Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-01-2011) 06-05-2011, n. 17818

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

he chiede l’accoglimento dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 21-l-2010 la Corte di Appello di Bari, riformava parzialmente le sentenza emessa dal Tribunale di Bari in data 29.1.2006 nei confronti di P.M. dichiarato responsabile di tentativo di estorsione, in tale reato assorbita la fattispecie di minacce, e riqualificato il fatto contestato ai sensi dell’art. 612 cpv. c.p., determinava la pena in mesi sei di reclusione concedendo all’imputato i doppi benefici.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo che – in fatto – si contestava al P. di aver costretto la donna con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, a mantenere tale legame extraconiugale, e di aver tentato di compiere nel luogo di lavoro atti sessuali descritti in epigrafe, minacciandola di uccidere suo figlio di dodici anni.

Pertanto la prima parte dell’imputazione riguardava la coazione esercitata sulla donna al fine di ottenere il prosieguo del rapporto, e la seconda parte riguardava la minaccia di morte diretta al figlio della persona offesa, R.T..

La parte offesa era stata ritenuta dalla Corte di Appello non credibile sulla indicazione della circostanza che la relazione con l’imputato fosse stata interrotta dal 1997, mentre essa era durata dal 1996 al 2002.

Diversamente la Corte di merito aveva ritenuto credibile la parte lesa, in relazione all’episodio avvenuto nel maggio del 2003, rilevando che era legittima la valutazione frazionata della deposizione.

La difesa deduceva – con il primo motivo – la inapplicabilità alla deposizione della persona offesa degli artt. 192, 197 e 198 c.p.p. rilevando che il teste – ai sensi dell’art. 497 c.p.p. – deve dire tutta la verità e non sono ammissibili deposizioni parzialmente recepibili. (citava giurisprudenza sulla incompatibilità tra il ruolo di testimone e quello di imputato di reato connesso);

2 – Deduceva altresì la violazione dell’art. 192 c.p.p. per omessa motivazione sulla condotta manifestata dalla persona offesa, che aveva falsamente affermato che la relazione era da tempo cessata, accusando l’imputato di averla ricattata e violentata per oltre cinque anni.

3 – Inoltre deduceva illogicità della motivazione, osservando che la Corte aveva considerato, a fl. 43 della sentenza, che per gli episodi iniziati il (OMISSIS), era da ritenere che i fatti si fossero verificati in epoca in cui la relazione era cessata, e l’imputato era stato condannato.

Sul punto evidenziava invece che l’imputato era stato assolto in primo grado, con sentenza divenuta definitiva,dal reato di violenza sessuale.

Pertanto riteneva errata la motivazione sulla base di un presupposto siffatto, per cui si era ritenuta inattendibile la persona offesa solo per i fatti avvenuti nel periodo in cui la relazione era consensuale.

In tal senso la difesa riteneva illogica e incongruente la sentenza impugnata, avendo ritenuto da una parte di dover condividere in punto di fatto quanto rilevato dal Tribunale, per la falsità dell’accusa di violenza sessuale, e d’altra parte aveva ritenuto fondata l’accusa di minacce, che riguardava una condotta avvenuta nel medesimo contesto.

5 – Con il quarto motivo il ricorrente censurava la sentenza per mancata valutazione di riscontri alle dichiarazioni di parte offesa e per mancata valutazione delle deduzioni contenute in una memoria, che riguardava riscontri alla versione dell’imputato di natura documentale.

Rilevava anche che la Corte avrebbe potuto assolvere il P. essendo ragionevole il dubbio sulla responsabilità. 6 – Con ulteriore motivo deduceva la violazione dell’art. 538 c.p.p. per le statuizioni civili, in ordine alle quali rilevava che la Corte aveva confermato la decisione del Tribunale che non aveva indicato in motivazione i parametri per la liquidazione dei danni.

Peraltro si riteneva la sentenza di appello illogica, avendo essa ridimensionato la penale responsabilità del P., mantenendo inalterata la condanna al risarcimento, in ordine alla quale avrebbe dovuto essere valutata la effettiva gravità del fatto.

Inoltre la Corte aveva omesso di motivare sulla mancata indicazione di parametri di liquidazione, mentre d’altra parte la condanna per le statuizioni civili era esecutiva, per un importo pari a Euro 10.000,00.

Da ultimo il ricorrente chiedeva la revoca della sospensione condizionale, e l’applicazione dell’indulto.
Motivi della decisione

La Corte rileva che appaiono infondati i motivi inerenti ai dedotti vizi della motivazione, oltre che alla erronea valutazione della deposizione della persona offesa dal reato.

