Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 19-04-2011) 10-05-2011, n. 18085

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ntonio per B. D., che si sono riportati ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo

1. La Corte d’Assise d’Appello di Napoli con sentenza del 7/12/2009 ha confermato l’assoluzione di B.S. pronunciata dal primo giudice in ordine all’imputazione di concorso nell’omicidio di P.G., detenzione e porto d’armi, violazione di domicilio, reati aggravati sia dalla finalità di agevolazione dell’associazione camorristica, che dalla recidiva specifica, reiterata; con la medesima pronuncia è stata ridotta ad anni trenta di reclusione, con le pene accessorie, la sanzione inflitta in primo grado al coimputato B.D..

2. La difesa di quest’ultimo, nel proposto ricorso, con il primo motivo lamenta erronea applicazione dei principi in tema di valutazione delle chiamate di reità o correità e omessa motivazione sulla ritenuta attendibilità oggettiva, nei punti specificamente contestati in atto d’appello. In particolare, risulta, secondo tale prospettazione, del tutto omessa la valutazione di credibilità oggettiva, con riferimento al dichiarante G.A., in relazione alla deposizione cui erano stati formulati vari e specifici rilievi in atto di appello. In particolare era stata sottolineata l’inverosimiglianza del riferito trasporto di una scala lunga cinque metri a mano, al di fuori dell’autovettura, nel tragitto (OMISSIS), sia per la difficoltà materiale dell’azione, che per la facile rilevabilità della stessa da parte di terzi estranei, ancora più inverosimile considerando che la casa di P. era vicina ad un commissariato di Polizia. Non risulta credibile la circostanza riferita, secondo cui Gr., che avrebbe esploso colpi non mortali all’indirizzo della vittima con la cal. 9, resosi conto che la sua arma si era inceppata, fosse tornato presso il G., a suo dire fermo sul balcone, per munirsi dell’arma da lui posseduta, invece che utilizzare la mitraglietta nel possesso dell’altro partecipe, che era già nell’abitazione, potendosi immaginare, nel tempo occorrente ad eseguire l’operazione descritta, una reazione della vittima, che non era stata colpita a morte, e sarebbe stata quindi in grado, con la sua reazione, di porre in crisi l’esecuzione finale dell’azione. Il numero dei colpi, rapportabili alla cal. 9, in numero di cinque, non collimava con il racconto del dichiarante, che assumeva che il blocco di tale arma si fosse verificato dopo l’esplosione di due colpi.

3. Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., nella parte in cui erano stati valutati quali riscontri precedenti pronunce giudiziali antecedenti le dichiarazioni che, per la loro natura pubblica, ben potevano essere conosciute ai dichiaranti, come ad una moltitudine di persone, laddove la credibilità deve essere riscontrata da elementi ricavabili aliunde e privi di pubblica conoscenza; peraltro l’elemento ricavabile da tali atti era il generico movente che, per pacifica giurisprudenza, non può costituire riscontro individualizzante.

Ugualmente non potevano considerarsi riscontri il rinvenimento della scala di legno, dei danni agli infissi, dei bossoli cal. 9, per la natura nota di tali elementi, in conseguenza del clamore suscitato dall’operazione.

4. Con il terzo motivo si denuncia identico vizio in merito al rilevo di riscontro attribuito al sequestro di armi, a seguito del rinvenimento di tali oggetti nel novembre 1998 in un terreno di proprietà di un parente di Z.F., posto che la dichiarazione a riguardo era sopraggiunta nel 2006; sul punto si rileva l’illogicità della motivazione, ove era stato argomentato che l’osservazione difensiva non sviliva le narrazioni, laddove il riscontro deve fornire conferma alla circostanza che, per l’anteriorità del sequestro, non era possibile rinvenire.

5. Con il quarto motivo si denuncia analogo vizio, con riferimento ad un travisamento della prova contenuto in sentenza, in ordine alla sottoposizione a conferma di quanto dichiarato sulla distruzione dell’auto usata dal commando. G. aveva indicato un luogo ove le autovetture sarebbero state abbandonate e successivamente bruciate, mentre le indagini svolte in argomento dalla Questura non avevano portato a verificare tale presenza. In sentenza era stata svilita la portata delle risultanze negative, valorizzando la circostanza che i fatti erano accaduti dieci anni prima e che tale estremo non fosse più verificabile tramite la testimonianza di terzi, laddove la nota della questura di Caserta del 29/12/2006, che è stata allega al ricorso, riporta che gli accertamenti erano stati penetranti ed avevano riguardato il periodo precedente, sicchè la mancata conferma non poteva che condurre ad escludere la veridicità del riferimento.

