Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-04-2011) 09-05-2011, n. 18034

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La difesa di F.R. propone ricorso avverso la sentenza del 15/01/2009 con la quale la Corte d’appello de L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha affermato la sua responsabilità per il reato di maltrattamenti in famiglia.

La difesa con il primo motivo eccepisce contraddittorietà ed illogicità della motivazione, nella parte in cui ha conferito connotazione abituale ad una condotta al più costituita da episodi atomistici, non collegati tra loro, come emergeva dalla ricostruzione dei fatti offerta dai figli, che hanno ricondotto alcune condotte a severità, non ad autoritarismo. Analoga valutazione risultava espressa dalla professionista dei servizi sociali che era stata officiata di seguire la famiglia.

Era stata inoltre omessa la valutazione dell’elemento soggettivo del reato, e si richiamano in senso inverso alle deduzioni del giudice di merito sia le valutazioni della medesima psicologa, sia la linea di condotta del F., uomo abituato a lavorare duramente ed a far gestire le sue risorse dalla moglie, le cui rimostranze erano state causate dalla constatazione della presenza di un rapporto sentimentale della figlia minore con un tossicodipendente. A tali circostanze di fatto dovevano ricondursi i saltuari comportamenti aggressivi dell’uomo, che in quanto tale non potevano assumere la connotazione di abitualità essenziale alla realizzazione del reato.

2. Con il secondo motivo si impugna la sentenza, nella parte in cui ha ritenuto l’esistenza dell’elemento psicologico del reato, richiamando l’animus corrigendi con il quale il padre ha ritenuto di intervenire, che, alla luce dello sviluppo successivo delle vite degli figli, non poteva negarsi che avesse avuto buoni esiti.

3. Con il terzo motivo si lamenta la mancanza valutazione della prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, in relazione al delitto di maltrattamenti, carenza resa evidente dalla difforme valutazione, operata nel senso caldeggiata, quanto al reato di violenza sessuale contestata. La motivazione in proposito risultava carente, soprattutto non apparendo chiaro come fosse possibile che i medesimi testi, fossero stati ritenuti inattendibili per le ulteriori accuse di violenza sessuale, rispetto alle quali si era giunti all’assoluzione, ed invece riscontrati per l’accusa residua. In particolare per le accuse più gravi era stata attribuita notevole valenza escludente alla mancata loro individuazione nel diario personale del ragazza, senza valorizzare che in esso erano recriminate solo l’imposizione di limitazioni di uscita e mai la presenza di lesioni o percosse che potevano legittimare la sussistenza del reato ritenuto, elemento di fatto sul quale non era stata spesa alcuna argomentazione.

Si chiede pertanto l’annullamento della pronuncia.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile. Il giudice di merito ha adeguatamente argomentato le ragioni del suo convincimento, in particolare sull’abitualità delle condotte aggressive del F., per come riferite dalle persone della sua famiglia all’operatrice sociale all’epoca nella quale i contrasti insorsero, ed ha osservato che anche i figli maschi confessarono l’insostenibilità della vita in famiglia, prospettandosi la fuga da quella realtà come unica strada praticabile per riprendere una vita normale. E’ stato poi coerente spiegato che le diverse affermazioni sono sopraggiunte nel corso degli anni, a seguito della ricomposizione delle dinamiche familiari, almeno dei figli maschi rispetto al padre, mentre la moglie e la figlia hanno proseguito tenendo ferme le proprie denunce.

2. Le richiamate circostanze di fatto, compiutamente valorizzate dal giudice di merito, forniscono spiegazione dell’accertamento del dolo, e della conseguente esclusione del mero animus corrigendi, posto che la costanza nel tempo degli atteggiamenti aggressivi, svincolano necessariamente la loro realizzazione dalla necessità di contrastare singole condotte dei familiari, non approvate dall’odierno ricorrente.

3. L’intervenuta assoluzione dalle accuse di violenze sessuali non scredita le affermazioni delle testi, che avevano riferito sull’argomento, in quanto le loro dichiarazioni consentono di valutare sorrette da prove sufficienti le accuse, poichè per la parte relativa ai maltrattamenti, risultano ampiamente riscontrate dalla coerenza dell’assunto nel tempo, oltre che dalle conferme giunte nello stesso arco temporale in cui venivano consumati gli episodi dai figli maschi, ed anche dalle parziali ammissioni del F. dinanzi alla psicologa. E’ bene ricordare, a fronte dell’apparente contraddizione rilevata, che è ben possibile la valutazione frazionata del portato testimoniale quando i riscontri non raggiungono l’intera ricostruzione offerta (Sez. 1, Sentenza n. 1031 del 10/11/2005, dep. 12/01/2006, imp. Benenati, Rv. 233375); in tal senso quindi non può ritenersi viziata la valutazione delle prove operata dal giudice di secondo grado, che ha consentito di giungere all’affermazione di responsabilità. 4. La dichiarazione di inammissibilità impone, ex art. 616 c.p.p. di porre a carico del ricorrente le spese di procedimento, e di condannarlo al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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