Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-03-2011) 09-05-2011, n. 17864 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ICELLI Mario: rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

F.R., indagato per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 per avere effettuato, quale sindaco del comune di Furore, attività di stoccaggio abusivo in località (OMISSIS) su un sito di circa 400 m quadri completamente delimitato realizzando una piazzola ecologica in assenza della prescritta iscrizione comunicazione e o autorizzazione, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il tribunale di Salerno ha rigettato la richiesta di riesame proposta avverso il decreto di sequestro preventivo dell’area in questione emesso dal gip del medesimo tribunale.

Deduce in questa sede il ricorrente:

1) violazione di legge e vizio di motivazione avendo il tribunale del riesame integrato la motivazione del primo giudice in relazione al fumus delicti;

2) violazione di legge e difetto di motivazione non necessitando per il sito l’autorizzazione regionale ma soltanto la semplice presa d’atto da parte dell’amministrazione comunale.

Sono stati successivamente depositati due motivi aggiunti.

Con il primo si rileva l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonchè la mancanza e/o la manifesta illogicità della motivazione evidenziandosi che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. cc) offre attualmente una nozione di centro di raccolta; che tale normativa integrata con quella del D.M. 8 aprile 2008 e D.M. 13 maggio 2009 rende non necessaria per tale tipologie di sito l’autorizzazione regionale e che il tribunale non ha in alcun modo considerato il mutamento del quadro normativo.

Con il secondo si eccepisce l’inosservanza della legge penale; la mancanza e/o la manifesta illogicità della motivazione avendo il giudice erroneamente escluso, sulla base delle definizioni contenute nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, che la raccolta dei rifiuti in questione dovesse essere qualificata come attività di deposito temporaneo.
Motivi della decisione

Si appalesa infondato il primo motivo di ricorso.

Questa Corte ha più volte affermato, infatti, che in tema di riesame delle misure cautelari reali, in base al richiamo dell’art. 324 cod. proc. pen., comma 7 all’art. 309 cod. proc. pen., comma 9 il tribunale di riesame è autorizzato a confermare il provvedimento di sequestro anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del relativo decreto, ed eventualmente a rimediare alla sua mancanza sino a dare, sia pure ai fini cautelari, una diversa corretta qualificazione al reato, purchè ovviamente sia riaffermata la correlazione della cosa con il fatto per cui si procede (Sez. 5, n. 1202 del 11/03/1997 Rv. 207395).

Per quanto concerne gli altri motivi di ricorso essi possono essere trattati congiuntamente per le ragioni di seguito indicate.

Il sequestro – come si rileva dalla motivazione del riesame – risulta effettuato dai Carabinieri del NOE di Salerno nel luglio 2010 avendo gli stessi accertato nell’area utilizzata quale centro di raccolta comunale RSU la presenza di rifiuti pericolosi e non, depositati sui lati del terreno, esposti agli agenti atmosferici e privi di copertura, taluni dei quali contenuti in cassonetti, altri in buste di plastica, altri ancora depositati invece alla rinfusa direttamente sulla pavimentazione.

La denuncia ed il sequestro erano in particolare determinati dal mancato rinvenimento dell’autorizzazione regionale da parte degli operanti.

Il tribunale ha rigettato la richiesta di riesame rilevando che l’autorizzazione regionale si rendeva necessaria in quanto non appariva manifestamente infondata la tesi accusatoria che qualificava le attività eseguite nell’area come stoccaggio posto che non ricorrevano le condizioni del deposito temporaneo.

Il ricorrente muove in questa sede sostanzialmente due obiezioni:

a) il tribunale del riesame non avrebbe tenuto conto della nozione di "centro di raccolta" prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. cc) come modificato nel 2008, e dei decreti ministeriali integrativi dovendosi escludere sulla base di tali disposizioni che i centri di raccolta siano assoggettati ad autorizzazione regionale;

b) il tribunale stesso avrebbe erroneamente escluso la natura di deposito temporaneo dei rifiuti contenuti nel centro di raccolta equivocando sulla definizione di esso e della nozione di stoccaggio ricavabili dall’art. 183 citato.

Fatta tale premessa si appalesa evidente come si renda necessario soffermarsi anzitutto sui principi applicati in sede di riesame.

