Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2011, n. 17805 contratto

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Svolgimento del processo

Nell’aprile del 1996 l’Autocarrozzeria Varenna s.n.c. conveniva in giudizio,innanzi al Tribunale di Genova, T.I. per sentirla condannare al pagamento della somma di L. 5.436.616, a saldo delle fatture n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), per lavori eseguiti sull’autovettura di proprietà della T., rimasta danneggiata a seguito di due sinistri stradali. La convenuta, costituitasi, assumeva che si era accordata con l’attrice nel senso che l’autocarrozzeria avrebbe effettuato le riparazioni dell’auto per un compenso pari a quello che sarebbe stato riconosciuto dalle Compagnie di Assicurazione, oltre a L. 650.000 per le riparazioni alle parti meccaniche.

Con sentenza del 22.7.1999 il Tribunale condannava la T. a corrispondere la somma di L. 2.280.191 oltre accessori (in corso di causa era stata emessa ordinanza, ex art. 186 bis c.p.c., di condanna della convenuta al pagamento di L. 3.156.425).

Avverso tale decisione la T. proponeva appello cui resisteva l’Autocarrozzeria.

Con sentenza 22.4.2005 la Corte di Appello di Genova, ammesse le prove orali, rigettava la domanda dell’Autocarrozzeria Varenna, dichiarando che alla stessa nulla doveva la T. e condannava l’appellata al pagamento delle spese di lite.

Tale decisione era impugnata con ricorso per cassazione dall’Autocarrozzeria Varenna sulla base di tre motivi.

Resisteva con controricorso T.I. depositando memoria illustrativa.
Motivi della decisione

La ricorrente denuncia:

1) nullità della sentenza per error in procedendo; violazione degli artt. 112, 329, comma 2 e art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

La Corte di merito, a fronte della contestazione della T. di non dover corrispondere l’importo corrispondente a quanto non ricevuto dall’assicurazione e che riguardava una franchigia di L. 1.000.000,era incorsa nel vizio di ultrapetizione, avendo rigettato integralmente la domanda dell’attrice;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’art. 115 c.p.c., comma 2; difetto di motivazione e/o comunque motivazione insufficiente e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e 5;

la Corte territoriale, dopo aver richiamato le osservazioni del primo giudice sull’inverosimiglianza in astratto di una pattuizione che rendeva aleatoria la percezione di un compenso per un servizio reso, aveva, contraddittoriamente, riformato la sentenza di primo grado solo sulla base delle prove orali, erroneamente valutando gli elementi probatori acquisiti, quanto alla individuazione e delimitazione della pattuizione intercorsa fra le parti; la Corte di Appello aveva attribuito rilevanza esclusiva alle dichiarazioni dei testi disattendendo il fatto notorio secondo cui, in presenza di una franchigia, l’assicurazione avrebbe corrisposto un importo inferiore al dovuto; 3) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2721, 2727 e 2729 c.c. con riferimento all’art. 116 c.p.c.; omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5;

la Corte di Appello aveva fondato la decisione esclusivamente sulle prove testimoniale, omettendo di esaminare gli altri elementi probatori, quali l’emissione di regolari fatture mai contestate dalla T.; il versamento, da parte della stessa, della somma non contestata, pari a L. 3.156.425, solo a seguito di ordinanza ex art. 186 bis c.p.c.; il riferimento dei testi alla sola fattura n. 35 e non a quella successiva (n. 45), trattandosi di lavori eseguiti in tempi diversi.

Il primo motivo di ricorso è infondato.

Non è dato ravvisare, infatti, alcun vizio di ultrapetizione,avuto riguardo alle conclusioni precisate dall’Autocarrozzeria Varenna all’udienza del 27.1.2005 ove si chiedeva il pagamento della residua somma di L. 2.280.191, somma per la quale risulta emessa la sentenza di condanna della T. in primo grado e di cui l’Autocarrozzeria chiedeva la conferma "in ogni suo punto", con rigetto dell’appello.

Il riferimento, nel dispositivo della sentenza impugnata, alla reiezione della domanda proposta con l’atto di citazione deve, logicamente, essere correlata alla modificazione della domanda da parte dell’attore, come riportata nelle conclusioni suddette sicchè, rispetto al "petitum" dedotto in primo grado e devoluto in appello, non sussiste alcun vizio di ultrapetizione.

Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi ed attinenti entrambi al vizio di motivazione sulla valutazione delle prove, sono del pari infondati.

Al riguardo si osserva che le censure, se pure titolate come vizi di motivazione e come violazione di norme di diritto, si risolvono in una diversa valutazione delle risultanze probatorie e del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, stante una motivazione sul punto esente da vizi logici ed errori di diritto.

Spetta, infatti, solo al giudice di merito valutare le prove, controllarne l’attendibilità e scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Peraltro, nel giudizio di legittimità il ricorrente, ove deduca il difetto o l’erronea valutazione delle risultanze probatorie, in osservanza del principio di autosufficienza esaminate o del ricorso, oltre ad indicare il contenuto delle prove non correttamente esaminate o non esaminate, deve indicare le ragioni del carattere decisivo del lamentato errore di valutazione, così da consentire alla Corte di Cassazione di verificare il carattere decisivo del mancato od erroneo esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione e che avrebbero portato ad una decisione diversa della controversia. Sotto tale profilo le censure sub 2) e 3) sono carenti, ed il "fatto notorio" cui si fa riferimento (inverosimiglianza di una pattuizione che rendeva del tutto aleatoria la percezione di un compenso per un servizio reso) non può, comunque, qualificarsi in tal senso, tenuto conto della specifica pattuizione sul compenso dovuto, come invocata dalla resistente e che il giudice di appello ha ritenuto provata anche sulla base delle prove testimoniali assunte.

Il ricorso, alla stregua di quanto osservato, va rigettato.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.300,00 di cui Euro 200,00 per spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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