2010 – recante declaratoria di inammissibilità del rimedio amministrativo da CESAC proposto ai sensi dell’art. 4 della legge 936/1986 (in ragione del difetto di interesse della ricorrente a concorrere per l’attribuzione di seggi nel settore commercio della categoria delle imprese) – ove suscettibile di essere omogeneamente interpretato anche con riferimento all’interesse in capo alla ricorrente riconoscibile per il settore artigiani nella categoria dei lavoratori autonomi.

Va infatti osservato come la ricorrente medesima ha presentato (in data 19 novembre 2009) domanda di partecipazione al procedimento di nomina dei rappresentanti sindacali in seno al CNEL esclusivamente per la rappresentanza dei lavoratori autonomi del settore artigiano, di cui alla lett. b) del comma 3 dell’art. 2 della legge 936/1986.

Con il ricorso amministrativo precedentemente indicato, CESAC ha lamentato la propria esclusione soltanto per il settore "commercio e turismo" della categoria imprese: da ciò derivando la pronuncia di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, atteso che – come si è visto – la candidatura della ricorrente riguardava il diverso settore "artigiani".

Da ciò trova conferma l’anticipato giudizio di inammissibilità del terzo motivo di impugnazione per difetto di interesse, avuto riguardo alla rilevabile carenza, in capo alla ricorrente, di utilità alcuna riveniente dall’accoglimento della censura de qua, in ragione la diversità del settore per il quale CESAC ha proposto candidatura rispetto a quello oggetto del gravame amministrativo (commercio e turismo).

6. Le considerazioni precedentemente esplicitate impongono di dare atto dell’inaccoglibilità delle proposte censure, alla quale accede la reiezione del gravame.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Condanna la ricorrente Confederazione Europea dei Sindacati Autonomi del Commercio – CESAC, in persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese di giudizio in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri e di CONFARTIGIANATO, entrambi costituitesi in giudizio, in ragione di Euro 1.000,00 (euro mille/00) per ciascuna delle anzidette parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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