Cons. Stato Sez. IV, Sent., 10-05-2011, n. 2759 Silenzio-assenso della Pubblica Amministrazione Concessione per nuove costruzioni Silenzio rifiuto _ silenzio assenso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1. La ricorrente, L. L. S.r.l., è proprietaria di un’area collinare nel Comune di Andora (Savona) ricompresa nel piano particolareggiato di iniziativa privata denominato "Giro delle Catene".

L. L. ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Liguria due provvedimenti di diniego di rilascio di concessione edilizia emessi in data 6 marzo 2000 e 6 aprile 2000 dal responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune a fronte di altrettante istanze da essa presentate.

La ricorrente ha chiesto, oltre all’annullamento di tali dinieghi, a seguito di silenzioassenso sulla propria domanda presentata all’Amministrazione Comunale in data 16 novembre 1994, l’accertamento dell’avvenuta formazione della concessione per l’effetto previsto dall’art. 8 del D.L. 23 gennaio 1982 n. 9 convertito con modificazioni in L. 25 marzo 1982 n. 94, all’epoca asseritamente vigente, e la conseguente condanna dell’Amministrazione comunale al pagamento dei danni pretesamente discendenti dagli atti impugnati.

Con sentenza n. 192 dd. 15 giugno 2005 la Sezione I^ del T.A.R. per la Liguria ha respinto le sopradescritte domande.

1.2. Con il ricorso in epigrafe L. L. chiede pertanto la riforma di tale sentenza deducendo le seguenti censure.

a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del D.L. 9 del 1982 convertito in L. 84 del 1992; violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 60, della L. 23 dicembre 1996 n. 662; travisamento di fatto; difetto di presupposto; contraddittorietà estrinseca; erroneità della sentenza.

La ricorrente rileva innanzitutto che ad avviso del T.A.R. l’istituto del silenzioassenso contemplato dall’art. 8 del D.L. 9 del 1982 convertito in L. 94 del 1982 risulterebbe implicitamente abrogato per effetto della L. 4 dicembre 1993 n.493 di conversione del D.L. 5 ottobre 1993 n. 398, nonché dall’art. 2, comma 60, della L. 23 dicembre 1996 n. 662, posto che la disciplina sopravvenuta avrebbe in via generale sostituito nella materia del rilascio del titolo edilizio il previgente istituto del silenzioassenso con l’istituto del silenziorifiuto

Secondo la tesi de L. L., invece, non sarebbe corretto affermare ciò, in quanto il silenzioassenso di cui all’art. 8 del D.L. 9 del 1982 si configurerebbe quale istituto eccezionale e derogatorio rispetto alla disciplina generale relativa al procedimento di rilascio della concessione edilizia (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 25 settembre 1998 n. 1326), segnatamente relativo all’edilizia residenziale e agli interventi su aree che, come nel caso di specie, risultano dotate di strumenti urbanistici attuativi vigenti ed approvati in epoca non anteriore all’entrata in vigore della L. 6 agosto 1967 n. 765 (c.d. "leggeponte").

Secondo L. L., quindi, l’art. 2., comma 60, della L. 662 del 1996 recherebbe una disciplina generale per il rilascio della concessione edilizia, certamente sostitutiva dell’art. 31 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 e successive modifiche, ma insuscettibile di innovare la disciplina speciale di cui all’art. 8 del D.L. 9 del 1982 convertito in L. 84 del 1982.

Né – sempre secondo L. L. – potrebbe sostenersi che l’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996 sarebbe intrinsecamente incompatibile con l’istituto – concorrentemente applicabile – del silenzioassenso, posto che la possibilità data dallo ius novum di nominare in caso di inadempimento nel rilascio del titolo edilizio il commissario ad acta non solo riguarda tutti gli interventi di edilizia non residenziale non disciplinati dall’art. 8 del D.L. 9 del 1992, ma sarebbe comunque deputata a soddisfare un’esigenza ben diversa rispetto a quella propria del silenzioassenso, ossia quella di definire il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento formale; né, per converso, andrebbe sottaciuto che il silenzioassenso di cui all’art. 8 del D.L. 9 del 1982 sarebbe compatibile e non avrebbe comportato l’abrogazione dell’istituto del silenziorifiuto di cui all’art. 31, comma 7, della L. 1150 del 1942 (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 25 settembre 1998 n. 1326).

