Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 06-05-2011, n. 17804 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rente nella persona dell’Avv. CETRONI CIRAOLO Maria Gabriella.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza dell’11 maggio 2010 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino del 21 maggio 2009 (con la quale M.G., imputato del reato di violenza sessuale in danno delle proprie figlie minori di anni (OMISSIS), era stato ritenuto colpevole del detto reato e condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di anni quindici di reclusione oltre alle pene accessorie di legge e al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite oltre provvisionale), riduceva la pena inflitta ad anni dieci e mesi sei di reclusione, confermando nel resto.

Con la detta sentenza la Corte Territoriale accoglieva parzialmente l’appello limitatamente all’entità della pena ritenuta eccessivamente gravosa, disattendendo invece i restanti motivi di appello con i quali, in via preliminare ed in ossequio alle disposizioni costituzionali sul giusto processo, era stata richiesta la parziale rinnovazione del dibattimento al fine di procedere alla (ri)audizione del teste di accusa M.C., ritenuta indispensabile in ragione del contrasto tra le sue dichiarazioni e quelle delle altre testi ( M.M. in particolare);

nel merito, sollecitata l’assoluzione per insussistenza del fatto sottolineandosi oltre alla incertezza della prova, anche la inattendibilità dei testi persone offese; in subordine richiesta la concessione delle circostanze attenuanti generiche da ritenersi quanto meno equivalenti alle aggravanti.

Anche i motivi nuovi con i quali la difesa aveva prospettato ulteriori profili di inattendibilità delle dichiarazioni del teste di accusa M.M. desumibili dalle sue stesse dichiarazioni erano stati disattesi dalla Corte che aveva escluso che le domande rivolte alla minore dal GIP in sede di incidente probatorio fossero suggestive e che si fosse trattato di un esame sostanzialmente "pilotato" della minore affinchè costei confermasse le accuse precedenti.

Propone ricorso per cassazione l’imputato personalmente censurando la motivazione contenuta nella sentenza in quanto manifestamente illogica e carente in ordine al diniego della richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale finalizzata al (ri)ascolto della minore M.C..

Censura, sotto altro profilo, la motivazione su tale punto in quanto contraddittoria ed illogica sottolineando come fosse stata la stessa Corte territoriale a ritenere che un possibile esame della ragazza avrebbe potuto forse apportare delle novità.

Con altro motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione con riguardo al giudizio di attendibilità espresso sul conto della minore M.M. ribadendone le connotazioni negative.

Ricorre contro la sentenza anche il difensore fiduciario dell’imputato deducendo con un primo motivo vizio di motivazione della sentenza sul punto relativo alla affermazione di colpevolezza dell’imputato basata su una serie di stralci delle testimonianze raccolte nel giudizio di primo grado senza alcuna disamina critica delle risultanze processuali nel loro insieme e senza alcun approfondimento specifico sulla valenza di tali testimonianze.

Con un secondo motivo ha censurato la sentenza nella parte in cui non si è proceduto ad un nuovo esame della minore M.C. nonostante l’esplicita richiesta di integrazione probatoria ex art. 507 c.p.p. formulata in prime cure e reiterata in grado di appello attraverso la richiesta di cui all’art. 603 c.p.p., evidenziando come la motivazione data dalla Corte di Appello in merito alla superfluità della ripetizione dell’esame della minore fosse assolutamente lacunosa.

Con altro motivo la difesa ha sollecitato la concessione delle circostanze attenuanti generiche in relazione alla particolare situazione familiare e sociale dell’imputato.

Con motivi nuovi ritualmente e tempestivamente depositati il difensore fiduciario ha evidenziato ulteriori aspetti di inattendibilità delle dichiarazioni della teste M.M. in quanto asseritamente condizionate da influenze esterne legate a precedenti contatti della tese con gli operatori sociali, con i medici e con gli inquirenti.

