Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-02-2011) 06-05-2011, n. 17805 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte D’Appello di Venezia con sentenza depositata il 15/3/2010 ha confermato la sentenza emessa in data 26/5/2009 dal GIP del Tribunale di Padova, all’esito di rito abbreviato, che ha condannato Z. A., all’esito del giudizio di bilanciamento ex art. 69 e 133 c.p. in termini di equivalenza tra le attenuanti generiche e aggravanti contestate, alla pena di anni quattro e mesi due di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, nn. 2) e 4), art. 609 octies c.p. e artt. 110, 605 c.p., art. 61 c.p., n. 2, in danno di G.I.M.F., fatti commessi in (OMISSIS). I giudici avevano riconosciuto la partecipazione paritaria degli imputati: lo Z., unitamente allo J. suo collega di lavoro, con la propria autovettura di notte aveva abbordato la persona offesa mentre esercitava la prostituzione fingendo di essere solo (in quanto il complice si era nascosto nel sedile posteriore dell’auto), poi il complice con la minaccia di una pistola semiautomatica privata del tappo rosso l’aveva costretta a salire a bordo e, dopo averla sequestrata e condotta in un luogo appartato, il complice l’aveva violentata da tergo e lo Z. l’aveva costretta, con modalità violente, strappandole la maglietta ed afferrandola per i capelli, a praticargli un rapporto orale senza indossare il preservativo.

Successivamente i due avevano costretto la persona offesa a recarsi presso l’abitazione in uso al complice J., ivi trattenendola contro la sua volontà per circa due ore. L’imputato ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, o in subordine con rinvio, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in riferimento agli artt. 69 e 133 c.p. e degli artt. 3, 24 e 27 Cost. e, in ogni caso, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

Innanzitutto viene ribadito nel ricorso che già con l’atto di appello era stato censurato l’errato giudizio di equivalenza tra le concesse attenuanti generiche e le contestate aggravanti, attesa la minore gravità della condotta delittuosa ascrivibile al ricorrente che all’epoca dei fatti era appena ventenne, non aveva precedenti e conduceva una vita familiare, lavorativa e sociale ineccepibile. Il Tribunale aveva riconosciuto che la condotta posta in essere dal concorrente J.R.M. era stata particolarmente violenta in quanto realizzata con l’uso dell’arma, impiegata per minacciare e colpire al capo ed alle braccia la persona offesa. Quindi sia l’aggravante dell’uso della violenza e dell’arma, sia le modalità del sequestro di persona sarebbero ascrivibili prevalentemente, se non esclusivamente, al concorrente J.. Non sussisterebbe una concreta capacità a delinquere dello Z. che sarebbe stato rieducato dalla sottoposizione agli arresti domiciliari ed al processo: il fatto sarebbe accaduto in quanto egli si sarebbe fatto influenzare dall’amico, il quale Avrebbe sostanzialmente diretto la condotta delittuosa. Inoltre i giudici di merito avevano dato atto del comportamento collaborativo dello stesso e quindi risulterebbe equo il giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti, prevalenza negata dalla Corte di appello con un ragionamento illogico, che ha ritenuto non lineare la scelta collaborativa dell’imputato che si sarebbe limitato ad accusare J., "cercando sempre di escludere o sminuire la propria partecipazione al reato, dapprima addirittura negando (davanti al GIP) il rapporto orale con la vittima e poi allegandone (davanti al PM) una inverosimile natura consenziente ". Invero i giudici non avrebbero esaminato tutti gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. ai fini del giudizio di bilanciamento già richiamati nei motivi di appello: il ricorrente è estraneo alla protrazione del sequestro della vittima nell’appartamento, riconducibile solo allo Ja., come risulterebbe confermato anche dal teste F. al quale lo Ja. richiese un passaggio in auto (richiesta che sarebbe stata inutile se lo Z., che aveva il possesso dell’auto paterna, fosse ancora rimasto in compagnia dello Ja.). Nonostante abbia ritenuto la condotta del concorrente J.R.M. indice di gravi capacità criminali, con motivazione contraddittoria la sentenza impugnata ha attribuito allo Z.A. una partecipazione paritaria e una voluntas sceleris e capacità criminale non inferiore a quella del complice. Per tali motivi si ritiene che la pena possa essere ridotta a due anni e dieci mesi di reclusione.
Motivi della decisione

Osserva la Corte che il ricorso è manifestamente infondato. Sia la censura relativa alla violazione di legge in riferimento all’applicazione degli artt. 69 e 133 c.p., che quella afferente il vizio di motivazione risultano palesemente infondate, in quanto le stesse finiscono per suggerire una nuova valutazione circa i criteri che il giudice della sentenza impugnata ha posto a base della dosimetria della pena, confermato il giudizio di equivalenza tra le contestate aggravanti e le riconosciute circostanze attenuanti generiche: tali criteri sono stati trasfusi dai giudici di merito in una precisa trama argomentativa, immune da vizi di logicità, oltre che perfettamente aderente alle risultanze acquisite.

Infatti in sede di legittimità non è possibile svolgere un nuovo giudizio sui fatti, ricostruendoli secondo modelli valutativi di maggiore favore rispetto a quelli adottati dai giudici di appello, i quali con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del proprio convincimento. In particolare non è possibile in questa sede valutare nuovamente gli elementi agli atti del processo al fine di attribuire un ruolo marginale nella vicenda al ricorrente, quando invece la sentenza impugnata ha riconosciuto il ruolo pressocchè paritario tra i due autori della violenza di gruppo, fondandole sulle modalità dell’approccio con la persona offesa, sulla minaccia con l’arma posta in essere per sequestrare la stessa in auto e sulle condotte violente di esecuzione dei rapporti sessuali perpetrate da ciascuno dei compartecipi. Nella valutazione dei fatti i giudici hanno sottolineato il ruolo specificamente attivo dello Z., che non solo ebbe a discutere con il complice su chi dovesse per primo abusare sessualmente della vittima, ma non esitò ad intimidire la stessa dopo la violenza. Nè Questo Collegio può rivisitare la valutazione circa il comportamento processuale del ricorrente, così esaustivamente descritta nella sentenza impugnata, che ha anche precisato che il minor contributo dello Z. nel successivo sequestro di persona posto in essere anche nell’abitazione dello J. è stato considerato dal giudice di prime cure mediante il contenimento dell’aumento di pena stabilito per tale reato satellite rispetto a quelli di violenza sessuale.

Il presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e a ciò consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p. e al pagamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro mille/00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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