Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2011) 06-05-2011, n. 17821 Risarcimento in forma specifica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 1.2.2010, il tribunale di Rovigo ,in parziale riforma delle sentenze 3.2.09 e 6.10.09 del giudice di Pace di Lendinara, ha assolto T.E. dai reati di percosse e ingiuria in danno di R.M.G., perchè il fatto non sussiste, e, ritenuta la continuazione tra i reati di minaccia e ingiuria in danno di M.M. e R.M.G.,in ordine ai quali D.P. era stato ritenuto colpevole, ha rideterminato la pena in Euro 1.050,00 di multa.

Ha confermato la condanna del D. al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese, in favor delle parti civili.

Il difensore di T. e D. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 337 c.p.p.: la querela è carente dei requisiti previsti dalla legge: manca un’idonea timbratura da parte della procura sulla relata di ricezione (il timbro della procura è sulla prima pagina e l’attestazione della ratifica è sull’ultima) e manca la prova dei poteri del funzionario di attestare la ratifica dell’istanza punitiva.

2. violazione di legge in riferimento all’art. 125 c.p.p.: sulla doglianza relativa alla procedibilità i giudici di merito non hanno dato idonea giustificazione nel rigettare le eccezioni preliminari;

3. violazione di legge in riferimento all’art. 36 c.p.p.: il D. aveva presentato un esposto contro il giudice di pace, che avrebbe dovuto astenersi e il tribunale ha escluso l’obbligo di astensione;

4. vizio di motivazione : i testi di accusa hanno riferito di dichiarazioni altrui e ,anche se non è stata richiesta l’audizione della fonte originaria, le loro dichiarazioni andavano sottoposte a un prudente e attento vaglio critico, tanto più perchè si tratta delle persone offese, costituite parti civili e le loro dichiarazioni sono discordanti.

5. violazione di legge in riferimento all’art. 612 c.p.; vizio di motivazione ; il D. è accusato di aver minacciato la R., ma risulta che successivamente alle date delle dichiarazioni ritenute intimidatorie è andata con l’imputato in un motel per consumare rapporti sessuali. Le dichiarazioni non possono essere considerate idonee a incutere timore nella donna.

6. violazione di legge in riferimento all’art. 612 c.p.: le espressioni minacciose, contenute in uno scritto del ricorrente di cui al capo F) – non erano dirette alla R., ma ad altra persona, la quale non è venuta a conoscenza del contenuto dello scritto.

7. vizio di motivazione sulla valutazione delle dichiarazioni delle R., persona offesa: è risultato che questa ha fatto dichiarazioni smentite da successive risultanze processuali e i giudici non hanno tenuto conto della dimostrata sua inattendibilità. 8. vizio di motivazione in ordine all’assoluzione della T.:

nel dispositivo risulta l’assoluzione per insussistenza del fatto, mentre in motivazione si afferma la sussistenza di un ragionevole dubbio.

9. violazione di legge in riferimento all’art. 599 c.p.; i giudici di merito non hanno valutato la sussistenza della causa di giustificazione costituita dalla provocazione, dimostrata dalla presentazione di querela, da parte del D. e della T., per illeciti comportamenti della R..

10. vizio di motivazione in ordina alla valutazione della mancata sottoposizione del D. all’esame dibattimentale: il tribunale ha tratto illegittimamente argomenti negativi, ai fini del giudizio nei confronti dell’imputato, dal suo comportamento processuali.

11. vizio di motivazione circa la mancata applicazione delle attenuanti generiche: il tribunale ha giustificato la decisione con il richiamo ai precedenti penali che, in quanto risalenti nel tempo, non costituiscono un valido ostacolo alla concessione dell’attenuante ex art. 62 bis c.p. 12. vizio di motivazione in riferimento all’art. 540 c.p.p.: la condanna alla provvisionale è stata inflitta senza richiesta della parte civile e senza adeguata motivazione.

Il ricorso non merita accoglimento.