L. L., inoltre, rimarca che, se è vero che l’art. 4 del D.L. 398 del 1993, come convertito in L. 493 del 1993 e poi sostituito dall’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996, disciplina di per sé le "procedure per il rilascio della concessione edilizia", ciò comunque non impedirebbe la coesistenza di altre disposizioni speciali che contemplano procedimenti differenti per la formazione del titolo edilizio: il che, ad esempio, già avviene per la disciplina delle opere interne, laddove si ritiene che l’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996, nell’introdurre al riguardo la denuncia di inizio di attività (D.I.A.), non avrebbe abrogato l’art. 26 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, ma avrebbe introdotto una disciplina diversa e alternativa, della quale il privato potrebbe, a sua scelta, avvalersi (cfr. sul punto, ad es., Cass. Pen., Sez. III, 15 marzo 2002 n.19378).

Concludendo sul punto, L. L. evidenzia che l’art. 8 del D.L. 9 del 1982 era comunque in vigore all’epoca dell’adozione dei provvedimenti di diniego di concessione impugnati, mancando comunque nel contesto della L. 662 del 1996 una disposizione normativa di abrogazione esplicita dell’art. 8 medesimo: e ciò -si badi – contrariamente a quanto previsto dai numerosi decretilegge emanati in materia prima dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996 e non convertiti in legge, ossia il D.L. 27 marzo 1995 n. 88, il D.L. 26 maggio 1995 n. 193, il D.L. 26 luglio 1995 n. 310, il D.L. 20 settembre 1995 n. 400, il D.L. 25 novembre 1995 n. 498, il D.L. 24 gennaio 1996 n. 30, il D.L. 25 marzo 1996 n. 154, il D.L. 25 maggio 1996 n. 285, il D.L. 22 luglio 1996 n. 388 e il D.L. 24 settembre 1996 n. 495; e -del resto -soltanto l’art. 137, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 risulta aver testualmente abrogato l’art. 8 del D.L. 9 del 1982 convertito con modificazioni in L. 94 del 1982 "dalla data di entrata in vigore" del T.U. medesimo.

L. L. contesta in tal senso l’assunto del T.A.R., secondo il quale l’art. 137, comma 1, testé riferito, sarebbe una disposizione ricognitoria e riconosce alla stessa valenza innovativa in quanto discendente dalla delegificazione del procedimento di rilascio dei titoli edilizi disposta à sensi dell’art. 20, comma 8, della L. 15 marzo 1997 n. 59 ed espressamente contemplante, à sensi del comma 4 dello stesso art. 20, l’abrogazione delle precedenti norme con effetto dall’entrata in vigore della nuova disciplina delegificata.

b) Violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 4, del D.L. 17 settembre 1994 n. 551 nonché dell’art. 8, comma 4, del D.L. 26 gennaio 1995 n. 24 e dell’art. 2, comma 61, della L. 662 del 1996; violazione e falsa applicazione dell’art. 8 della L. 94 del 1982; travisamento di fatto; difetto di presupposto; violazione dei principi in materia di autotutela; erroneità della sentenza; infrapetizione; contraddittorietà intrinseca.

L. L. segnatamente contesta la sentenza resa dal T.A.R. laddove si afferma che "anche a voler accedere alla tesi della ricorrente… il titolo edilizio per silenzio non si è (nella specie) formato": e ciò in quanto l’assenza di un provvedimento esplicito e la mera parificazione del silenzio al provvedimento "farebbe sì che non ha coerenza logica, ancor prima che giuridica, postulare anche per il silenzioassenso la dicotomia, di scaturigine negoziale, fra requisiti di validità e di efficacia dell’atto…. Nella procedura del silenzioassenso, proprio perché non si riproduce la distinzione fra requisiti di validità ed efficacia, tutti i riscontri documentali della domanda che si riferiscono ai presupposti giuridici (edificabilità dell’area, astratta conformità del progetto alla disciplina urbanistica, natura residenziale dell’intervento e, naturalmente per le aree vincolate, nulla osta paesaggistico) integrano requisiti essenziali per il perfezionamento del silenzioassenso" (cfr. ivi, pag. 8).

