Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-05-2011, n. 2757 Diritto comunitario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ga dell’avvocato Manzi;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con distinti ricorsi al Pretore di Lecce, proposti nel corso del 1994, gli odierni appellanti, lettori di lingua straniera, impiegati per vari anni presso l’Università degli studi di Lecce, chiedevano che fosse accertata la natura subordinata e a tempo indeterminato del loro rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Università, in virtù di contratti stipulati ai sensi dell’art. 28, d.P.R. n. 382/1980 e via via rinnovati, e chiedevano la loro riassunzione in servizio e l’accertamento del loro diritto al giusto trattamento retributivo e alla regolarizzazione contributiva.

2. Il Pretore adito – con la sentenza del 20 gennaio 1997 – accertava l’esistenza di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dalla data di stipulazione, per ciascun ricorrente, del primo contratto a termine.

3. La sentenza veniva appellata sia dai lettori che dall’Università, e il Tribunale di Lecce, con sentenza del 20 giugno 2000, respingeva gli appelli.

4. I lettori proponevano ricorso per cassazione, affidato a quindici motivi di ricorso.

5. La Cassazione, con la sentenza 9 marzo 2003 n. 4051, accoglieva il quarto e il quindicesimo motivo di ricorso e rimetteva le parti davanti alla Corte di appello di Bari, in ordine:

a) alla questione della spettanza del trattamento economico durante gli intervalli non lavorati tra un contratto a termine e un altro, stante la manifestata disponibilità dei lettori a lavorare;

b) al riconoscimento dell’anzianità di servizio e della progressione di carriera.

6. La Corte di appello di Bari, con la sentenza 26 febbraio – 8 aprile 2008 n. 371:

a) ha escluso, previo accertamento in fatto, la sussistenza della mora accipiendi dell’Università in ordine agli intervalli non lavorati;

b) ha affermato che va ricostruita "la posizione lavorativa dei lettori, ai fini della progressione in carriera nonché dei futuri aumenti stipendiali, riconoscendo l’anzianità maturata e sotto il profilo contributivo e sotto quello retributivo a far tempo dalla data di stipulazione del primo contratto sottoscritto da ciascun ricorrente", escludendo, peraltro, come già affermato dalla Corte di Cassazione, che si potessero riconoscere alcune voci, disattese dalla stessa Corte in relazione al 14° motivo di ricorso e, segnatamente "gli scatti di anzianità, le tredicesime e l’indennità di contingenza" (pag. 11 della sentenza della Corte di appello).

Nel corso del giudizio di appello, i lettori invocavano l’applicazione dell’art. 1, d.l. n. 2/2004, convertito in l. n. 63/2004, quale ius superveniens, e dunque il trattamento retributivo parificato a quello del ricercatore confermato a tempo definito. La Corte di appello ha disatteso tale domanda, ritenendo trattarsi di questioni precluse dal giudicato, essendo già state esaminate dalla Corte di Cassazione e respinte senza rinvio (pag. 12 della sentenza della Corte di appello).

La Corte d’appello ha inoltre disatteso le questioni concernenti l’adeguamento retributivo, gli scatti di anzianità, le tredicesime mensilità e l’indennità di contingenza.

7. Per l’ottemperanza a tale sentenza, gli odierni appellanti adivano il Tar Puglia – Lecce, col ricorso n. 1353 del 2009.

Nel corso del giudizio di ottemperanza, dalla documentazione depositata dall’Amministrazione emergeva che quest’ultima aveva predisposto un contratto collettivo decentrato per collaboratori ed esperti linguistici/ex lettori di madre lingua, datato 29 giugno 2009, con cui procedeva a ricostruzione della carriera e a progressione economica, con riconoscimento, anche ai fini economici, dell’anzianità maturata, sula base di un meccanismo organizzato su scatti biennali.

8. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe (23 giugno 2010 n. 1594), ha ritenuto che il meccanismo di ricostruzione della carriera adottato dall’Università sarebbe illegittimo nella parte in cui ha fatto decorrere la ricostruzione della carriera a far data dalla stipulazione del contratto a tempo indeterminato, anziché dalla data di stipulazione, per ciascun lettore, del primo contratto a tempo determinato.

Per l’effetto, il ricorso per ottemperanza è stato accolto in parte qua.

9. Hanno proposto appello gli originari ricorrenti, lamentando che non sarebbe stata data corretta ottemperanza al giudicato, atteso che il contratto collettivo integrativo conterrebbe criteri di ricostruzione della carriera non conformi a quanto previsto dalla l. n. 63/2004, che prevede una progressione economica per classi stipendiali biennali e una progressione di carriera sulla base di scatti di anzianità biennali.

Tale legge sarebbe pienamente applicabile, anche d’ufficio dal giudice, in quanto approvata per eseguire la decisione della Corte di giustizia CE 26 giugno 2001 C212/99.

La Corte Cassazione non avrebbe potuto tener conto di tale legge, perché non ancora entrata in vigore quando essa si è pronunciata.

Tuttavia, la sentenza della Corte di giustizia Ce 18 luglio 2006 avrebbe affermato che solo con la citata l. n. 63/2004 lo Stato italiano ha posto fine alla violazione, nei confronti dei lettori di lingua straniera, dei principi comunitari di non discriminazione.