Il tribunale sembra in effetti avere proceduto nella valutazione richiamandosi al principio espresso in passato da questa Sezione, secondo cui l’attività di raccolta differenziata di rifiuti urbani ad opera dei cittadini nelle piazzale ecologiche, cosiddette ecopiazzole, istituite dai Comuni, non è qualificabile in termini di deposito temporaneo ai sensi del Decreto n. 22 del 1997, art. 6, lett. m), atteso che nel concetto di luogo di produzione dei rifiuti non rientra l’intero territorio comunale rispetto ai rifiuti prodotti dai suoi cittadini, ma lo stesso si estende al massimo sino a ricomprendere siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata. Conseguentemente si verte in tema di stoccaggio quale fase preliminare alle attività di smaltimento o recupero, e come tale necessitante la prevista autorizzazione (Sez. 3, n. 45084 del 26/10/2005 Rv. 232353).

Il principio di fondo ribadito anche in altre decisioni ed, invero, contestato da autorevole dottrina, è che l’attività di gestione dei rifiuti operata dal Comune nelle cosiddette piazzole ecologiche o ecopiazzole, ove i rifiuti vengono conferiti dai cittadini in modo differenziato, configura un deposito preliminare in vista dello smaltimento o una messa in riserva in vista del recupero, con la conseguente necessità della preventiva autorizzazione regionale, la cui mancanza configura reato (ex multis Sez. 3, n. 34665 del 27/06/2005 Rv. 232178).

Va detto tuttavia che l’orientamento citato si è formato precedentemente alle modifiche apportate alla disciplina sui rifiuti dal D.Lgs. n. 4 del 2008, che ha modificato il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183 introducendo la lett. cc) la nozione di centro di raccolta dei rifiuti, nonchè dai decreti ministeriali in data 8 aprile 2008 e 13 maggio 2009.

Alla luce di ciò si impongono, pertanto, alcune puntualizzazioni certamente rilevanti per il procedimento in esame.

Ed invero l’art. 183, comma 1, lett. cc) introdotto dal D.Lgs. n. 4 del 2008, offre una definizione di centro di raccolta nei termini che seguono:

cc) centro di raccolta: area presidiata ed allestita, senza ulteriori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento. La disciplina dei centri di raccolta è data con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata Stato – Regioni, città e autonomie locali, di cui al D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281;

Il Decreto Ministero Ambiente e Tutela Territorio 8 aprile 2008 e del mare ha poi dettato la "Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall’art. 183," definendo all’art. 1 il campo di applicazione della normativa, precisando tra l’altro:

Art. 1. 1. I centri di raccolta comunali o intercomunali disciplinati dal presente decreto sono costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche, nonchè dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche.

All’art. 2. (Autorizzazioni e iscrizioni):

1. La realizzazione dei centri di raccolta di cui all’art. 1 è approvata dal Comune territorialmente competente ai sensi della normativa vigente.

2. I centri di raccolta di cui all’art. 1 sono allestiti e gestiti in conformità alle disposizioni di cui all’allegato I, che costituisce parte integrante del presente decreto. (omissis) L’Allegato I del decreto ministeriale detta a sua volta i requisiti tecnico gestionali relativi al centro di raccolta dei rifiuti urbani e assimilati individuando:

1. Ubicazione del centro di raccolta;

2. Requisiti del centro;

3. Struttura del centro 4. Modalità di conferimento e tipologie di rifiuti conferibili al centro di raccolta;

5. Modalità di deposito dei rifiuti nel centro di raccolta;

6. Modalità di gestione e presidi del centro di raccolta;

7. Durata del deposito.

A tale proposito si stabilisce che:

7.1. La durata del deposito di ciascuna frazione merceologica conferita al centro di raccolta non deve essere superiore a due mesi.

7.2. La frazione organica umida deve essere avviata agli impianti di recupero entro 72 ore, alfine di prevenire la formazione di emissioni odorigene.

Tale decreto è stato in seguito dichiarato privo di effetti, in virtù della nota dell’Ufficio legislativo dello stesso Ministero, in quanto privo dei necessari riscontri da parte degli organi di controllo.

Di qui la necessità di un nuovo decreto ministeriale intervenuto alla data del 13 maggio 2009 recante "Modifica del Decreto 8 aprile 2008, recante la disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. cc), e successive modifiche" ad opera del medesimo Ministero con cui è stato revisionato il precedente decreto.