Ad avviso de L. L., le surriportate affermazioni sarebbero, innanzitutto, riconducibili a infrapetizione e a contraddittorietà intrinseca, posto che non potrebbe negarsi la circostanza che la concessione edilizia risulterebbe nella specie tacitamente assentita in applicazione di tale disciplina, perlomeno a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla pubblicazione della sentenza con la quale la stessa Sezione I^ del T.A.R. per la Liguria 6 novembre 1998 n. 525 ha disposto l’annullamento del decreto soprintendentizio di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica comunale dd. 17 maggio 1995, relativa sempre all’intervento de L. L.: e ciò in quanto a tale data la pratica sarebbe stata completa di tutta la documentazione richiesta in proposito dall’Amministrazione comunale, ivi comprese l’autorizzazione idrogeologica e il parere igienicosanitario.

La ricorrente rimarca che su tale circostanza, ancorché puntualmente fatta oggetto di censura (cfr. primo motivo di ricorso, lett. c), il giudice di primo grado non si sarebbe pronunciato.

In ogni caso, poi, la ricorrente afferma che il silenzioassenso si sarebbe nella specie idoneamente formato, in quanto sussisterebbero, quali suoi requisiti di efficacia, la comunicazione di inizio dei lavori, la corresponsione del contributo concessorio e l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, nonché quali suoi requisiti di validità, "l’immunità delle procedure da vizi e la conformità del progetto assentito alle norme e ai regolamenti vigenti" (così Cons. Stato, Sez. V, 5 ottobre 1987 n. 588), ossia la vigenza dello strumento urbanistico attuativo (piano particolareggiato "Giro delle Catene"), l’avvenuta presentazione dell’istanza di rilascio del titolo edilizio e l’avvenuto decorso del termine di 90 giorni.

La sentenza impugnata sarebbe errata, secondo la prospettazione della ricorrente, in quanto avrebbe qualificato come requisiti essenziali sia l’astratta conformità del progetto alla disciplina urbanistica (viceversa costitutiva di un requisito di validità), sia l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica (viceversa costitutiva di un requisito di efficacia), riconducendo con ciò la mancanza dei requisiti stessi ad ipotesi di mancata formazione del silenzioassenso.

La ricorrente afferma inoltre che la sentenza sarebbe errata anche laddove si afferma che l’autorizzazione paesaggistica sarebbe stata annullata dalla Soprintendenza "già al momento della presentazione della domanda di concessione edilizia" datata 14 novembre 1994, mentre l’autorizzazione medesima sarebbe stata annullata soltanto il 21 luglio 1995, ossia allorquando sulla domanda del 14 novembre 1994 si sarebbe già formato il silenzioassenso per decorso del termine di 90 giorni.

Né coerente e comprensibile sarebbe, ad avviso della ricorrente, la susseguente affermazione contenuta sempre nella sentenza impugnata e secondo cui la sentenza dello stesso T.A.R. n. 525 dd. 6 novembre 1998, con la quale era stato in precedenza annullato il provvedimento del Soprintendente recante annullamento dell’autorizzazione paesaggistica,"non farebbe venire meno il fatto che al momento della presentazione della concessione edilizia (d. 16 novembre 1994) difettasse il nulla osta paesaggistico, oggetto dell’annullamento tutorio…. L’effetto retroattivo ha valenza giuridica e non pregiudica, secondo l’abusato brocardo "ne factum in fieri possit" le situazioni nel frattempo maturate. Conseguentemente il silenzioassenso nel caso di specie non si è mai formato" (cfr. sentenza cit., pag. 9).