Con memoria depositata via fax il 14 gennaio 2011 il difensore di ufficio reitera la censura di difetto di motivazione sul punto concernente il diniego di rinnovazione parziale, evidenziando il contrasto di tale decisione con l’art. 6 CEDU e con l’art. 111 Cost. nella misura in cui sarebbe stato impedito all’imputato di far interrogare i testimoni a discarico.

Il ricorso è infondato.

Poichè il principale motivo di ricorso risiede nella critica rivolta alla sentenza nel non avere motivato le ragioni per le quali non si è proceduto ad un nuovo esame del teste M.C. (figlia maggiorenne dell’imputato), occorre premettere che la vicenda processuale in esame doviziosamente ricostruita nei suoi passaggi essenziali dalla Corte di Appello, attiene ad una serie di abusi sessuali commessi dall’odierno ricorrente in danno delle proprie figlie G., M. e C. minori di età al momento dei fatti.

La Corte territoriale nel ripercorrere le vicende essenziali riguardanti le minori abusate, ha anche analiticamente valutato la portata delle dichiarazioni di tenore spiccatamente accusatorio promananti da una delle figlie dell’imputato ( M.), qualificandole come particolarmente attendibili in contrapposizione alle dichiarazioni della figlia maggiore C. tendenzialmente protettive nei riguardi del proprio genitore e nel complesso dell’intero contesto familiare.

L’analisi condotta dalla Corte non appare contrassegnata da salti logici ed anzi si caratterizza per una disamina approfondita, fino a spiegare in modo razionale le ragioni delle disarmonie tra le due sorelle, che certamente ha contribuito a fare chiarezza proprio sul versante dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca delle due minori abusate.

In modo puntuale ed esauriente la Corte ha escluso quei rischi derivanti da possibili influenze di fattori esterni che possono aver condizionato – secondo l’impostazione difensiva – le dichiarazioni delle due minori ( M. e C.).

Appare in questo senso condivisibile il richiamo fatto in sentenza al concetto di suggestionabilità del minore ed alla sua influenza sul giudizio di attendibilità, escludendo in modo del tutto convincente che le due minori possano essere state suggestionate nei loro racconti (vds. pagg. 31-32 della sentenza impugnata).

Corretto anche il riferimento alla limitata valenza delle prescrizioni derivanti dalla adozione della c.d. "Carta di Noto", la cui eventuale inosservanza – come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte – non implica alcuna ipotesi di nullità dell’esame dei minori abusati, non assumendo quelle prescrizioni valore normativo, quanto piuttosto valore di suggerimento diretto a garantire l’attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, come illustrato nelle premesse della Carta medesima (Cass. Sez. 3A 10.4.2008 n. 20658, Gruden, Rv. 239879).

Da quanto sin qui detto si perviene alla conclusione che le doglianze mosse con riferimento ad una carenza motivazionale sul versante della inattendibilità delle dichiarazioni non ha fondamento tanto più che la Corte ha analizzato le dichiarazioni delle minori comparandole anche con le risultanze derivanti da altre prove dichiarative e saldando le une alle altre con metodologia assolutamente coerente con le risultanze processuali.

Peraltro è noto che il testimone persona offesa, proprio perchè portatore di interessi antagonistici rispetto all’imputato, deve essere sottoposto ad un particolare vaglio critico che tuttavia non autorizza a ritenere inattendibile le sue dichiarazioni in presenza di mere congetture, occorrendo, invece, che siano raccolti elementi positivi idonei a rendere plausibile dal punto di vista oggettivo la mendacità del testimone-persona offesa (in tal senso Cass. Sez. 6A 24.2.1997 n. 4946; Cass. Sez. 2A 26.4.1994 n. 7241).

