Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-08-2011, n. 17892

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nendosi al rinvio successivamente chiede l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

Con atto del 1987, G.A.B. conveniva di fronte al tribunale di Arezzo la propria moglie separata F.F. V.O., assumendo che la Fiorentina spa aveva alienato alla donna un castello, specificando peraltro che il denaro occorrente per l’acquisto ed il restauro era stato fornito da esso attore; chiedeva pertanto di essere riconosciuto unico proprietario dell’immobile, svolgendo in subordine domanda di indebito arricchimento.

Nella resistenza della convenuta, con sentenza non definitiva, l’adito tribunale rilevato il difetto delle necessaria forma scritta, respingeva la domanda principale, mentre disponeva le prosecuzione del giudizio relativamente alla domanda di indebito arricchimento.

Il B.G. proponeva appello immediato avverso la sentenza non definitiva, prospettando la tesi della simulazione relativa.

La controparte resisteva anche a tale impugnazione e la Corte di appello di Firenze rigettava anche tale gravame.

Passata in giudicato tale decisione, il B.G., con atto in data 25.7.2003, ne proponeva domanda di revocazione fondata sul rinvenimento, nel marzo del 2003 di un documento decisivo, di cui egli ignorava l’esistenza.

Si costituiva la controparte, eccependo la tardività dell’impugnazione, la scarsa credibilità intrinseca del documento e la mancanza di prova in ordine all’esercizio dell’ordinaria diligenza in relazione al tempestivo rinvenimento dello stesso. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 2005, dichiarava inammissibile l’impugnazione per revocazione e regolava le spese.

Riportato integralmente il testo del documento in questione, la Corte gigliata rilevava trattarsi di una dichiarazione asseritamente proveniente da persona ormai deceduta e che, redatta in forma di lettera, sarebbe rimasta tra le carte del defunto mittente e non tra quelle del destinatario, dichiarazione peraltro non risolutiva, in quanto riferirebbe di intenzioni e non di fatti avvenuti.

Ma prevaleva il profilo dell’inammissibilità dell’impugnazione, difettando la prova della tempestività dell’impugnazione stessa e della impossibilità di produrre in giudizio quel documento a causa di forza maggiore o fatto dell’avversario. Per la cassazione di tale sentenza ricorre sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria, il B.G.; resiste la controparte con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 398, comma 2, art. 116, art. 187, comma 4 e art. 245 c.p.c., sostanzialmente dolendosi del fatto che la Corte gigliata avesse ritenuto che egli non solo non avesse provato, ma neppure avesse indicato la data di ritrovamento del documento in questione, sostenendo di averlo fatto e di aver spiegato anche le ragioni per cui il ritrovamento era avvenuto nel marzo del 2003 tra le carte del suo defunto parente ad opera di un impiegato dello stesso, ma come di tanto egli aveva avuto contezza e disponibilità solo nel luglio dello stesso anno.

La doglianza non ha pregio; a parte la assoluta inverosimiglianza della ricostruzione operata dall’odierno ricorrente, resta la circostanza della carenza di prova specifica al riguardo, la mancata espressa, tempestiva indicazione della data del ritrovamento e la arbitrarietà della indicazione delle date, non suffragabile con una deposizione testimoniale e adir poco generica: il mezzo non può pertanto trovare accoglimento, non risultando la violazione di alcuna delle norme invocate.

Con il secondo motivo ci si duole di violazione dell’art. 395 c.p.c., nn 2 e 3, lamentandosi che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto che la revocazione sarebbe stata richiesta ai sensi del n 2 dell’art. 395 citato, mentre l’odierno ricorrente aveva invocato il n 3 della stessa norma, adducendo di aver ignorato l’esistenza del documento de quo, rendendo così ininfluente la parte delle motivazione con cui si era rilevata la mancata attività da parte sua onde indurre il fratello a produrre il documento.

In realtà, egli ignorava l’esistenza del documento stesso e lo stato dei rapporti tra fratelli e con il comune genitore costituiva la ragione per cui egli non era stato informato della esistenza di quel documento donde la sussistenza della causa di forza maggiore.

La doglianza, anche esaminata sotto il profilo dell’art. 395 c.p.c., n 3, non ha pregio; invero, la fantasiosa e non provata ricostruzione dei rapporti familiari costituisce una giustificazione assai poco credibile della vicenda, atteso che il genitore era deceduto nel corso del processo di primo grado, ed è quanto meno presumibile che le sue carte siano state oggetto di attento esame da parte degli eredi.

In ogni modo, il concetto di forza maggiore rilevante ai fini della applicazione delle norma impugnata non comprende certo ipotesi di scarsa attenzione o di errata percezione di una documentazione disponibile per la parte che la invoca.

Anche tale mezzo non può pertanto trovare accoglimento.

Il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 116 e 215 c.p.c.; in realtà, la doglianza, a parte una poco argomentata affermazione di non disconoscimento del documento, critica la valutazione che dello stesso è stata data dalla Corte gigliata, che ne aveva rilevato la scarsa incidenza sulla ricostruzione dello svolgimento dei fatti, peraltro sulla sola base della asserzione secondo cui la lettera de qua sarebbe la prova documentale della simulazione dell’atto di vendita del castello.

A parte la considerazione secondo cui la interpretazione dei documenti è affidata istituzionalmente all’apprezzamento discrezionale del giudice del merito e non è sindacabile in sede di legittimità, purchè rispettosa dei canoni logici e tecnici che devono sorreggerla, nella specie non si accenna neppure a quali canoni ermeneutici sarebbero stati violati, nè si procede ad una analisi specifica del documento in questione, con precisazione dei motivi per cui lo stesso dimostrerebbe che vi fosse stata simulazione, così rivelando una assoluta genericità, che non può che portare al rigetto del motivo e, con esso, del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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