Secondo la ricorrente non sarebbe nella specie rilevante l’avvenuto ripristino ope iudicis dell’autorizzazione paesaggistica a suo tempo annullata, se non avuto riguardo che, proprio in relazione a tale circostanza, e senza pregiudicare alcuna situazione nel frattempo maturata, essa ha dedotto che la concessione edilizia di cui trattasi deve comunque essere intesa come tacitamente assentita, à sensi dell’art. 8 del D.L. 9 del 1982, nella vigenza, tra il settembre del 1994 e il marzo del 1995, dei decretilegge 27 settembre 1994 n. 551, 25 novembre 1994 n. 649 e 26 gennaio 1995 n. 24, non convertiti in legge, ma i cui effetti, compresa l’invocata concessione tacita, sarebbero stati fatti salvi dall’art. 2, comma 61 della L. 662 del 1996; e, in ogni caso, il silenzioassenso sarebbe nella specie intervenuto con il decorso del novantesimo giorno successivo all’emissione della predetta sentenza n. 525 del 1998.

La ricorrente reputa inoltre errata la sentenza qui impugnata laddove non riconosce natura provvedimentale alla nota dell’11 marzo 1995 nella quale si legge testualmente che la domanda da essa presentata "su conforme parere della Commissione Edilizia Comunale… può essere accolta": e ciò in quanto l’Amministrazione comunale non si è, con ciò, limitata a comunicare l’avvenuta emissione del parere favorevole reso dalla Commissione predetta.

c) Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della L. 493 del 1993, violazione dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990 n. 241, violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 8 delle N.T.A. del Piano particolareggiato "Giro delle Catene", difetto di presupposto, travisamento di fatto, contraddittorietà e difetto di motivazione.

L. L. contesta gli assunti della sentenza impugnata secondo i quali la soluzione progettuale sarebbe in contrasto con l’art. 5 delle N.T.A. del Piano particolareggiato "Giro delle Catene" e il "riscontro visivo" giustificherebbe il diniego di rilascio del titolo edilizio "che nella pur ellittica motivazione chiarisce la difformità" (cfr. pag. 10 sentenza cit.).

La ricorrente reputa, per contro, che il progetto sia conforme all’anzidetto art. 5 del Piano particolareggiato, avendo eliminato il volume dell’ascensore conformemente alle prescrizioni introdotte dalla Regione Liguria, e che comunque il progetto medesimo rientra nell’ambito della tollerabilità del 5% del volume costruito fissato dall’art. 8 delle N.T.A. del Piano medesimo.

La medesima ricorrente afferma che l’Amministrazione comunale – semmai – non avrebbe puntualmente evidenziato le difformità da essa riscontrate laddove ha affermato nel proprio provvedimento di diniego, in via del tutto generica, che "il progetto così come è presentato non rispetta le previsioni dello strumento urbanistico attuativo approvato e quindi non pare possibile l’inizio dei lavori per opere difformi da quanto previsto nel P.R.G. e nel sopracitato S.U.A.".

L. L. rileva che tale assunto dell’Amministrazione comunale configgerebbe pure con il parere della Commissione edilizia integrata dd. 17 gennaio 1995, nonché con la già citata nota del Sindaco dd. 11 marzo 1995, secondo la quale la domanda di rilascio del titolo edilizio poteva "essere accolta" e con altra nota del Sindaco dd. 16 marzo 1995, secondo la quale "le opere in progetto risultano conformi alla disciplina urbanisticoedilizia vigente in questo Comune".

d) Infrapetizione.

L. L., da ultimo, afferma che la sentenza qui impugnata non avrebbe trattato alcune censure da essa proposte in primo grado in ordine alle affermazioni, contenute negli atti impugnati, secondo le quali gli oneri concessori liquidati con nota sindacale dd. 24 maggio 1995 e da essa corrisposti dovevano essere ricalcolati in base alla sopravvenuta L.R. 7 aprile 1995 n. 25 e il diniego di concessione edilizia è stato emesso dopo aver acquisito un parere dell’Ufficio beni ambientali della Regione Liguria: Ufficio che la ricorrente reputa – per contro – incompetente a pronunciarsi al riguardo, e ciò anche a prescindere dall’illegittimo aggravamento del procedimento che l’Amministrazione comunale avrebbe in tal modo posto in essere.

La ricorrente insiste inoltre per la condanna dell’Amministrazione Comunale al pagamento dei danni asseritamente discendenti dagli atti impugnati.

2. Si è costituito in giudizio il Comune di Andora, replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione dell’appello.

3. Alla pubblica udienza del 22 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4.1. Tutto ciò premesso, il ricorso in epigrafe va respinto.