L’art. 1 apporta modifiche al precedente decreto del 2008 prevedendo tra l’altro:

1. Al Decreto Ministro Ambiente e Tutela Territorio e del mare 8 aprile 2008, art. 1, comma 1, dopo le parole "utenze domestiche e non domestiche" sono aggiunte le parole "anche attraverso il gestore del servizio pubblico". 2. Nel titolo dell’art. 2 la parola "Autorizzazioni" è sostituita dalla parola "Approvazioni". 3. L’art. 2I, comma 1 è sostituito dal seguente: "1. La realizzazione o l’adeguamento dei centri di raccolta di cui all’art. 1 è eseguito in conformità con la normativa vigente in materia urbanistica ed edilizia e il Comune territorialmente competente ne da comunicazione alla Regione e alla Provincia". (omissis).

Il comma 6 prevede l’integrazione dell’elenco di cui all’allegato 1, paragrafo 4.2., del decreto ministeriale 8 aprile 2008 concernente le categorie di rifiuti conferibili nei centri di raccolta.

Il comma 10 sostituisce il al punto 7.1 dell’allegato 1 sostituire le parole "due mesi" con le parole "tre mesi", così elevando così il termine di durata del deposito di ciascuna frazione merceologica conferita al centro di raccolta.

Ciò posto si possono immediatamente evidenziare alcuni aspetti direttamente rilevanti per la vicenda in esame.

Anzitutto si deve ritenere che per effetto delle nuove disposizioni l’attività dei centri di raccolta non è più assoggettabile ad autorizzazione regionale in quanto la realizzazione di essi è soggetta unicamente all’approvazione dal Comune territorialmente competente.

Il centro di raccolta come tale non richiede, quindi, alcuna autorizzazione regionale non potendo essere di per sè classificato alla stregua degli impianti di smaltimento e/o recupero dei rifiuti per i quali continua a rendersi necessaria, invece, l’autorizzazione regionale.

Ed a riprova di ciò si deve rilevare che nei centri di raccolta viene fatto dai decreti menzionati in linea di principio espresso divieto di effettuare trattamenti di qualsiasi tipo, fatte salve alcune eccezioni come accade per le riduzioni volumetriche delle frazioni solide per agevolarne il successivo trasporto.

Il regime autorizzatorio è ovviamente diverso nel caso in cui il centro di raccolta sia realizzato in contrasto con le prescrizioni ed i requisiti indicati nei DM citati o sia adibito, ad esempio, anche operazioni di recupero.

Non appare più possibile, dunque, nell’individuazione dell’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, insistere sull’equazione centro di raccolta uguale centro di stoccaggio e, dunque, necessità di autorizzazione regionale.

Tra l’altro, come evidenziato in dottrina, comunque devono ritenersi logicamente connesse alla fase di raccolta alcune operazioni astrattamente riconducibili nella tipologia dello stoccaggio (operazioni di gestione di rifiuti che si riducano al raggruppamento degli stessi, alla loro cernita – eventualmente come attività complementare della raccolta differenziata – e al loro provvisorio stazionamento in loco in attesa del ritiro da parte di altri soggetti).

Al fine di verificare la necessità o meno dell’autorizzazione regionale, occorrerà in concreto, dunque, anzitutto verificare se si sia in presenza di un centro di raccolta dei rifiuti e se il centro sia rispondente ai requisiti indicati dai DM citati dovendosi escludere, in caso affermativo, per le ragioni esposte, la necessità di autorizzazione regionale e, dunque la configurabilità del reato per il mancato rilascio.

Solo nel caso in cui si verifichi la non rispondenza alle previsioni indicate o si accerti l’effettuazione presso il centro di raccolta di attività che esulano dalla funzione propria di essi, si potrà valutare la necessità dell’autorizzazione regionale traendo le necessarie conseguenze sul piano penale dalla sua mancanza.

Ciò non è avvenuto nella specie essendosi la corte di merito limitata nella specie a verificare sul piano astratto se nella specie potesse essere configurabile un caso di deposito temporaneo dei rifiuti senza considerare in alcun modo le disposizioni vigenti per i centri di raccolta in precedenza illustrate.

L’ordinanza va dunque annullata con rinvio per consentire un nuovo esame della questione che tenga conto dei principi affermati.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Salerno.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2011

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