Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-04-2011) 09-05-2011, n. 18039

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di P.H. propone ricorso avverso l’ordinanza del 16/2/2011 con la quale il Tribunale del riesame di Catania ha rigettato l’istanza di revoca della misura della custodia in carcere applicata in relazione ad accuse per cui il ricorrente ha riportato condanna in primo grado alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione.

Con il primo motivo si rileva inosservanza della legge penale e vizio di motivazione richiamando l’iter del procedimento che può riassumersi nei termini seguenti: il ricorrente, raggiunto da custodia cautelare per il reato di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, veniva scarcerato per decorrenza termini con provvedimento non impugnato dal P.m.; successivamente questi chiedeva ed otteneva l’emissione di una nuova misura per i medesimi fatti nel presupposto della verificazione di un errore nella determinazione del calcolo dei termini massimi. Il provvedimento veniva annullato dal Tribunale del riesame, e successivamente tale ordinanza era annullata da questa Corte, conducendo al ripristino della misura.

I coimputati che avevano subito analoghi provvedimenti, giudicati dinanzi a questo ufficio in diversa composizione, avevano ottenuto l’annullamento della misura impositiva nel presupposto dell’assenza del potere di autotutela del giudice, i cui provvedimenti possono essere modificati solo con le impugnazioni previste.

Sulla base della disparità di trattamento creatasi per effetto dell’iter descritto, si sollecita quindi l’annullamento della misura.

2. Si lamenta inoltre omessa motivazione sull’eccepita violazione del criterio di proporzionalità, non essendosi tenuto conto della condonabilità di parte della sanzione e del presofferto, che potrebbe ridurre la sanzione applicabile, anche ove confermata, ad un’entità compatibile con l’affidamento in prova, argomenti rispetto ai quali il Tribunale adito si è limitato ad argomentare una generica mancanza di rilievo.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, posto che il giudicato intervenuto sulla decisione della legittimità del provvedimento impedisce la rivisitazione di tale elemento, laddove i motivi di ricorso sollecitano un nuovo esame di quanto è coperto dalla decisione di questa Corte sul punto; nè la considerazione di carattere pratico, quale la perequazione di trattamento con i coindagati, in relazione ai quali è stato seguito un diverso iter processuale possono suffragare la legittimità dell’istanza, atteso che, come correttamente richiamato dal giudice di merito, l’estensione dell’impugnazione è prevista dall’art. 587 c.p.p. con esclusivo riguardo al gravame riguardante la pronuncia di merito.

2. Il secondo rilievo contenuto in ricorso è generico, contestando l’adeguatezza attuale della misura, alla luce dell’entità della condanna irrogata in primo grado, ove valutata riguardo alla possibilità di applicazione dell’indulto e della fruizione per la pena residua delle misure alternative alla detenzione; in argomento il giudice di merito ha, condivisibilmente, valutato la persistente adeguatezza della misura in atto, a fronte della pena irrogata, pur considerando la possibilità del condannato di beneficiare dell’indulto su parte della pena comminata nel primo giudizio, escludendo dalla valutazione l’ipotetica applicabilità delle misura alternative alla detenzione, i cui presupposti applicativi richiedono l’accertamento di circostanze di fatto favorevoli, che allo stato non è dato neppure ipotizzare come presenti, neanche sulla base della generica prospettazione del difensore, sicchè la loro considerazione diviene meramente ipotetica, a fronte di un giudizio che deve invece muoversi su elementi di fatto concreti.

3. Deve concludersi conseguentemente per l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente, in applicazione dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinata come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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