Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 06-05-2011, n. 17803 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 12 gennaio 2010 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Forlì del 10 aprile 2009 (con la quale M.A., imputato del reato di violenza sessuale in danno di minore di anni dieci e lesioni personali aggravate era stato ritenuto colpevole dei detti reati e condannato, ritenuta la continuazione e con la diminuente per il rito, alla pena di anni cinque di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge e al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita), concedeva al detto imputato le circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti e riduceva la pena inflitta ad anni quattro di reclusione, confermando nel resto.

Con la detta sentenza la Corte Territoriale accoglieva parzialmente l’unico motivo di appello con il quale la difesa aveva sollecitato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con criterio di prevalenza e il contenimento della pena entro i limiti minimi edittali, concedendo le circostanze invocate ancorchè con criterio di equivalenza e riducendo la pena originaria.

Propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore denunciando violazione di legge ( art. 29 c.p.) per non avere la Corte sostituito la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pp.uu. con l’interdizione temporanea pur avendo ridotto la pena sotto il limite dei cinque anni di reclusione.

Con un secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine al criterio di bilanciamento tra circostanze di opposto segno, nulla avendo statuito la Corte territoriale sul punto, in quanto limitatasi a riconoscere le attenuanti con criterio di equivalenza.

Con un terzo motivo denuncia analogo vizio di motivazione nella parte in cui la Corte nulla aveva osservato in merito alla censura dell’appellante relativa all’eccessività dell’aumento per continuazione, limitandosi ad una riduzione globale della pena per effetto delle riconosciute attenuanti.

Il ricorso è parzialmente fondato sulla base delle considerazioni che seguono.

Quanto alla omessa motivazione in ordine al criterio di bilanciamento tra le concesse circostanze attenuanti generiche e la circostanza aggravante di cui all’art. 609 ter c.p., la Corte in modo certamente sintetico, ma non per questo carente, ha circoscritto la comparazione tra le circostanze di segno opposto in termini di mera equivalenza, facendo riferimento sostanzialmente alla gravità del fatto implicitamente ritenuta ostativa ad un diverso criterio di valutazione.

Nè da parte della Corte è stato segnalato un atteggiamento di revisione critica del proprio operato tale da incidere positivamente sul criterio di bilanciamento nei termini auspicati dalla difesa, apparendo evidente dalla stessa motivazione adottata dalla Corte per giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche come siano entrati in gioco prevalentemente ragioni di tipo processuale legate alla economia dei tempi di definizione del processo in rapporto alla confessione – peraltro ritenuta correttamente non integrale quanto alle modalità del fatto – resa dall’imputato.

Anche la censura relativa all’omessa motivazione da parte della Corte in merito all’aumento di pena per la ritenuta continuazione non è fondata avendo, seppur implicitamente, la Corte di Appello dato atto di un contenimento della pena derivante dal minimo edittale calcolato per la pena base doverosamente aumentato per la continuazione, senza che tu tale specifico punto vi fosse una doglianza specifica:

conseguentemente la Corte ha valutato la pena da infliggere secondo un criterio di globalità commisurato alla gravità del fatto, al numero e qualità dei reati, al grado di incidenza dell’elemento soggettivo del reato che costituiscono la base per quel calcolo della pena nei termini poi operati dalla Corte.

E’ invece fondato il motivo afferente alla mancata sostituzione della interdizione perpetua dai pubblici uffici con la interdizione temporanea, in dipendenza della intervenuta riduzione della pena entro limiti che imponevano la modifica della pena accessoria originaria: modifica che rientra nei poteri di questa Corte.

Va, pertanto su tale specifico punto annullata senza rinvio la sentenza impugnata, previa eliminazione della interdizione perpetua dai pubblici uffici e la sua sostituzione con l’interdizione temporanea per anni cinque.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla inflitta interdizione perpetua dai pubblici uffici che elimina, sostituendola con quella temporanea di anni cinque. Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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