Quanto alla censura riferita all’art. 337 c.p.p., il tribunale ha correttamente rilevato la piena regolarità della presentazione delle querele in quanto a) le istanze punitive, dirette al procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rovigo, hanno la sottoscrizione di R.M.G. e di M.M., autenticate dal difensore di fiducia;

b) sulla prima pagina è stato apposto, a certificazione della presentazione, il timbro della Procura della Repubblica, recante la data e l’ora e la sottoscrizione dell’addetta alla segreteria. c) Altra attestazione è contenuta in calce all’atto, con identica sottoscrizione dell’addetta alla segreteria;

d) nessun rilevanza può avere la censura sulla diversa collocazione delle suddette attestazioni;

e) in tema di formalità della querela, la previsione che questa sia proposta con le forme dall’art. 333 c.p.p., comma 2 alle stesse autorità a cui può essere presentata la denuncia, non comporta l’obbligo di materiale presentazione nella mani del p.m. ,il cui ufficio è costituito da personale di segreteria, che per legge ha propri compiti di registrazione di atti e di certificazione di attività che si compiono in questo ufficio (sez. 5^, n. 1697 del 21.3.2000, rv 216050);

f) l’art. 337 c.p.p., comma 4, che impone all’autorità ricevente di attestare l’identità della persona che la proponeva cosiddetta ratifica), ha la funzione di accertare che l’atto di volontà, alla base dell’istanza punitiva, provenga dal soggetto legittimato; la ratifica non ha quindi ragion d’essere nel caso di firma munita di autenticazione, che presuppone la già avvenuta verifica dell’identità del querelante (sez. 2^, n. 23392 del 17.5.07, rv 236758).

Nessun rilievo, quindi, può essere formulato sui requisiti di forma essenziali per la validità delle querele, previsti dal combinato disposto dell’art. 337 c.p.p. e dell’art. 333 c.p.p., comma 2. Quanto alla censura (sub 2) sul mancato rispetto dell’art. 125 c.p.p., va rilevato che la sentenza impugnata si è soffermata con adeguati e corretti argomenti, sull’inammissibilità di alcune doglianze, causata della effettiva genericità.

Quanto alla censura (sub 3) sull’obbligo di astensione del giudice di pace, è legittima l’argomentazione del tribunale di Rovigo, sull’irrilevanza, agli affetti della validità della sentenza di primo grado , del prosieguo del giudizio, in quanto l’eventuale presenza di ragione di astensione obbligatoria – nel caso di specie assolutamente non dimostrata – non è rilevabile nei motivi di appello, nè è causa di nullità generale e assoluta, dando essa luogo soltanto al diritto di ricusare il giudice non astenutosi, con eventuale nullità, a norma dell’art. 42 c.p.p., dei soli atti compiuti dal giudice, dopo l’accoglimento della ricusazione (sez. 1^, n. 1831 del 28.4.1993, rv 194273). Le critiche contenute nei motivi sulla forza dimostrativa delle affermazioni delle persone offese (vedi motivi sub 4 e 7), si pongono in contrasto del tutto inadeguato con il consolidato orientamento interpretativo, secondo cui questa fonte conoscitiva non presenta una affidabilità ridotta, bisognevole di conferme dei cosiddetti riscontri . La testimonianza della persona offesa, al pari di tutte le testimonianze, deve essere sottoposta al generale controllo sulle capacità percettive e mnemoniche del dichiarante, nonchè sulla corrispondenza al vero della sua rievocazione dei fatti, desunta dalla linearità logica della sua esposizione e dall’assenza di risultanze processuali incompatibili caratterizzate da pari o prevalente spessore di credibilità. Questo controllo è stato effettuato in maniera esaustiva dalla sentenza del giudice di appello, che ha ulteriormente valorizzato la forza persuasiva delle accuse a carico dell’imputato D., ponendo in rilievo come nel nostro ordinamento non sia previsto alcun divieto di assumere e valutare dichiarazioni indirette. La costituzione di parte civile non esclude,poi, in via presuntiva la forza dimostrativa e la capacità persuasive delle dichiarazioni di R. e M., alla luce delle argomentazioni della sentenza impugnata, fedeli alle risultanze processuali, che sono state interpretate con lineare razionalità. Le logiche conclusioni che il giudice di appello ha tratto in merito alla responsabilità dell’imputato non possono essere quindi rientrare nell’alveo del delimitato sindacato riconosciuto dal legislatore a questa corte.