4.2. Come visto innanzi, con il primo motivo di appello la ricorrente sostiene che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, nella specie si sarebbe verificato il rilascio della contestata concessione edilizia in forza del perfezionamento del silenzioassenso, e ciò in applicazione dell’art. 8 del D.L. 8 del 1982 convertito in L. 94 del 1982, da ritenersi ancora operante all’epoca dei fatti di causa in base ad una pretesa specialità di tale disciplina rispetto a quella susseguentemente entrata in vigore e segnatamente costituita dall’art. 4 del D.L. 398 del 1993, convertito in L. 493 del 1993 e quindi sostituito dall’art. 2, comma 60, della L. 662 del 1996.

In senso contrario alla tesi della ricorrente si è pronunciata una copiosa giurisprudenza dei T.A.R. (cfr. al riguardo, ex plurimis, T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. II, 13 novembre 2002 n. 2901 e 7 giugno 2001 n. 912; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 4 giugno 1999 n. 280 e Parma, 16 novembre 2007 n. 534; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 12 luglio 2004 n. 10065; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 15 novembre 2005 n. 11283 e Sez. II bis, ord. 15 maggio 2008, n. 4115), secondo la quale – viceversa – il meccanismo del silenzioassenso a suo tempo previsto dall’art. 8 del D.L. 8 del 1982 ai fini del rilascio della concessione edilizia deve reputarsi abrogato in via implicita dalla disciplina legislativa susseguentemente entrata in vigore.

Questa Sezione, a sua volta, condivide tale conclusione, avuto riguardo all’art. 15 disp. prel. c.c., che – come è ben noto – dispone nel senso che le leggi possono essere abrogate non soltanto "per dichiarazione espressa del legislatore", ma anche "per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore".

In tal senso va evidenziato che l’art. 4 del D.L. n. 398 del 1993 ha introdotto una nuova e del tutto esaustiva disciplina generale sull’inerzia dell’Amministrazione comunale serbata a fronte della richiesta di rilascio del titolo edilizio: disciplina che, per l’appunto, risulta oggettivamente incompatibile con quella antecedentemente introdotta dall’art. 8 del D.L. 9 del 1982.

Né, ad avviso della Sezione, è sostenibile un qualsiasi rapporto di specialità tra la disciplina dell’art. 8 del D.L. 9 del 1982 e quella propria dell’art. 4 del D.L. 398 del 1993 e successive modifiche.

La disciplina per gli "interventi di edilizia residenziale diretti alla costruzione di abitazioni od al recupero del patrimonio edilizio esistente", contenuta nell’art. 8 del D.L. 9 del 1982 predetto, era invero ab origine limitata nella sua vigenza al 31 dicembre 1984 ed era quindi configurabile non già quale disciplina "speciale", ma "eccezionale"; e proprio per effetto della sua estensione "a regime", disposta dall’art. 23, comma 4, della L. 17 febbraio 1992 n. 179, è stata poi ricondotta a disciplina generale e, quindi, implicitamente abrogata dallo ius superveniens introdotto dall’art. 4 del D.L.398 del 1993, in quanto applicato in via indifferenziata a tutte le ipotesi di "concessioni edilizie rilasciate sulla base delle previsioni di strumenti urbanistici approvati e vigenti", dapprima con le sole eccezioni degli i immobili vincolati ai sensi delle (allora vigenti) "leggi 1 giugno 1939, n. 1089, e 29 giugno 1939, n. 1497, e del decretolegge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 e successive modificazioni e integrazioni" (cfr. il testo originario dell’art. 4 cit.) e, da ultimo, per effetto della sostituzione disposta dall’art. 2, comma 60, della L. 23 dicembre 1996 n. 662, come modificato dall’art. 10 del D.L. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito in L. 28 febbraio 1997 n. 30, precettivamente riferito ad ogni ipotesi di rilascio di titolo edilizio, tranne i casi assoggettabili a denuncia di inizio di attività.