6. Con il quinto motivo si lamenta violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni de relato, provenienti da fonte non verificabile ed autonoma. Richiamata la giurisprudenza che chiarisce la minore valenza di tale prova, si osserva che, nel caso di specie, le dichiarazioni avevano origine in fonte incontrollabile, o per il sopravvenuto decesso del propalante, o perchè la fonte è costituita dalle dichiarazioni di coimputato, che necessitano a loro volta di riscontro. Richiamata la motivazione della sentenza sul punto, che riferisce di un elevato tasso di veridicità delle dichiarazioni de relato offerte, se ne sottolinea tutta la debolezza, lì dove ha qualificato la fonte di riferimento come proveniente dai killers, senza aver accertato storicamente tale dato. Nel caso di specie manca la fondamentale autonomia delle fonti, che provoca circolarltà della chiamata, priva di valenza probatoria.

7. Con il sesto motivo si eccepisce la contraddittorietà della motivazione con riferimento alla mancata esplicazione dell’insostenibilità della ricostruzione G. a fronte di accertamenti di fatto, costituiti dalla presenza delle ciabatte della vittima sul balcone, del tutto inspiegabile sulla base della ricostruzione offerta, in relazione alla quale la sentenza impugnata ha reso una spiegazione alternativa illogica, mentre non è stata offerta alcuna risposta alle ulteriori incongruenze della ricostruzione, pur evidenziate in atto di appello, quali l’incompatibilità di quanto dichiarato da G. sulla dinamica dei fatti con le abitudini della vittima, come tratteggiate nella testimonianza della figlia, o dei vicini di casa, circa i rumori uditi la notte dell’agguato che davano conto della presenza di persone in rapido movimento nell’abitazione, non giustificabili in forza del resoconto fornito da G..

La ricostruzione posta a base della sentenza non è stata posta a confronto con la versione resa da altri due collaboratori di giustizia, che hanno riferito che l’accesso nella casa della vittima avvenne tramite la porta di ingresso e che la collocazione della scala all’esterno fu realizzata solo per un tentativo di sviamento delle indagini, particolare su cui uno di essi aveva ritrattato solo in un secondo momento.

8. Con il settimo motivo si denuncia illogicità della motivazione, nella parte in cui esclude la valenza della ricostruzione alternativa offerta dalla difesa, omettendo di apprezzare la sua perfetta aderenza agli elementi di fatto accertati, in particolare alla circostanza che i frammenti di vetro rinvenuti nei pressi della porta finestra servente la camera da letto della vittima, per la loro collocazione, evidenziano una rottura del vetro eseguita dall’intermo verso l’esterno, e non viceversa, come sembrerebbe doversi desumere dalla ricostruzione di G..

9. Con l’ottavo motivo si denuncia erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3 in punto di convergenza del molteplice, nonchè omessa motivazione sui rilievi difensivi in ordine alla genericità delle propalazioni. Sotto il primo profilo si osserva che le dichiarazioni dei collaboranti, oltre a non essere chiare quanto alla fonte di conoscenza, sono prive di riscontri individualizzanti, dovendo questi riguardare non l’esistenza del fatto storico, ma la sua attribuibilità all’accusato, mentre l’analisi sul punto era del tutto mancante, essendosi valorizzati elementi di fatto, quali l’uso della scala di legno, a conoscenza pubblica e quindi privi del requisito della specificità, che non permettono di concludere che le conoscenze dei dichiaranti fossero state acquisite direttamente dagli autori dei fatti.

10. Con il nono motivo si evidenzia la mancata motivazione sulla inattendibilità di F., ed il travisamento della prova desumibile dalla mancata analisi delle sue differenti ricostruzioni.

Questi aveva fornito due diverse versioni della dinamica del fatto delittuoso, tra loro inconciliabili, quale l’apposizione della scala solo per depistare, contraddetta dal dichiarato uso dell’attrezzo, oltre che l’individuata necessità di proteggere chi aveva fornito le chiavi di accesso all’alloggio, senza considerare che in tal modo non veniva protetto chi aveva fornito le chiavi della porta finestra blindata. La versione resa da questi, in ordine alla funzione di G. di passare le armi a chi era entrato nell’alloggio, non collima con la versione di quest’ultimo, che, pur attribuendosi lo stesso ruolo, aveva chiarito che i correi erano saliti con lui per le scale. Si lamenta in argomento la completa pretermissione di tale valutazione critica da parte della Corte d’assise d’appello, chiedendo di conseguenza l’annullamento della pronuncia impugnata.

11. La difesa ha depositato il 10/11/2010 motivi aggiunti lamentando violazione di legge per erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p. con riferimento alla motivazione con la quale la Corte di secondo grado ha omesso di rispondere, o ha fornito argomentazioni illogiche o apparenti, sull’alibi fornito dal B., il quale ha dimostrato di essere stato a moltissimi chilometri dal luogo dell’omicidio nel giorno in cui si verificarono i fatti, circostanza che escludeva la sua corresponsabilità.