10. Si è costituita l’Università degli studi del Salento che ha eccepito:

a) l’inammissibilità dell’appello, perché la sentenza di primo grado conterrebbe misure meramente attuative del giudicato;

b) l’inammissibilità dell’appello sotto altro profilo, perché con esso si pretenderebbe di ottenere in sede di ottemperanza prestazioni la cui spettanza è stata già esclusa dal giudicato della Corte di appello di Bari e dalla precedente sentenza della Corte di Cassazione.

11. Così ricostruite le vicende che hanno condotto al secondo grado del giudizio, ritiene la Sezione che va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, fondata sull’assunto che la sentenza di primo grado non sarebbe appellabile, perché conterrebbe misure meramente attuative del giudicato.

L’art. 114, co. 8, c.p.a., si limita a stabilire che le disposizioni dettate per il giudizio di ottemperanza di primo grado si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell’ottemperanza.

Conformemente alla consolidata giurisprudenza che in precedenza aveva rilevato l’applicabilità del principio del doppio grado del giudizio, desumibile dall’art. 125 della Costituzione, il codice non ha previsto alcun limite all’appellabilità delle sentenze emesse nel giudizio di ottemperanza, salvo il solo limite dell’interesse ad agire, radicato dalla soccombenza.

Avuto riguardo alla portata della sentenza di primo grado e alle censure sollevate con l’atto di appello, si profila indubbiamente una soccombenza degli appellanti, atteso che la ricostruzione della carriera è avvenuta sulla base di criteri meno favorevoli di quelli invocati, sicché il gravame risulta – sotto tale profilo – ammissibile.

12. Passando all’esame del merito, gli appellanti contestano i criteri di ricostruzione della progressione economica e di carriera loro applicati dall’Amministrazione, sulla base di un contratto collettivo integrativo.

Essi invocano l’applicazione dell’art. 1, d.l. n. 2/2004, convertito nella l. n. 63/2004, per il quale "in esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 26 giugno 2001 nella causa C212/99, ai collaboratori lingustici, ex lettori di madre lingua straniera delle Università degli studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, La Sapienza di Roma e de L’Orientale di Napoli, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, abrogato dall’articolo 4, comma 5, del decretolegge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236, è attribuito, proporzionalmente all’impegno orario assolto, tenendo conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli; tale equiparazione è disposta ai soli fini economici ed esclude l’esercizio da parte dei predetti collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente".

12.1. Osserva al riguardo la Sezione che l’appello va respinto, non sussistendo il presupposto per l’attivazione del giudizio di ottemperanza, vale a dire la dedotta inottemperanza dell’Amministrazione.

Invero, nel corso del giudizio di appello definito con la sentenza della Corte di appello di Bari, con la sentenza 26 febbraio – 8 aprile 2008 n. 371, i lettori invocavano l’applicazione dell’art. 1, d.l. n. 2/2004, convertito in l. n. 63/2004, quale ius superveniens, e dunque il trattamento retributivo parificato a quello del ricercatore confermato a tempo definito.

La Corte di appello ha espressamente respinto tale domanda, ritenendo trattarsi di questioni precluse dal giudicato, essendo già state esaminate dalla Corte di Cassazione e respinte senza rinvio (pag. 12, sentenza della Corte di appello).

La Corte d’appello ha inoltre disatteso le pretese concernenti l’adeguamento retributivo, gli scatti di anzianità, le tredicesime mensilità e l’indennità di contingenza

Si è dunque formato un giudicato ostativo al riconoscimento delle spettanze di cui all’art. 1, d.l. n. 2/2004.

L’Amministrazione, pertanto, si è attenuta alla prescrizioni del giudicato.

12.2. Nel presente giudizio, a ben vedere, non si chiede l’esecuzione del giudicato, che è stato rigorosamente eseguito dall’Amministrazione, ma si chiede la disapplicazione del giudicato e la diretta applicazione del jus superveniens.

Tale pretesa, tuttavia, va oltre quanto disposto dal giudicato di cui si chiede l’esecuzione in questa sede, e non può pertanto essere introdotta nel giudizio di ottemperanza, trattandosi di nuova questione di cognizione.

12.3. Il Collegio non ignora che il diritto comunitario prevede casi in cui il giudice nazionale deve disapplicare la norma interna sull’autorità del giudicato se il giudicato si pone in contrasto con il diritto comunitario (cfr. Corte di giustizia CE, 18 luglio 2007 C119/05).

Tale potere, tuttavia, non può essere esercitato in un giudizio di esecuzione, necessitando un nuovo giudizio di cognizione davanti al giudice munito di giurisdizione, che verifichi se il giudicato si ponga o meno effettivamente in contrasto con il diritto comunitario e se vada o meno, conseguentemente, disapplicato.

E, invero, il giudizio di ottemperanza in relazione ai giudicati del giudice ordinario è attivabile unicamente "al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato" (art. 112, co. 2, lett. c), c.p.a.), e cioè per dare esecuzione a specifiche statuizioni rimaste ineseguite, e non anche per introdurre nuove questioni di cognizione, per di più riservate alla giurisdizione del giudice ordinario.

13. In conclusione, l’appello va respinto.

La complessità delle questioni giustifica la compensazione delle spese di lite del secondo grado.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 405 del 2011, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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