Tale rigore valutativo deve essere ancora più penetrante in tutti quei casi in cui il testimone-persona offesa, le cui dichiarazioni costituiscano il nucleo fondante probatorio a carico dell’imputato (come tali pienamente utilizzabili, non sussistendo particolari ostacoli processuali al loro ingresso), sia anche costituito parte civile e, dunque, portatore di interessi economici in conflitto con l’imputato, procedendo ove necessario ad una attività di riscontro estrinseco delle sue dichiarazioni (in questo senso Cass. Sez. 6A 4.11.2004 n. 443; Cass. Sez. 6A 3.6.2004 n. 33162; Cass. Sez. 3A 26.8.1999 n. 11829; Cass. Sez. 4A 5.2.1997 n. 1027). E, proprio con riguardo alla peculiarità dei reati in materia sessuale, la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito tali principi in aggiunta alla regola della non necessità di riscontri estrinseci, a condizione, comunque, che il processo valutativo sulla attendibilità sia stato compiuto senza incongruenze o salti logici, senza che possa assumere rilievo negativo la circostanza che il teste abbia su alcuni particolari riferito circostanze per le quali non sia stata raggiunta la prova della credibilità e su altre riferito fatti intrinsecamente credibili, ben potendo essere ammessa la c.d. "valutazione frazionata" delle dichiarazioni della parte offesa specificamente nella materia dei reati contro la libertà sessuale (in termini, Cass. Sez. 3A 3.12.2010 n. 1818, L.C., Rv. 249136; Sez. 3A 26.9.2006 n. 40170, Gentile, Rv. 235575).

Inoltre non va trascurato il fatto che essendo stato denunciato vizio di motivazione per mancanza o manifesta illogicità di essa in ordine alla valutazione di una prova, il sindacato in sede di legittimità come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte "è necessariamente circoscritto alla sola verifica della sussistenza dell’esposizione dei fatti probatori e dei criteri adottati al fine di apprezzarne la rilevanza giuridica nonchè della congruità logica del ragionamento sviluppato nel testo del provvedimento impugnato rispetto alle decisioni conclusive" (Cass. Sez. 3A 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo). Da qui l’impossibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, tranne che non si versi in ipotesi di apoditticità o illogicità della relativa affermazione. Orbene, con riferimento alla vicenda in esame, la Corte di merito si è attenuta scrupolosamente a tutte queste regole interpretative, saggiando la attendibilità del teste con quel rigore metodologico imposto, più ancora che regole astratte, dalla particolare realtà processuale.

Quanto sopra consente allora di disattendere l’ulteriore rilievo difensivo contenuto nel ricorso (sia quello a firma dell’imputato che quello a firma del suo difensore fiduciario), riguardante la omessa e/o illogica motivazione data dalla Corte alla richiesta di rinnovazione parziale dell’istruzione dibattimentale.

Anche in questo caso, infatti, la Corte ha in modo convincente spiegato – condividendole – le ragioni per le quali già nel corso del dibattimento di primo grado era stata rigettata la richiesta difensiva ex art. 507 c.p.p., volta ad un riesame della minore M.C. chiarendo che non apparivano chiaramente esplicitate le ragioni alla base di tale istanza istruttoria: non solo ma in via del tutto autonoma rispetto alle statuizioni sul punto assunte dal primo giudice la Corte ha ulteriormente spiegato in modo logico le ragioni per le quali quella richiesta dovesse essere disattesa.

Il richiamo sul punto alle motivazioni del primo giudice appare ispirato a criteri di logicità e completezza rendono la motivazione del tutto esente da vizi censurabili in sede di legittimità.

