Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-01-2011) 06-05-2011, n. 17813 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il difensore di B.L., indagato del reato di cui all’art. 609-bis c.p., ha proposto ricorso per Cassazione avverso l’Ordinanza emessa dal Tribunale di Catania, in data 15 settembre 2010, con la quale, veniva rigettato l’appello avverso l’ordinanza del G.I.P. del 21 aprile 2010, che aveva respinto l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, già concessi con ordinanza del 2 febbraio 2010 dal G.I.P., in quanto il quadro cautelare non risultava mutato per effetto degli effetti della terapia medica seguita dall’imputato presso la propria abitazione e non era possibile dare rilievo alla possibilità di applicazione della diminuente di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3 negata all’esito del giudizio di primo grado, ove è stato peraltro riconosciuta la diminuente di cui all’art. 89 c.p., per i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 606 lett. b) in relazione all’art. 274 e 175 c.p.p. Il Tribunale avrebbe motivato circa il permanere delle esigenze cautelari come già riconosciute nella precedente sede di riesame, quando invece sussisterebbero elementi nuovi, consistenti non solo nel decorso di undici mesi di custodia, ma nel fatto che l’indagato ha intrapreso un percorso terapeutico, avendo compreso che il proprio comportamento attiene alla patologia psichiatrica, anche farmacologico, tale da eliminare la sua pericolosità sociale.

2. Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza e contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale ha erroneamente ritenuto contraddittoria l’affermazione della difesa circa l’insufficienza del trattamento sanitario domiciliare, in quanto non solo la difesa aveva indicato il fatto che l’impulso ad agire sarebbe stato inibito dall’uso di farmaci stabilizzatori della personalità e specificamente adatti a disturbi psicotici, ma aveva fatto riferimento alla necessità di colloqui terapeutici con gli operatori del Dipartimento di salute mentale, i quali devono svolgersi in idoneo ambiente extra domestico. Risulterebbe inoltre privo di pregio il richiamo fatto alla capacità di autocontrollo dell’imputato ritenuta limitata sulla base di un precedente reato commesso nel 1997, per il quale era stata applicata la pena sospesa di tre mesi, peraltro estinto ex art. 197 c.p.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Va premesso che l’ambito del controllo che la Corte di Cassazione esercita in tema di misure cautelari non riguarda la ricostruzione dei fatti, nè le valutazioni, tipiche del giudice di merito, sull’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o concludenza dei dati probatori, nè la riconsiderazione delle caratteristiche soggettive delle persone indagate, compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate: tutti questi accertamenti rientrano nel compito esclusivo del giudice cui è stata richiesta l’applicazione (o la revoca/modifica) della misura cautelare e del tribunale del riesame. Il giudice di legittimità deve invece verificare che l’ordinanza impugnata contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti: il controllo investe, in sintesi, la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).

L’ordinanza oggetto della presente impugnazione è sorretta da logica e corretta argomentazione motivazionale e risponde a tali due requisiti. Il Tribunale ha dato atto che nelle more, in data 10 giugno 2010, risulta pronunciata sentenza di condanna in primo grado del B. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, con il riconoscimento della diminuente di cui all’art. 89 c.p., per cui ha correttamente affermato di essere impossibilitato a svolgere considerazioni circa la sussistenza dei gravi indizi. In relazione al profilo delle esigenze cautelari, il Tribunale ha ritenuto, con motivazione coerente, che non sussistessero elementi nuovi, tali da comportare una nuova delibazione sulle esigenze cautelari rispetto a quella già svolta dal G.I.P., non essendo valutabile, allo stato, se il programma terapeutico intrapreso possa porre nel nulla il pericolo di reiterazione criminosa, in quanto si deve sempre tenere conto che la reiterazione criminosa è comunque rimessa al comportamento del ricorrente e non risultano elementi dai quali poter desumere che l’imputato, libero o comunque sottoposto ad una misura cautelare diversa dagli arresti domiciliari, si asterrebbe dal reiterare delitti della stessa specie (posto anche il precedente del quale lo stesso risulta gravato).

L’affermazione è condivisibile. Ritiene questo Collegio che la sottoposizione ad trattamento sanitario farmacologico prescritto da specialisti del Dipartimento di salute mentale, nei confronti di un soggetto già riconosciuto affetto da vizio parziale di mente, non possa rappresentare un elemento in grado, da solo, di escludere o ridurre le esigenze cautelari, sotto l’aspetto del pericolo di reiterazione del reato e, nel caso di specie, non sono stati evidenziati elementi specifici per ritenere Incompatibile il proficuo espletamento del trattamento, ivi compresi i colloqui terapeutici, con lo stato di custodia domiciliare. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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