Quanto al motivo concernente il reato di minaccia(sub 5), la cui sussistenza, secondo il ricorrente sarebbe storicamente e logicamente incompatibile con accertati incontri dell’imputato e della R. in un motel il (OMISSIS), il giudice di appello ha messo in luce, da un lato, la distanza temporale tra questi avvenimenti e i fatti di minaccia contestati (avvenuti nei primi tre mesi del 2006);

dall’altro ha dato logica giustificazione a questo alternarsi di fatti apparentemente incompatibili, inquadrandoli – in base alle risultanze processuali- in una storia di amore che si è sviluppata in un succedersi di momenti di armonia e momenti di aspra conflittualità .La reiterazione di questa censura, senza la prospettazione di specifici argomenti critici sulla decisione impugnata, rende comunque il motivo del tutto generico: la sua genericità non solo va intesa come indeterminatezza, ma anche come mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione in sede di legittimità, in quanto queste ultime non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza impugnata, ma ripetono la critica formulata nei confronti della decisione del giudice di primo grado.

L’asserita diversità del destinatario(sub 6) – rimasto ignoto e ignaro – delle minacce di cui al capo F), è smentita dalla semplice lettura del testo del messaggio scritto, al cui contenuto logicamente è stato attribuito effetto devastante sulla libertà psichica e sulla autonomia di determinazione della donna: il D. intendeva punire la donna, colpevole di aver interrotto il rapporto amoroso, con il più spietato isolamento, realizzato mediante cruenta e nauseante minaccia di punizione, diretta contro eventuali trasgressori del suo disegno ("Non ci sarà persona che si avvicinerà a te, perchè gli stacco le palle e gliele faccio mangiare").

Ugualmente privo di fondamento è l’argomento critico (sub 8) sull’assoluzione della T.: la sentenza di assoluzione è motivata con esplicito riferimento all’ipotesi ex art. 530 c.p.p., comma 2, a causa della contraddittorietà della prova e del ragionevole dubbio che i fatti contestati si siano svolti come descritti nel capo di imputazione e ,in particolare, che si siano verificati in quella data. La S.C. ha, con consolidato orientamento interpretativo, ha affermato che deve essere utilizzata la stessa formula assolutoria, sia quando si accerti l’insussistenza del fatto, sia quando si riconosca soltanto carente, insufficiente o contraddittoria la prova.

Nessun fatto ingiusto è poi addebitabile alle persone offese legittimante, ex art. 599 c.p., comma 2,le aggressioni verbali del D.; tale carenza probatoria, secondo il tribunale, è stata anche determinata dalla condotta processuale, che è correttamente ricostruita dalla sentenza impugnata. Pertanto è totalmente infondato il motivo relativo alla suindicata causa di giustificazione, come è infondata l’affermazione del ricorrente, secondo cui il giudice di appello avrebbe inflitto una irrituale sanzione processuale al D. per la sua condotta non collaborativa. Il tribunale ,senza alcun intento sanzionatorio, si è limitato a rilevare l’inefficienza dell’unica fonte idonea a fornire elementi dimostrativi della sussistenza della esimente della provocazione (motivi sub 9 e 10). Il motivo (sub 11) concernente le attenuanti generiche è manifestamente infondato, in quanto si pone – senza proporre alcun convincente argomento critico- in contrasto con il consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, secondo cui la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito e quindi non richiedono un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, indicati dalle parti o desunti dalle risultanze processuali , essendo sufficiente l’indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti. (sez. 1, 21.9.1999, n. 12496, in Cass. Pen. 2000, n. 1078, p. 1949).

Nel caso in esame,non è quindi censurabile la motivazione della sentenza impugnata, laddove fa riferimento gravità dei fatti, ex art. 133 c.p., comma 1, dimostrata dalla reiterazione nel tempo delle condotte illecite, dalla correlata intensità del dolo, dal turbamento psichico delle donne, nonchè fa riferimento alla spiccata capacità a delinquere, dimostrata, ex art. 133 c.p., comma 2, n. 2, dal precedente penale dell’imputato, la cui consistenza incide, secondo il razionale e insindacabile giudizio del tribunale, in maniera negativa nel giudizio sulla capacità a delinquere del D.. Quanto all’ultimo motivo, si rileva che la richiesta del risarcimento del danno e della provvisionale è contenuta nell’atto di costituzione di parte civile della M. e nelle conclusioni scritte per la R.. Quanto alla motivazione della decisione sulla provvisionale, va rilevato che il giudice di merito ha emesso un provvedimento di carattere delibativo e discrezionale, consistente nella assegnazione di una somma di denaro, da computare nella futura liquidazione del danno, che avverrà in sede civile, nel cui ambito non ha autorità di giudicato. Di qui l’assenza di obbligo di dettagliata motivazione e la non impugnabilità in cassazione (sez. 4^ n. 34791 del 23.6.2010). I ricorsi vanno quindi rigettati , con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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