Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-02-2011) 06-05-2011, n. 17706 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 25 novembre 2009, della Corte d’assise d’appello di Napoli, con cui è stata parzialmente confermata la condanna della Corte d’assise di Napoli in data 4 luglio 2008, per i reati di omicidio volontario e porto e detenzione di arma e chiedendone l’annullamento, lamenta:

a) Nullità della sentenza per omessa motivazione sul quantum devolutum, in riferimento all’art. 603 c.p.p., anche per travisamento del fatto.

Il ricorrente lamenta il mancato accoglimento in appello della richiesta di ispezione dei luoghi e dell’esperimento giudiziario, tesa a verificare l’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti nonchè delle deposizioni testimoniali rese dal teste M. e la reale ubicazione della postazione del coimputato P., esecutore materiale del delitto. A tal fine sarebbe erroneo il riferimento alle dichiarazioni dei verbalizzanti in base alle quali non sarebbe possibile dedurre esattamente la distanza tra il luogo ove si trovava il B., al momento in cui venne avvisato dell’uscita del R. e la località ove venne consumato l’omicidio. b) Nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 65, 178 lett. C in relazione all’art. 521 c.p.p. e segg..

Il ricorrente censura la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in quanto in realtà la vittima sarebbe stata attinta da tre colpi anzichè due; verosimilmente vi sarebbe stato il concorso anche di altri soggetti non imputati, in ordine ai quali le indagini non sarebbero state espletate. In particolare sarebbe stato omesso di verificare correttamente la posizione di tale A.. La formula inesatta del capo d’imputazione a carico del B. si sarebbe risolta dapprima in una violazione del diritto di difesa e poi in un vizio di correlazione tra accusa e sentenza. c) Nullità della sentenza per violazione delle norme di cui agli artt. 210, 498, 499, in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c) Inutilizzabilità delle dichiarazioni di A.V..

Il ricorrente lamenta di non aver prestato il consenso all’acquisizione dei verbali relativi al processo celebrato nei confronti del P., ma di aver formulato esclusivamente una richiesta di acquisizione di prove a discarico. In ogni caso il comportamento dell’ A. che si rifiutò di rispondere non avrebbe consentito l’acquisizione di precedenti dichiarazioni. d) Nullità della sentenza per violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3 anche sotto il profilo del travisamento del fatto, in relazione all’art. 606 c.p.p. Il ricorrente censura la erronea applicazione del principio della convergenza del molteplice. Non sarebbe stata adeguatamente valutata l’attendibilità intrinseca del coimputato P. e sarebbe stata erroneamente valutata la sentenza emessa nei confronti dell’ A., anche per quanto riguarda la chiamata in correità, arrivando a sostenere la presenza di una doppia causale, quella della gelosia e quella camorristica, in contraddizione con i fatti contestati allo stesso A.. e) Nullità della sentenza nella parte in cui ritiene la qualità di testimone del M.C., in violazione delle norme di cui all’art. 210 c.p.p. in relazione agli artt. 372-376 c.p. Il ricorrente censura il riconoscimento della qualità di testimone al M.. f) Nullità della sentenza sotto il profilo della valutazione Si dell’attendibilità intrinseca per illogicità ed omissione della motivazione.

Secondo il ricorrente la deposizione del M. doveva essere acquisita ai sensi dell’art. 210 c.p.p. in quanto lo stesso era indiziato del reato di falsa testimonianza, in un altro processo concernente lo stesso fatto. Nè l’attendibilità del teste poteva essere recuperata riconoscendo allo stesso uno "stato di necessità" presunto ma non dimostrato. g) Nullità della sentenza per violazione di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 anche per violazione del principio della convergenza del molteplice.

Il ricorrente lamenta che la ricostruzione dei fatti contrasterebbe con le dichiarazioni di A., M. e dello stesso P..

Non vi sarebbe stata una valutazione unitaria e complessiva del fatto, nè una corretta valutazioni delle deposizioni dei testi indicati dalla difesa. h) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e per vizio logico della motivazione e/o mera apparenza della stessa.

Il ricorrente censura la motivazione alternativa fornita dalla Corte in ordine al contrasto tra le deposizioni dell’ A. e del P., riconoscendo la causale della paura all’origine delle dichiarazioni dell’ A., che in realtà ha mentito. i) Nullità della sentenza per violazione del giudicato penale in riferimento all’affermazione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed in ogni caso per violazione della norma di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) per vizio logico della motivazione su questa parte.

Il ricorrente lamenta il contrasto di giudicati in relazione alla sussistenza dell’aggravante contestata che è stata riconosciuta sussistente a suo carico e insussistente nei confronti dell’ A.. j) Nullità della sentenza nella parte motivazionale in cui ritiene inattendibile l’alibi del B..

Il ricorrente lamenta l’erroneità della motivazione in ordine alla genericità dell’alibi presentato, in contrasto con le acquisizioni testimoniali e documentali. k) Nullità della sentenza per omessa motivazione sulla richiesta di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante contestata.

