Cass. pen., sez. VI 30-01-2009 (28-01-2009), n. 4303 Mandato d’arresto europeo – Consegna per l’estero – Motivi di rifiuto – Mandato d’arresto esecutivo – Cittadino italiano – Computo della custodia cautelare sofferta in Italia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Il ricorrente (che deduce e documenta di risiedere regolarmente in (OMISSIS)) è stato arrestato l’8 novembre 2008 a seguito di mandato di arresto europeo, in data 23 maggio 2007 dell’Autorità dello Stato di Romania, in relazione a decisioni, divenute definitive, e conseguenti all’accertata sua responsabilità per il reato di "furto con destrezza di materiale rotabile", con irrogazione della pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione (sentenza 4 febbraio 2004 del Tribunale di Olt), con sospensione dell’esecuzione, dapprima prorogata (sentenza 27 giugno 2005) e successivamente revocata (sentenza 4 settembre 2006), e finale ordine di esecuzione della sanzione nella forma della detenzione in carcere.
La Corte di appello di Bari ha accolto la richiesta di consegna, rigettando la domanda proposta dalla difesa di subordinare la consegna del G. alla condizione indicata e prevista dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 19, comma 1, lett. c), trattandosi "non di un’azione penale pendente" ma di "una sentenza di condanna" passata in giudicato.
Con un primo motivo di impugnazione il G. lamenta violazione di legge in relazione alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 19, comma 1, lett. c) avendo la Corte distrettuale interpretato in modo illogico e restrittivo il concetto di azione penale, negandone l’estensione alla fase esecutiva. In buona sostanza, per il ricorrente, il "discrimen" per escludere il profilo di favore della norma non è la pendenza del processo, ma l’essere o meno la persona richiesta residente in Italia.
Il motivo è infondato.
Come correttamente argomentato dalla Corte distrettuale, il sistema strutturato dal mandato di arresto europeo, in punto di garanzie richieste allo Stato membro di emissione, opera una netta distinzione tra mandato di arresto, emesso ai fini dell’esecuzione di una pena, o di una misura di sicurezza (art. 19, comma 1, lett. a), e mandato di arresto emesso invece "ai fini di un’azione penale", stabilendo, soltanto per quest’ultimo caso e con riferimento "al cittadino" "o residente dello Stato", che la persona (cittadino oppure residente), una volta "ascoltata" ed eventualmente "condannata" (a pena detentiva o misura di sicurezza privative della libertà personale), ad opera dell’autorità giudiziaria dello Stato di emissione, sia rinviata allo Stato membro di esecuzione per scontarvi detta sanzione.
Pertanto, nella specie, le regole – uniche – applicabili agli effetti delle "norme di garanzia", essendosi compiutamente esercitata l’azione penale sino all’epilogo della conseguita sua irrevocabilità, vanno individuate in quelle dei disposti dell’art. 19, comma 1, lett. a) e lett. b), di cui non ricorrono le condizioni di applicabilità in fatto e in diritto.
In tale quadro, del tutto irrilevante appare quindi l’indagine sulla dimora abituale del ricorrente, attesa la non operatività della regola fissata dalla L. 22 aprile 2005, n. 69, citato art. 19, comma 1, lett. sub c).
In buona sostanza, argomentando ex art. 18, comma 1, lett. r), il rifiuto della consegna del condannato, per cui risulta essere stato emesso mandato di arresto europeo, opera soltanto in favore del cittadino italiano, e sempre che la Corte di appello competente abbia disposto che la sanzione (pena o misura di sicurezza) sia eseguita in Italia in conformità al suo diritto interno, con implicita esclusione dello straniero, anche se "residente" nello Stato.
Va inoltre chiarito che tale disposizione, nel prevedere il rifiuto della consegna, quando il mandato d’arresto europeo è stato emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale nei confronti del solo cittadino (OMISSIS), non si pone in contrasto con i principi della decisione quadro 2002/584/GAI, in quanto la norma stessa facoltizza, ma non obbliga, gli Stati membri dell’Unione europea ad estendere le guarentigie, eventualmente riconosciute ai propri cittadini, anche agli stranieri che risiedano o dimorino sul loro territorio (Cass. Penale sez. F, 35286/2008, Rv. 241001, Zvenca. Massime precedenti Conformi: N. 34210 del 2007 Rv. 237055, N. 16213 del 2008 Rv. 239721, N. 25879 del 2008 Rv. 239946).
