Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-01-2011) 06-05-2011, n. 17799 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

reo.
Svolgimento del processo

Con sentenza 19 gennaio 2007 il tribunale di Udine dichiarò B.E. colpevole dei reati di cui: a) all’art. 610 c.p. perchè, quale autista di un autobus pubblico, non fermandosi alla fermata richiesta ma proseguendo la corsa per altre due fermate, costringeva Ba.Mi. a rimanere nel mezzo pubblico; b) all’art. 609 bis c.p. per avere, con violenza consistita nel mantenere chiuse le porte per alcuni minuti dopo aver fermato il mezzo, costretto la Ba. a subire atti sessuali, palpeggiandole il sedere, e, riconosciuta l’attenuante del fatto di minore gravità e le attenuanti generiche, lo condannò alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione.

La corte d’appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, dichiarò prescritto il reato di violenza privata, ridusse la pena per l’altro reato ad anni uno e mesi quattro di reclusione, e confermò nel resto la sentenza di primo grado.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della testimonianza dell’agente di polizia C., secondo il quale la Ba., dopo aver chiamato la polizia, aveva dichiarato che, mentre stava uscendo, dall’autobus, il B. aveva tentato di accarezzarle le natiche, ma senza riuscire nell’intento.

2) manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in ordine alla valutazione del teste L., fidanzato della Ba., relativamente alla fermata in cui l’autista aveva fermato l’autobus e la ragazza era scesa.

3) mancanza di motivazione su un punto decisivo, relativo all’esistenza del vetro di divisione del posto dell’autista ed al fatto che si era prima aperta la porta dell’autobus e poi quella del gabbiotto dell’autista.

Il 29.12.2010 il ricorrente ha depositato memoria difensiva.
Motivi della decisione

Il Procuratore generale, nella sua requisitoria, ha sostenuto che, dal contenuto delle sentenze di merito, emergerebbe che non sussiste una prova certa della sussistenza di un reato di violenza sessuale consumato ed ha pertanto chiesto che questa Corte provveda direttamente a qualificare il fatto di cui al capo B) come tentativo di violenza sessuale rinviando al giudice del merito per la determinazione della relativa pena.

La Corte concorda solo in parte con questa conclusione.

Risulta dalla deposizione testimoniale dell’agente C. (il quale era intervenuto sul posto dopo che la polizia era stata chiamata dalla Ba.) che la ragazza, nel raccontargli il fatto, gli aveva riferito che mentre stava scendendo dall’autobus ed aveva già impegnato l’uscita, l’autista si era proteso tentando di accarezzarle le natiche, senza però riuscirvi perchè lei si era defilata. Il testimone, rispondendo a precise domande del PM e della difesa, ha confermato che ciò era precisamente quanto la ragazza gli aveva riferito ed ha categoricamente escluso che la stessa, secondo le sue proprie dichiarazioni, fosse stata toccata con una mano sul sedere.

La sentenza impugnata, pur avendo riconosciuto l’assoluta buona fede nella percezione del fatto da parte dell’agente di polizia, ha ritenuto inattendibili le sue dichiarazioni e prevalenti le dichiarazioni dibattimentali della parte offesa, la quale in dibattimento aveva invece riferito che l’autista, al momento di scendere, l’aveva toccata sul sedere. La corte d’appello ha fondato il suo convincimento sulla prevalenza delle dichiarazioni dibattimentali della ragazza sulle seguenti considerazioni: a) nessuna contestazione era stata mossa alla teste durante il suo esame su tale specifico aspetto; b) non si era in presenza di un verbale di dichiarazioni della persona offesa; c) l’agente aveva riferito quanto percepito all’esito di un colloquio avvenuto in mezzo alla strada, a tarda sera, nel contesto di uno stato della ragazza di notevole agitazione; d) doveva quindi ritenersi che la ragazza avesse detto al poliziotto meno di quanto accadutole, come poteva desumersi anche dal fatto che dopo tre giorni, nella denuncia alla società degli autobus, aveva detto che l’imputato le aveva messo le mani addosso.

Si tratta di una motivazione in parte apodittica e in parte manifestamente illogica. Innanzitutto, non è spiegata la ragione per la quale si dovrebbe ritenere che la ragazza sia stata reticente ed abbia detto al poliziotto meno di quanto era in grado di dire, quando era stata la stessa ragazza a prendere l’iniziativa di chiamare la polizia per rendere dichiarazioni. In secondo luogo, non si è tenuto conto del fatto che la ragazza aveva spontaneamente (senza alcuna forma di condizionamento) riferito all’agente l’episodio occorsole per circa 15-20 minuti, in primavera, in condizioni climatiche buone, alla presenza del fidanzato (che peraltro non aveva interferito).