Né può reputarsi che il principio di specialità invocato da L. L. possa trovare applicazione con riguardo alla circostanza che la giurisprudenza menzionata dalla medesima ricorrente ha affermato che l’art. 4 del D.L. 398 del 1993 non ha abrogato la disciplina del silenziorifiuto per la domanda di concessione in sanatoria contenuta nell’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47.(cfr. Cass. Pen., Sez. III, 21 dicembre 1994, imp. Luzzi), trattandosi, in quest’ultimo caso, di disciplina propriamente speciale, in quanto avente – per l’appunto – ad oggetto il rilascio del titolo edilizio non già nel regime procedimentale ordinario, ma in quello del tutto particolare che è deputato a sanare la violazione della disciplina urbanisticoedilizia.

Neppure può trovare accoglimento l’argomento formale della ricorrente secondo cui i decretilegge non convertiti che hanno preceduto l’emanazione dello ius novum contenuto, da ultimo, nell’art. 4 del D.L. 398 del 1993 recavano un’espressa disposizione abrogatrice dell’art. 8 del D.L. 9 del 1982, viceversa non presente nel medesimo D.L. 398 del 1993: è evidente, infatti, che la constatazione della mancata inserzione di tale disposizione non impedisce all’interprete di ricavare l’effetto abrogativo anche mediante l’applicazione del predetto principio generale dell’abrogazione implicita, avuto riguardo all’intrinseca natura e valenza dello ius superveniens rispetto ai contenuti propri della disciplina precedentemente introdotta nell’ordinamento.

Per quanto, poi, attiene alla disposizione abrogatrice contenuta nell’art. 136, comma 1, lett. e) del D.P.R. 380 del 2001, va evidenziato che nel relativo Testo Unico sono stati materialmente trasfusi i contenuti delle pregresse disposizioni disciplinanti l’attività edilizia operando contestualmente una sistematica ricognizione degli effetti abrogativi impliciti di disposizioni già prodottisi nel "sistema", traducendoli in norme abrogative esplicite.

In tale contesto, pertanto, la disposizione abrogatrice predetta si limita ad espressamente ribadire la già avvenuta abrogazione in via implicita dell’art. 8 del D.L. 9 del 1982.

4.3. Con il secondo ordine di censure la ricorrente ha innanzitutto dedotto i vizi di "infrapetizione" e di "contraddittorietà intrinseca" della sentenza impugnata, laddove il T.A.R. non avrebbe espressamente statuito sulla censura dedotta con il primo motivo di ricorso proposto in primo grado, secondo il quale la concessione edilizia de qua doveva comunque ritenersi tacitamente assentita, à sensi dell’art. 8 del D.L. 9 del 1982, a decorrere dal novantesimo giorno successivo alla sentenza resa dal medesimo del T.A.R. n. 525 del 6 novembre 1998, recante a sua volta l’annullamento del decreto ministeriale di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica del 17 maggio 1995 emessa dall’Amministrazione comunale.

Tali censure vanno respinte, in quanto la sentenza appellata ha, comunque, espressamente ritenuto infondato il presupposto su cui si basano gli argomenti della ricorrente, ossia la perdurante vigenza, nel 1998, della disciplina contenuta nell’art. 8 del D.L. 94 del 1982.

A tale pur assorbente constatazione va soggiunto che, anche ove si fosse aderito alla tesi della perdurante vigenza della disciplina del silenzioassenso, la formazione per silentium del titolo concessorio sarebbe stata impedita, come correttamente evidenziato dallo stesso giudice di primo grado, dalla ben evidente difformità del progetto presentato rispetto alla pianificazione di riferimento (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 3 dicembre 2001 n. 6009).

Con ulteriori argomentazioni la ricorrente afferma, quindi, l’inconferenza, ai fini della formazione del silenzioassenso, del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e di quella relativa al vincolo idrogeologico, asserendo in particolare che il titolo tacito sarebbe intervenuto per il solo decorso dei novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza di rilascio del titolo edilizio nel corso del 1994, e ciò anche a prescindere dal fatto che l’istanza stessa non fosse stata corredata dal nullaosta paesaggistico.

La ricorrente, in tal senso, rimarca una pretesa "non corrispondenza" tra i due procedimenti, laddove – a suo dire – l’autorizzazione paesaggistica costituirebbe – al più – una condizione di efficacia del titolo edilizio.