Il ricorrente contesta la genericità della motivazione sul punto.

All’odierna udienza è pervenuta una richiesta di rinvio dell’avv.to Iossa, di fiducia del ricorrente, giustificata sulla base di un improvviso malore, che la Corte ha respinto in quanto assolutamente generica.

Il ricorso è manifestamente infondato.

In via generale osserva la Corte che nella sentenza risultano affrontate tutte le questioni dedotte nel ricorso e che peraltro erano già state proposte in appello.

Peraltro, ritiene il collegio che nel ricorso per cassazione contro la sentenza di appello non può essere riproposta – ferma restando la sua deducibilità o rilevabilità "ex officio" in ogni stato e grado del procedimento – una questione che aveva formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è già pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico – giuridici, come è avvenuto nel caso di specie. Ne deriva, in ipotesi di riproposizione di una delle dette questioni con ricorso per cassazione, che la impugnazione deve essere dichiarata inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, ultima parte". (Cass. pen., sez 6, 25.1.94, Paolicelli, C.E.D. cass., n. 197748). Sulla base di queste premesse, passando all’esame dei singoli motivi di ricorso ritiene la Corte che, per quanto riguarda il motivo di cui alla lettera a), in apparenza si deducono vizi della motivazione ma, in realtà si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente; si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, CED 229369; SU n 12/2000, Jakani, C.E.D. cass., n. 216260). La Corte ha risposto in modo esauriente e privo dì carenze logico giuridiche alle richieste istruttorie avanzate, relative alla ispezione dei luoghi e al connesso esperimento giudiziario, dimostrando l’assenza di indispensabilità delle richieste stesse, in base alla descrizione ottenuta a seguito degli esami testimoniali esperiti già in primo grado (si veda sul punto la motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla puntuale ed analitica valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni di A. e P. e del teste M., anche in relazione alla correttezza della sua qualificazione processuale (pag. 20 e 21 della sentenza d’appello) oltre quelle degli altri collaboratori di giustizia e degli altri testi,) e alle concrete modalità di svolgimento dei fatti (si veda il richiamo al percorso seguito per raggiungere il luogo del delitto da parte degli aggressori pagg. 42 e ss.). L’attendibilità intrinseca ed estrinseca vagliata dalle Corti di merito in relazione alle dichiarazioni dei chiamanti in correità e alle deposizioni testimoniali esaminate consentono di apprezzare la coerenza logica del giudizio di responsabilità formulato nei confronti del B., sia per quanto riguarda la decisione di compiere l’omicidio, che le modalità di svolgimento dell’azione in relazione al luogo prescelto, l’individuazione dei partecipanti, l’acquisizione delle armi e il ruolo svolto dallo stesso B., e, infine, le modalità successive della fuga e la causale del delitto.

In relazione al motivo indicato alla lettera b) deve sottolinearsi come la diversa entità del numero dei colpi originariamente contestata è stata correttamente ritenuta priva dì influenza in ordine al corretto esercizio del diritto difesa, non essendovi stata alcuna mutazione radicale del fatto nei suoi elementi essenziali. La violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza è stato correttamente ritenuto insussistente dalla giurisprudenza nei casi in cui l’imputato nel corso del processo, abbia avuto la possibilità concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione, anche con riferimento alle modalità operative della condotta, come è avvenuto nel caso in esame (v. SS.UU., 22 ottobre 1996, C.E.D. cass., n. 205619; SS.U.U., 15 luglio 2010, n. 36551 C.E.D. cass., n.. 248051).

In base al principio di diritto enunciato in precedenza, con riferimento alla riproposizione delle questioni già affrontate in grado d’appello, deve ritenersi assolutamente infondato il motivo di cui alla lettera e), che ha trovato puntuale risposta nella sentenza impugnata, sia in relazione alla ricostruzione processuale dell’utilizzazione delle dichiarazioni dell’ A. che con riferimento ai principi di diritto applicati (v. pag. 12 e 13 della sentenza), anche in base alla circostanza che la stessa difesa ha potuto svolgere il rituale controesame all’udienza del 18 aprile 2008.

Il ricorso è inoltre privo, almeno per quanto riguarda i motivi di cui alla lettera d), e), f), g), h) della specificità, prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 591 c.p.p., lett. c), a fronte delle motivazioni svolte dal giudice d’appello, che non risultano viziate da illogicità.

Questa Corte ha stabilito che "La mancanza nell’atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall’art. 581 cod. proc. pen. – compreso quello della specificità dei motivi- rende l’atto medesimo inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre, quindi, quegli effetti cui si ricollega la possibilità di emettere una pronuncia diversa dalla dichiarazione di inammissibilità". (Cass. pen., sez 1, 22.4.97, Pace, CED 207648; v. anche SS.UU, 22 marzo 2005, n. 23428, C.E.D. cass., n. 231164).