E’ quindi apodittico affermare che non aveva riferito la verità a causa delle condizioni logistiche o di uno stato di agitazione e ritenere poi che tale stato di agitazione abbia reso difficile al poliziotto percepire ciò che la ragazza gli riferiva. D’altra parte, la stessa sentenza impugnata da atto che la ragazza aveva concordato con il fidanzato la versione da raccontare ai poliziotti, ossia che soltanto il fidanzato aveva usato il motorino per inseguire l’autobus, ma non motiva sulla compatibilità di tale strategia con una situazione psicologica della ragazza tale da renderla incapace di riferire razionalmente. E nemmeno spiega la ragione per la quale il fidanzato non intervenne subito per correggere il racconto della ragazza.

La corte d’appello ha poi omesso di considerare la qualità del teste, che è un agente di polizia e quindi, per la sua professione, allenato a ricevere dichiarazioni altrui per poi tenerne conto.

E’ manifestamente illogica anche l’osservazione che durante l’esame dibattimentale non era stata mossa alla Ba. alcuna contestazione. La contestazione presuppone una precedente dichiarazione della stessa ragazza, mentre qui c’era solo la deposizione del teste C. e la relazione di servizio (pienamente utilizzabile e di fatto utilizzata dallo stesso PM). Che poi il PM non abbia ritenuto di approfondire la questione esaminando sul punto la persona offesa è circostanza che non può risolversi a danno dell’imputato. Manifestamente illogico è altresì il richiamo alla mancanza di un verbale di dichiarazioni della persona offesa, senza prendere in considerazione la circostanza che non era necessario redigere un verbale dato che la ragazza aveva dichiarato di non voler proporre querela.

Ritiene però il Collegio che non si possa procedere direttamente ad affermare la sussistenza di un fatto qualificabile come tentativo.

Difatti, gli evidenziati vizi di motivazione relativi alla valutazione di maggiore attendibilità delle dichiarazioni dibattimentali della Ba. rispetto a quelle dell’agente C., comportano anche che debba essere effettuato un approfondito giudizio, sorretto da congrua ed adeguata motivazione, sulla attendibilità del racconto della persona offesa nel suo complesso. Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, invero, "la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva" (Sez. 5, 27.4.1999, n. 6910, Gazzella, m. 213613). Nella specie è invece mancato, nella sentenza impugnata, questo approfondito controllo sulla attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa alla luce di tutte le risultanze processuali acquisite.

La sentenza impugnata ha in sostanza ritenuto pienamente credibile il racconto dibattimentale della ragazza per il motivo che non era verosimile che la stessa invece di andare in discoteca, avesse perso del tempo a chiamare la polizia e si fosse inventata una storia falsa a carico di uno sconosciuto, fingendosi anche sconvolta.

Ciò, secondo la corte d’appello, comprova la buona fede della persona offesa e la veridicità del suo racconto. Anche questa motivazione, però, è a ben vedere inconferente e sostanzialmente mancante, perchè la difesa con l’appello non tanto aveva contestato la buona fede della ragazza, quanto piuttosto il fatto che da tale buona fede dovesse discendere automaticamente e necessariamente la veridicità del suo racconto. Non è stata infatti presa in considerazione e confutata la possibilità che la ragazza avesse equivocato e male interpretato il gesto e la finalità dell’imputato quando si protese verso di lei, che già si trovava sul gradino scendendo dall’autobus.

La difesa con l’impugnazione aveva specificamente eccepito che la ragazza aveva incrementato nel tempo il suo racconto, perchè dal mero tentativo di palpeggiamento riferito alla polizia sul posto, era passata, dopo tre giorni (nella segnalazione all’azienda di trasporto) a dire che al momento di scendere l’autista si era alzato e le aveva messo le mani addosso, sicchè per scendere si era divincolata, mentre in dibattimento aveva dichiarato che l’autista non si era alzato e non era uscito dal gabbiotto, ma si era proteso verso di lei quando già si trovava sul gradino.

Su queste circostanze evidenziate dalla difesa manca una adeguata motivazione. Allo stesso modo manca la motivazione sia sulla idoneità degli atti sia sulla non equivocità della finalità degli stessi.

E’ fondato anche il secondo motivo perchè effettivamente è manifestamente illogica la motivazione sulla valutazione del teste L., fidanzato all’epoca della .Barbuscia ,.i.o.

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c.t.l. B. e l’autista doveva essere avvenuta con porta del gabbiotto aperta.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata per vizio di motivazione con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Trieste per nuovo giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Trieste.

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