Il Collegio, per parte propria, evidenzia che, in effetti, anteriormente all’entrata in vigore del D.L.vo 22 gennaio 2004 n. 42, l’autorizzazione paesaggistica costituiva condizione di efficacia e non di validità della concessione edilizia, non potendo all’epoca ritenersi precluso il rilascio del titolo edilizio pur in assenza di un nulla osta efficace (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2006 n. 547 e Sez. V, 14 gennaio 2003 n. 87; cfr., altresì, Cass. Pen., sez. III, 1 dicembre 1997 n. 1492); ma tale enunciazione di principio è intrinsecamente insostenibile nell’ipotesi di formazione del titolo per silenzioassenso, nella quale la legge stessa condiziona la formazione del titolo medesimo per mero decorso del tempo all’imprescindibile sussistenza di tutti gli altri presupposti parimenti richiesti ex lege al fine di legittimare l’attività di trasformazione del territorio.

Pertanto – e a differenza di quanto sostenuto da L. L. – se l’intervento edilizio si doveva effettuare in una zona vincolata à sensi dell’allora vigente L. 1497 del 1939, la domanda di concessione edilizia doveva essere corredata dal prescritto nullaosta, costituente parte integrante della domanda stessa, nonché condizione essenziale per il consolidamento della fattispecie del silenzio – assenso disciplinato nell’art. 8 del D.L. 9 del 1982 (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 1998 n. 343); senza sottacere – poi – che secondo altra e ben più rigida giurisprudenza, la fattispecie medesima non poteva addirittura trovare applicazione per la formazione dei titoli edilizi in aree assoggettate alla tutela dei beni paesaggistici (cfr. in tal senso, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 1996 n. 541).

Parimenti infondata è la tesi della ricorrente secondo cui il silenzioassenso si sarebbe formato nella specie nella vigenza, tra il settembre del 1994 e il marzo del 1995, dei decretilegge 27 settembre 1994 n. 551, 25 novembre 1994 n. 649 e 26 gennaio 1995 n. 24, non convertiti in legge, ma i cui effetti, compresa l’invocata concessione tacita, sarebbero stati fatti salvi dall’art. 2, comma 61 della L. 662 del 1996.

Anche a prescindere dalla necessità dell’autorizzazione paesaggistica, il cui atto di annullamento è stato invero a sua volta caducato dallo stesso T.A.R. con l’anzidetta sentenza n. 525 del 1998, e del nullaosta idrogeologico (parimenti nella specie mancante), i decretilegge testé citati condizionavano infatti il perfezionamento del silenzioassenso alla presentazione, contestualmente alla domanda di concessione edilizia, di una "relazione a firma del progettista che asseveri la conformità degli interventi da realizzare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e sanitarie": presentazione che nel caso di specie non risulta avvenuta.

Né può trovare accoglimento l’ulteriore tesi della ricorrente secondo la quale il titolo concessorio sarebbe stato comunque rilasciato in via espressa dal Sindaco mediante la propria nota dell’11 marzo 1995, con la quale egli ha invero comunicato che la relativa domanda poteva essere accolta sulla base del parere reso al riguardo dalla Commissione Edilizia Comunale.

A tale riguardo è sufficiente richiamare la costante giurisprudenza secondo la quale, già dopo l’entrata in vigore della L. 28 gennaio 1977 n. 10, la comunicazione del parere favorevole della Commissione Edilizia non equiva1e a rilascio del relativo titolo (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 1997 n. 1409 e Sez. V, 29 luglio 2003 n. 4325); senza sottacere che, come a ragione rimarcato dalla difesa del Comune, il comunicare che una concessione "può essere" rilasciata non equivale, sotto il profilo sia lessicale che logico, ad una volizione costitutiva recante direttamente il rilascio del provvedimento richiesto, ma prefigura una futura ulteriore (ed eventuale) volizione di rilascio.

4.4. In relazione al terzo ordine di censure, va evidenziato che nella specie sussisteva una ben evidente incompatibilità tra il contenuto del progetto elaborato dalla ricorrente e il contenuto della strumentazione urbanistica di dettaglio vigente nell’area destinata all’edificazione, emergente – come rilevato anche dal giudice di primo grado – anche da un pur sommario raffronto visivo tra le rispettive tavole prodotte in giudizio (cfr. doc.ti 4 e 5 di parte resistente prodotti in primo grado).