In ogni caso osserva il collegio che in apparenza si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, per tutti i motivi, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente;

si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi dì diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; e la già richiamata SS.UU. 31 maggio 2000, n. 12,Jakani, C.E.D. cass., n. 216260), come dimostra il corretto riferimento all’assenza di qualsiasi elemento da cui dedurre la sussistenza di un intento calunniatorio e autocalunniatorio da parte dell’ A., la cui credibilità è stata già oggetto di un approfondito vaglio processuale, in sede parallela, in occasione del procedimento svolto a suo carico con il rito abbreviato e conclusosi con una condanna (v. p. 15 della sentenza impugnata).

Mutatis mutandis analoghe considerazioni possono essere fatte in ordine alla dedotta inattendibilità delle dichiarazioni rese dal P., divenuto collaborante successivamente alla sua condanna, e del teste M. ( si vedano le attente e puntuali valutazioni della Corte d’assise d’appello nella sentenza a p. 17,18, 19 e 20).

Appare assolutamente infondata la censura rivolta in ordine alla corretta applicazione del principio della convergenza del molteplice sollevato dalla difesa. In realtà i giudici di merito hanno fatto corretta applicazione critica delle dichiarazioni dei collaboranti e delle testimonianze acquisite secondo i parametri della spontaneità, della reiterazione, della costanza, della determinatezza, precisione e coerenza logica, facendo riferimento per A. al timore della ritorsione da parte dei parenti della vittima per giustificare la decisione della collaborazione, iniziata con una spontanea consegna alle forze dell’ordine, e al comportamento processuale tenuto, in cui ha confermato costantemente le sue affermazioni (v. pagg. da 31 a 37 della sentenza d’appello); del P., che iniziando a collaborare dopo la sentenza di primo grado pronunciata a suo carico, ha reso dichiarazioni coerenti con gli elementi probatori già acquisiti nel presente procedimento e che vanno ad incastrarsi correttamente con i dati riferiti Dall’ A., anche grazie alle indicazioni interpretative fornite in ordine al contenuto delle intercettazioni telefoniche che lo riguardavano direttamente. Allo stesso modo appare chiara la ragione dell’incremento della qualità testimoniale del M., a sei anni di distanza dall’omicidio in relazione alle possibili ritorsioni nei suoi confronti da parte dei responsabili dell’omicidio del cugino, nell’immediatezza del fatto. Dopo il suo arresto, per fatti autonomi e diversi da quello oggetto del presente procedimento, lo stesso iniziò un percorso di collaborazione, acquisendo la posizione del testimone nel processo, riconosciutogli dalla stessa difesa del B., nonostante la circostanza costituisca una delle censure contenute nei motivi di ricorso (v. sentenza d’appello pag. 47), con una qualità della testimonianza ritenuta pienamente affidabile in base ai parametri sopra evidenziati, e che non risulta intaccata dalla sostanziale genericità delle censure del ricorrente. La versione alternativa dei fatti o meglio le incongruenze nelle dichiarazioni dei tre soggetti esaminati, non raggiungono mai, secondo il giudizio dei giudici di merito, che la Corte ritiene debba essere condiviso, in base alle valutazioni sopra ricordate, un grado di concretezza tale da intaccare la sostanziale coerenza degli elementi ricostruiti in base ai dati istruttori acquisiti, che hanno portato alla declaratoria di responsabilità del B. (si vedano le coerenti ed attente valutazioni operate dalla Corte d’appello a pagg. 51 e ss. della sentenza), essendo stati conseguiti elementi concreti in ordine alla sua partecipazione alla genesi della decisione, sulla partecipazione alla fase preparatoria del delitto, sugli accordi di protezione, sulla fase esecutiva e su quella immediatamente successiva all’azione omicidiaria (v. p. 56 della sentenza d’appello).

Allo stesso modo, infine , devono ritenersi manifestamente infondati i motivi dedotti ai capi i),j), k).

Per quanto riguarda l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 la Corte ha fornito un’esauriente spiegazione in ordine alle ragioni in base alle quali è stata affermata la sua sussistenza, in apparente contrasto con precedenti giudicati, in particolare quello relativo al P.. In realtà gli elementi probatori acquisiti nel corso del tempo, anche attraverso i diversi dibattimenti, hanno portato a chiarire esattamente la sussistenza di una contrapposizione tra gruppi camorristici, oltre che la presenza di un movente di gelosia, all’interno del quale maturò la decisione di uccidere il R.M. (v. p. 58 e 59 della sentenza d’appello). I motivi dedotti sub j) e k) cadono anch’essi sotto la censura dell’inammissibilità, trattandosi di alternative ricostruzioni di fatto già ampiamente smentite in sede di merito e comunque privi del tasso di specificità necessario per essere valutati in questa sede.

Alla luce di tali considerazioni deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e, della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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