Con un secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione considerato che la Corte di appello non ha motivato sulla richiesta subordinata di condizionare la consegna allo Stato richiedente alla detrazione del presofferto.
Il motivo è fondato.
Ritiene infatti il Collegio, aderendo ad un preciso orientamento di questa sezione (cfr. in termini: Cass. Penale sez. 6, anno/numero 200702824, Baia Ionel Octavian) che si possa pacificamente affermare che la computabilità della custodia cautelare, nella pena da espiare per lo stesso fatto costituisca, un principio fondamentale del nostro ordinamento, avuto riguardo (ad esempio per l’estradizione) al combinato disposto dell’art. 137 c.p. e art. 657 c.p.p., i quali ribadiscono la tradizione penalistica del Codice Zanardelli (v. art. 40 del codice Zanardelli e art. 271 c.p.p., comma 4, 1930), ed è altresì confermato, con riferimento alla custodia sofferta all’estero, dall’art. 138 c.p. e dall’art. 285 c.p.p., comma 3.
Il medesimo principio trova inoltre generalizzata applicazione in ambito comunitario ed è stato espressamente sancito nell’art. 26, n. 1 della Decisione quadro sul mandato di Arresto Europeo. In forza di esso, che costituisce una manifestazione specifica del principio generale di proporzionalità ed equità nel diritto penale, la durata della privazione della libertà personale in pendenza del processo va, dunque, sempre dedotta da quella della detenzione inflitta con la sentenza definitiva. Se così non fosse, al reo verrebbe inflitta una pena più severa di quella che la società considera adeguata per il reato di cui trattasi.
Non a caso, nell’ambito della Convenzione Europea di Estradizione, la stessa regola è desumibile dal tenore degli artt. 9 e 10, che vietano l’estradizione in caso di fatto già giudicato o la cui pena sia prescritta (conf. Cass. 6 cc. 13.02.2004, Matovic). Ne può, evidentemente operarsi alcuna distinzione fra il caso in cui la custodia cautelare abbia esaurito la pena da espiare e quello in cui ciò non sia avvenuto, rimanendo identica e inderogabile l’esigenza che al reo non sia inflitta una pena più severa di quella che la società considera adeguata per il reato di cui trattasi.
L’esigenza in esame, attenendo a un diritto fondamentale della persona, deve essere inderogabilmente rispettata(cfr in punto di estradizione passiva: Cass. 6, cc. 17.09.2004, Iute) e la valutazione in termini, per la puntuale salvaguardia del diritto stesso (che potrebbe altrimenti risultare in fatto vanificata), va compiuta secondo le regole del nostro ordinamento (il quale tra l’altro stabilisce che gli arresti domiciliari integrano uno stato di custodia cautelare ex art. 284 c.p.p., comma 5), con la conseguenza che il relativo periodo di privazione della libertà andrà integralmente detratto dalla durata della pena detentiva da scontare in base alla condanna dello Stato richiedente.
La eventuale mancanza di una norma analoga nello Stato di emissione, ad avviso della Corte – come già ritenuto per l’estradizione – non è di ostacolo alla consegna, qualora la custodia cautelare subita in (OMISSIS), come nella specie, non copra l’intera durata della pena da espiare, come nel caso di specie.
In conclusione, la sentenza impugnata va sul punto parzialmente riformata in accoglimento del secondo motivo di ricorso, in parte qua, nel senso che la consegna debba avvenire per l’esecuzione della pena eccedente il periodo di custodia cautelare sofferto in Italia dal ricorrente per questo processo.
Con un terzo motivo (sotto la generica dizione di "NEL MERITO") il ricorso delinea una serie di condizioni familiari e lavorative dello stesso G. che osterebbero alla chiesta consegna.
Il motivo è radicalmente infondato per le ragioni, correttamente argomentate e sviluppate dalla Corte distrettuale, con una motivazione indenne da vizi logico e giuridici ed assolutamente e non neutralizzabile dalle generiche doglianze difensive. Da ultimo, va mandato alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e dispone che la consegna avvenga per l’esecuzione della pena eccedente il periodo di custodia cautelare sofferto in Italia per questo processo. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dalla L. n. 69 del 2005, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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