Invero la sentenza impugnata si basa sulla corretta disamina delle emergenze probatorie, ritualmente esaminando le dichiarazioni della persona offesa. Al riguardo non si configura la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 192-197-198 c.p.p. richiamati nei motivi di ricorso, ed appare erronea la deduzione inerente alla valutazione di parziale attendibilità della persona offesa.

Invero, la sentenza offre una specifica e adeguata motivazione, che vale a contrastare l’assunto difensivo delle incongruenze degli elementi addotti dalla parte lesa, con argomentazioni che rilevano la correttezza del giudizio di primo grado (v. fl 42-43 della motivazione, laddove si era scisso il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, negando al tempo stesso che si configurasse una interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa (relativa alla violenza sessuale, durata della relazione sentimentale) e le residue dichiarazioni, inerenti al tentativo di estorsione. In presenza di una motivazione che evidenzia, inoltre, come le dichiarazioni della persona offesa fossero dotate di riscontri (v. fl44 della sentenza che menziona l’esistenza delle testimonianze di altri testi ed evidenzia altresì la convergenza delle risultanze idonee a sostenere l’accusa), deve rilevarsi la manifesta infondatezza delle doglianze difensive circa la violazione delle norme inerenti alla valutazione degli elementi di prova a carico del P., in relazione ai fatti per i quali risulta condannato,mentre resta ininfluente il rilievo dell’avvenuta assoluzione per reato di violenza sessuale, trattandosi di fattispecie distinte ed autonome nella valutazione resa dal giudice di appello.

D’altra parte resta certa anche la esauriente analisi della versione fornita dall’imputato a fl. 44 della sentenza impugnata ove si rileva che la tesi dell’imputato appare inverosimile (sia perchè contrastante con quella resa dalla parte lesa, corroborata come già evidenziato da altre testimonianze, sia perchè il prevenuto non aveva dato conto delle ragioni del proprio accanimento e delle ragioni per le quali aveva inviato alla donna – con la quale vi era stata una relazione sentimentale – copia di fotogrammi riferiti agli atteggiamenti della vita intima. (v. quanto emerge dalla globale motivazione a fl. 44-45 sul punto).

Devono dunque ritenersi congrue ed esaurienti, le valutazioni espresse dal giudice di appello sulle risultanze processuali, puntualmente richiamate, sì da rendere incensurabile tale motivazione nel giudizio di legittimità.

In tal senso devono ritenersi prive di fondamento le censure formulate con i motivi di ricorso, restando la esauriente e logica motivazione adeguata in senso globale a contrastare la tesi difensiva, anche con riferimento alla memoria che appare riferita alla versione resa dall’imputato, avendo la Corte dato spiegazione esauriente della valutazione di inattendibilità del P., e dunque restando superate altre argomentazioni addotte in senso favorevole a tale versione dal difensore.

Va ugualmente rilevata l’inammissibilità del motivo inerente alla revoca della sospensione condizionale della pena,basato sull’applicazione dì tale beneficio fatta dal Giudice ex officio, atteso che trattasi di valutazione discrezionale del giudice di merito, compiuta formulando un giudizio prognostico sulla pericolosità del prevenuto riconducibile ai criteri dettati dall’art. 133 c.p., non suscettibile di revisione in sede di legittimità. La revoca del beneficio può essere nuovamente esaminata in sede esecutiva.

Deve ritenersi invece dotato di fondamento il motivo di ricorso, che censura la motivazione relativa alle disposizioni civili, ai sensi dell’art. 538 c.p.p.. Al riguardo deve evidenziarsi che il giudice di merito ha motivato genericamente sulla congruità della somma liquidata dal primo giudice a titolo di risarcimento del danno, avendo la difesa rilevato che il primo giudice nel determinare l’entità della somma liquidata non aveva indicato i parametri seguiti per tale liquidazione e che deve tenersi conto della intervenuta assoluzione dal reato di violenza sessuale. In tal senso rilevandosi che ricorrono le condizioni per l’annullamento della sentenza sul puntola Corte può disporre la riduzione della somma liquidata alla somma di Euro 8.000,00-,rilevata la ritualità dei rilievi difensivi circa l’eccessiva entità del risarcimento in relazione alla fattispecie per la quale risulta intervenuta condanna.

Conseguentemente va pronunziato l’annullamento senza rinvio della sentenza di cui si tratta limitatamente alla liquidazione del danno,mentre va rigettato nel resto il ricorso.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili e liquida a titolo di risarcimento dei danni la somma di Euro 8.000,00.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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