Il diniego di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale formulato in grado di appello è quindi una diretta conseguenza del ragionamento preliminare della Corte di Appello, sorretto oltre che da motivazione rispettosa dei principi ermeneutici che stanno alla base del detto istituto processuale (istituto, come è stato ripetutamente affermato, di carattere assolutamente eccezionale) anche da una motivazione specifica proprio in punto di superfluità o comunque non assoluta indispensabilità ai fini della decisione: la Corte ha infatti a ragione ritenuto l’istanza infondata, sottolineando – in modo corretto e logico, oltre che aderente al materiale probatorio esistente in atti – il pericolo prospettato dal perito psicologo per la teste in caso di una nuova ennesima audizione e sostanzialmente la superfluità di un esame indirizzato – per come emerge dalla sentenza impugnata – ad evidenziare piuttosto che circostanze decisive ai fini della posizione processuale dell’imputato, i contrasti esistenti tra le deposizioni di M. C. e quelle della sorella minore M. (vds. pag. 11 della sentenza impugnata).

Così come logica appare la spiegazione offerta dalla Corte in merito alla teorica possibilità di verificare possibili nuovi sviluppi nascenti dalle eventuali nuove dichiarazioni (vds. pagg. 7-13 della sentenza impugnata) che certamente collide con quel concetto di necessità sotteso alla parziale rinnovazione della istruzione.

Con altrettanta coerenza e logica la Corte ha rilevato anche l’infondatezza del rilievo difensivo circa una possibile lesione del diritto di difesa in caso di rigetto della richiesta di rinnovazione parziale.

In questo senso non appaiono meritevoli di accoglimento gli ulteriori rilievi contenuti nella memoria difensiva depositata in data 20 gennaio 2011 a cura del difensore di ufficio, oltretutto caratterizzati da genericità circa la rappresentata esigenza di sentire testi a discarico (peraltro non indicati) e la conseguente compressione dei diritti difensivi in violazione dell’art. 6 della CEDU. Invero non può non osservarsi come l’audizione della minore M. C. sia avvenuta nel corso del giudizio nel pieno rispetto delle regole processuali che esigono l’audizione protetta del minore e mirano ad evitare – attraverso il ricorso all’incidente probatorio – il rischio di una sovraesposizione del minore collegata ad una audizione dibattimentale.

Ciò esclude in radice che il diniego di riaudizione della minore (peraltro sentita in più occasioni nel corso del giudizio di primo grado) possa equivalere a ad una sorta di esame dei testimoni sbilanciato in favore della accusa, posto che – come già fato cenno – la Corte ha esaurientemente chiarito le ragioni della superfluità del nuovo esame.

Quanto al denunciato vizio di carenza della motivazione in punto di conferma della responsabilità del M., osserva la Corte che la motivazione del giudice territoriale è caratterizzata da una esauriente e particolareggiata disamina critica dell’intera vicenda con autonoma e coerente rielaborazione dell’intero compendio probatorio (costituito, è bene ricordarlo, non soltanto dalle dichiarazioni delle minori abusate, ma anche da un corteo di dichiarazioni di soggetti che a vario titolo hanno avuto contatti con le minori e che hanno consentito di ricostruire in modo completo l’intera complessa vicenda.

Si profila quindi infondata ed ingenerosa la critica rivolta alla sentenza asseritamente costituita da trasposizioni di stralci delle varie dichiarazioni testimoniali senza alcun processo di autonoma valutazione delle portata di esse.

Va in questa sede ribadito il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova poste a base delle rispettive decisioni, si salda ed integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 1A 26.6.2000 n. 8886; Cass. Sez. 1A 2.10.2003 n. 46350), con la conseguenza che è pienamente legittima una motivazione per relationem peraltro, nel caso di specie, non esauritasi nel mero richiamo alla sentenza del Tribunale, ma estesa anche all’analisi autonoma delle varie testimonianze raccolte in primo grado.

Infondate, in ultimo, risultano anche le censure in punto di trattamento sanzionatorio, non mancando di rilevare che oltre ad essere caratterizzate da genericità esse prospettano una rivisitazione di circostanze di fatto già prese in esame dalla Corte tanto che si è pervenuto a quella riduzione di pena operata proprio in rapporto al particolare contesto ambientale in cui è maturata l’intera vicenda.

Il ricorso, alla stregua di quanto fin qui argomentato, va rigettato.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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