L. L. ha sostenuto innanzi al T.A.R. e tutt’oggi sostiene innanzi a questo giudice che tale discrasia discenderebbe dall’esigenza di ottemperare alla prescrizione dell’Amministrazione regionale, imposta in sede di rilascio dell’autorizzazione paesistica di massima di cui all’art. 7 dell’allora vigente L.R. 8 luglio 1987 n. 24 e consistente nell’eliminazione del "volume corrispondente al vano ascensore posto al centro dello sviluppo planimetrico dell’edificio, in modo tale da separare maggiormente i corpi con conseguente minor impatto della massa edilizia prevista".

Il fine di tale prescrizione era, dunque, quello di assicurare, mediante l’eliminazione del vano ascensore, una minore estensione in lunghezza del fabbricato, con conseguente suo minor impatto visivo nel contesto paesisticamente tutelato.

Viceversa, il progetto presentato nel novembre 1994 da L. L. viola la prescrizione surriferita in quanto contempla comunque la realizzazione di tre corpi traslando il vano ascensore in una struttura a torretta e a se stante in adiacenza al secondo dei volumi principali e rendendo in tal modo l’edificio difforme dal contenuto della tavola dello strumento urbanistico attuativo per sagoma, giacitura e caratteri architettonici; e, del resto, nella stessa consulenza tecnica di parte ricorrente prodotta quale doc. 14 nel primo grado di giudizio si dà comunque atto che l’edificio medesimo seguita ad articolarsi in tre volumi.

Né le tolleranze contemplate dall’art. 8 delle N.T.A. dello strumento attuativo possono ragionevolmente soccorrere nella specie, a fronte del rilevante scostamento del progetto – che stravolge, tra l’altro, il fronte assentito – rispetto ai contenuti salienti della disciplina di piano.

In tale contesto, quindi, il diniego opposto a L. L. risulta intrinsecamente legittimo laddove impone la presentazione di una "nuova soluzione progettuale che si attenga fedelmente all’architettonico approvato in sede S.U.A., a nulla valendo l’avvenuta approvazione da parte della Commissione Edilizia in quanto istituto che esprime un parere obbligatorio ma non vincolante".

4.5. In ordine al quarto e ultimo ordine di censure, l’infrapetizione non sussiste per quanto attiene alla parte del provvedimento impugnato con il quale l’Amministrazione Comunale ha affermato che gli oneri concessori conseguenti all’intervento dovevano essere ricalcolati in base alla sopravvenuta L.R. 7 aprile 1995 n. 25: e ciò in quanto la statuizione di tale ricalcolo – comunque naturaliter dovuta per effetto dello ius superveniens – non si configurava per certo come immediatamente lesiva a fronte dell’assorbente diniego opposto alla realizzazione dell’intervento medesimo.

Per quanto attiene invece alla dedotta circostanza che il diniego di rilascio della concessione edilizia è stato emesso dopo aver acquisito un parere dell’Ufficio beni ambientali della Regione Liguria, la circostanza stessa non costituisce per certo un vizio di legittimità del diniego medesimo, trattandosi di informale e del tutto legittima consultazione tra Amministrazione delegante e Amministrazione delegata, che evidenzia – semmai – l’estrema ponderazione che l’Amministrazione comunale ha adibito nella trattazione della pratica prima di incidere negativamente sulla posizione della ricorrente.

5.- L’esito del giudizio comporta ovviamente anche il rigetto della domanda di risarcimento dei danni, indipendentemente dalla forte genericità della stessa.

6. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati tra le parti, in quanto – come rettamente rilevato dal giudice di primo grado – l’invero anomala protrazione nel tempo della procedura è imputabile anche al fatto dell’Amministrazione comunale, la quale soltanto nel 2000 ha assunto un provvedimento espresso a fronte di una domanda ad essa presentata sei anni prima.

Va viceversa dichiarato irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Dichiara irripetibile il contributo unificato di cui all’art. 9 e ss. del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e successive modifiche.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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