Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-05-2011, n. 2766 Spese del giudizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Il generale G. C. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il suo ricorso inteso a ottenere, previo annullamento degli atti di diniego emessi dal Ministero della Difesa, il riconoscimento del proprio diritto al rimborso delle spese legali sostenute per il primo e il secondo grado del processo subito dinanzi alla Corte dei Conti.

A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:

1) error in procedendo: omessa pronuncia sul primo motivo di diritto e violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 4, cod. proc. civ.; error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, nr. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, nr. 639, e dell’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, nr. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, nr. 135; falsa applicazione dell’art. 10 bis, comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005, nr. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, nr. 248, e s.m.i.; falsa applicazione degli artt. 78 del r.d. 12 luglio 1934, nr. 1214, 25 del r.d. 13 agosto 1933, nr. 1038, 6 del d.P.R. 24 giugno 1998, nr. 260; falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis della legge 7 agosto 1990, nr. 241, e succ. mod.; eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta, incompetenza e sviamento; violazione dei principi generali dell’imparzialità, correttezza, proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa (con riguardo all’omessa pronuncia del primo giudice in ordine all’anomalia procedimentale lamentata nel ricorso di primo grado, stante l’impropria richiesta di pareri interpretativi rivolta dall’Amministrazione, dopo l’assoluzione dell’istante dinanzi alla Corte dei Conti, dapprima all’Avvocatura Generale dello Stato e quindi alla Procura Regionale e alla Procura Generale della stessa Corte dei Conti);

2) error in procedendo: erronea valutazione di statuizioni giudiziali e del giudicato formatosi; error in iudicando: violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2, del d.l. nr. 543 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge nr. 639 del 1996, e dell’art. 18, comma 1, del d.l. nr. 67 del 1997, convertito, con modificazioni, dalla legge nr. 135 del 1997; falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonché dell’art. 8 del d.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115; mancata considerazione dei fatti; difetto di istruttoria e di motivazione; violazione dell’art. 2 della tariffa professionale forense approvata con d.m. 8 aprile 2004, nr. 127; falsa applicazione degli artt. 78 del r.d. nr. 1214 del 1934, 25 del r.d. nr. 1038 del 1933, 6 del d.P.R. nr. 260 del 1998; illogicità manifesta; incompetenza e sviamento; violazione dei principi generali dell’imparzialità, correttezza, proporzionalità e buon andamento dell’azione amministrativa; sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione (con riguardo all’avere il T.A.R. condiviso le valutazioni dell’Amministrazione, secondo cui la pur definitiva assoluzione dell’istante non escludeva in modo assoluto la sussistenza di una sua responsabilità, ed inoltre si sarebbe trattato di sentenza non suscettibile di soggiacere al principio del ne bis in idem, potendo essere superata da eventuali successive acquisizioni).

Le Amministrazioni appellate non si sono costituite.

All’udienza del 12 aprile 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Il generale dell’Aeronautica G. C. ha chiesto – ai sensi degli artt. 1 della legge 14 gennaio 1994, nr. 20, 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, nr. 543, convertito con modifiche dalla legge 20 dicembre 1996, nr. 639, e 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, nr. 67, convertito con modifiche dalla legge 23 maggio 1997, nr. 135 – il rimborso delle spese sostenute per il primo e il secondo grado del processo subito dinanzi alla Corte dei Conti per presunta responsabilità erariale.

Tale giudizio, conclusosi con sentenza definitiva di assoluzione, era relativo al coinvolgimento indiretto dell’istante nella vicenda relativa al c.d. disastro di Ustica, con l’inabissamento di un aeromobile avvenuto il 27 luglio 1980; vicenda per la quale l’odierno appellante è stato anche imputato per gravi reati, finendo anche in tale sede per essere prosciolto con formula piena già all’esito della fase istruttoria.

Più specificamente, con la sentenza nr. 2856 del 9 novembre 2004, la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei Conti ha escluso la sussistenza del danno erariale ascritto all’istante in relazione alle spese sostenute per il recupero integrale del relitto dell’aeromobile, evidenziando che dette spese avevano la natura di "spese di giustizia", siccome finalizzate all’espletamento di operazioni ritenute indispensabili dall’Autorità giudiziaria per l’accertamento della verità.

Malgrado ciò, all’esito di un lungo iter procedimentale – la cui anomalia è stata stigmatizzata dall’odierno appellante nel ricorso introduttivo del giudizio -, segnato dalla richiesta di pareri all’Avvocatura Generale dello Stato nonché alle Procure Regionale e Generale della Corte dei Conti, nonché da un giudizio di interpretazione promosso dinanzi alla stessa Corte dei Conti e conclusosi in Cassazione, l’Amministrazione della Difesa ha negato il chiesto rimborso spese: donde il presente contenzioso, nel quale l’interessato oggi impugna la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha confermato le statuizioni negative da lui censurate.

2. L’appello è fondato.

3. Ed invero, al di là di profili diversi e ulteriori che sono stati superati dal lungo e complesso iter sopra richiamato, la ragione posta dall’Amministrazione a base del diniego di rimborso delle spese legali – condivisa dal T.A.R. capitolino – consiste nell’asserita mancanza, nella specie, di una sentenza "di proscioglimento nel merito ovvero completamente assolutoria", che costituisce per legge il presupposto della rimborsabilità.

Ciò in quanto, sempre a dire dell’Amministrazione e del primo giudice, nella citata sentenza nr. 2856 del 2004 non vi sarebbe stato un giudizio cognitorio pieno con conseguente esclusione in via assoluta di responsabilità dell’interessato sotto il profilo del dolo o della colpa grave, trattandosi oltre tutto di decisione assunta "allo stato degli atti", e quindi suscettibile di essere superata da eventuali successive acquisizioni.

Tale assunto non può essere condiviso.

4. Al riguardo, giova richiamare il recente orientamento di questo Consesso in ordine alla analoga fattispecie della rimborsabilità delle spese legali a seguito di assoluzione in sede penale, laddove si è affermato che l’Amministrazione non ha alcun margine di discrezionalità sulla formula e sulle ragioni dell’assoluzione stessa, diversamente consentendosi un’inammissibile riedizione del giudizio di ascrivibilità del fatto illecito per cui il dipendente è stato imputato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2011, nr. 1713).

Con specifico riguardo al giudizio di responsabilità contabile, si è poi affermato che il rimborso, da parte dell’amministrazione di appartenenza, delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti, ex art. 3, comma 2 bis, del citato d.l. nr. 543 del 1996, è subordinato al definitivo proscioglimento dei succitati soggetti, prescindendo dalle ragioni che hanno condotto all’assoluzione; e, pertanto, va riconosciuto il diritto al rimborso de quo anche in presenza di proscioglimento per mere ragioni di rito (cfr. Cons. Stato, sez. I, 29 ottobre 2003, parere nr. 3218).

5. Pur senza aderire a tale ultimo e più "radicale" orientamento, non v’è dubbio che nel caso di specie si sia in presenza di assoluzione piena, avendo la sentenza sopra citata del tutto escluso la sussistenza in concreto di qualsivoglia profilo di responsabilità erariale: il fatto che ciò sia dovuto all’essere stata riscontrata la carenza di danno erariale comporta semplicemente la superfluità di ogni approfondimento in ordine al profilo soggettivo della responsabilità (dolo o colpa), venendo a mancare addirittura l’elemento oggettivo dell’illecito.

Quanto sopra rende palese l’errore di prospettiva in cui sono incorsi l’Amministrazione convenuta e il primo giudice, i quali si sono limitati a rilevare l’assenza di approfondimenti da parte del giudice contabile sull’elemento soggettivo dell’illecito, senza considerare che questa era dovuta – come detto – alla mancanza a monte dell’elemento materiale di esso (un pò come se, mutatis mutandis, il dipendente imputato in sede penale fosse stato assolto "perché il fatto non sussiste", ciò che a fortiori rende del tutto inconferente ogni indagine sull’elemento soggettivo del reato).

Nemmeno può condividersi l’assunto del giudice di prime cure secondo cui l’evocata sentenza della Corte dei Conti non sarebbe soggetta al principio ne bis in idem, essendo stata dichiaratamente resa "allo stato degli atti" e potendo quindi essere superata da successive acquisizioni.

Infatti, non v’è dubbio che il giudicato formatosi sull’assoluzione dell’istante è pieno, e che l’inciso "allo stato degli atti" contenuto in sentenza va inteso semplicemente nel senso che la sussistenza di danno erariale sia da escludersi sulla base delle risultanze acquisite agli atti del giudizio; ciò premesso, qualora in futuro dovesse aprirsi un nuovo giudizio di responsabilità in seguito all’emergere di quel danno erariale oggi ritenuto inesistente, ciò avverrà non certo in virtù di una "cedevolezza" del giudicato, ma semplicemente perché si tratterà di fatti nuovi idonei a dar luogo a un diverso e autonomo giudizio.

6. Tali essendo le circostanze, è evidente la fondatezza delle censure riproposte col secondo motivo di appello (che risultano assorbenti dei profili procedurali censurati col primo mezzo), non essendovi in capo all’Amministrazione margine alcuno di discrezionalità valutativa in ordine ai contenuti e alle motivazioni della sentenza di assoluzione piena riportata dall’istante.

Ne discende che vanno annullati gli atti impugnati in prime cure e va affermato il diritto dell’appellante al rimborso delle spese legali sostenute.

7. Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del giudizio che liquida in Euro 5000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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