In particolare il giudice d’appello si è limitato a richiamare quanto riferito dal primo giudice, senza fornire risposta alle osservazioni svolte in argomento nell’atto di gravame. Si osserva che nella sentenza gravata è stato condiviso il giudizio di inattendibilità della documentazione offerta a prova dell’assenza di B. dal luogo del delitto, valutando plausibili le argomentazioni espresse in proposito in primo grado, fondate sulla valorizzazione di precedenti violazioni agli obblighi, riscontrate dalle autorità preposte al controllo, e sulla mancanza di una verifica effettiva circa la presenza di B. in Lombardia la notte del delitto.

Si richiamano le confutazioni esposte in merito alle pretese irregolarità del documento prodotto, sottolineando che i modelli relativi al rapporto di lavoro erano trasmessi trimestralmente all’INPS, derivando da ciò la loro affidabilità. Si contesta come erronea la lettura delle annotazioni contenute nel documento, che hanno condotto il primo giudice a desumere delle irregolarità, per escluderle in fatto, ponendo così in crisi l’intervenuta svalutazione; peraltro, le pretese irregolarità riguardano periodi diversi rispetto a quelli oggetto di accertamento nel procedimento in esame.

Si rileva l’illogicità dell’argomentazione della Corte che, dalla pretesa non rispondenza del numero complessivo dei giorni lavorati risultanti dal prospetto, rispetto a quelli risultanti dai modelli INPS, aveva desunto l’inaffidabilità dell’annotazione relativa al 5/12, accertamento che invece possiede una sua autonomia; la Corte inoltre non ha fornito risposta alle confutazioni contenute in atto di appello, sulla natura di smentita degli accertamenti svolti in altre occasioni, che avevano condotto a rinvenire B. in Marcinanise, pur se risultava presente a Bergamo.

Negli stessi termini si valuta l’argomentazione che ha portato a confutare le risultanze dei registri di lavoro, sulla base dell’accertata inaffidabilità delle dichiarazioni del datore di lavoro, omettendo di considerare che la compilazione degli atti, non è sicuramente a questi rimandabile, essendo riferibile al professionista che seguiva tale incombente.

Analogamente illogica si ritiene la confutazione dell’alibi avvenuta sulla base di una pretesa compatibilità di compresenza nei due diversi momenti del B., avvenuta valorizzando un fatto storico verificatosi successivamente, ed in ogni caso svolta ignorando le deduzioni difensive.

Si censura inoltre la valutazione della deduzione sul punto dell’alibi fallito, utilizzato quale elemento di chiusura del costrutto probatorio, richiamando in argomento le pronunce giurisprudenziali di segno contrario.

Si chiede quindi l’annullamento della sentenza impugnata per vizio della motivazione.

12. Il P.g. ha proposto ricorso avverso l’assoluzione di B. S. eccependo l’illogicità e contraddittorietà della motivazione, ed osservando che, se nel provvedimento impugnato si rileva la mancanza di elementi che possano far desumere l’individuazione di attività concretamente ascrivibili al prevenuto, per concretizzare il suo ruolo di concorrente morale, sotto l’aspetto della sua influenza nella determinazione dell’azione, nè il primo giudice, nè la Corte d’assise d’appello hanno indubbiato i presupposti di fatto posti a base della richiesta di condanna, costituiti dalla decisione di uccidere esponenti di spicco del clan Piccolo presa dai fratelli B. per acquisire il predominio nella zona di Marcianise. In linea con tale proposito erano stati consumati gli omicidi dei fratelli della vittima dell’odierno procedimento; risultava che quest’ultima era stata da tempo individuata quale oggetto di aggressione, che non si riusciva ad concretizzare per una serie di cautele da questa poste in essere per proteggere la sua incolumità; era pacifico che B.S. aveva elaborato un progetto di aggressione con ingresso nella casa della vittima tramite il balcone, che aveva illustrato circa due anni prima la materiale esecuzione a M.G. e D.G. P., istigandoli a commettere l’azione. L’omicidio venne poi realizzato in arco temporale nel quale l’odierno imputato era detenuto, seguendo proprio le modalità dallo stesso tracciate ed il progetto era stato attuato dal fratello di B.S., unitamente ad altre persone, il che, secondo le norme in tema di concorso di persone, dava conto della piena sussistenza delle responsabilità di B.S.; in tal senso si chiede l’annullamento del capo della sentenza impugnata.

13. In data 26/1/2011 la difesa B.D. ha prodotto il provvedimento di questa Corte di annullamento dell’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli rilevando che non sopraggiunsero altri elementi di prova, poichè successivamente a tale giudizio si procedette con l’abbreviato, per escludere che i medesimi indizi emersi in quella fase potessero consentire di giungere all’affermazione di responsabilità del suo assistito.
Motivi della decisione

1. Il ricorso di B.D. è inammissibile.

Deve preliminarmente osservarsi che l’atto introduttivo contiene una pressochè integrale riproposizione dei rilievi già formulati in atto di appello, e specificamente contrastatati nella sentenza di secondo grado, rispetto alla quale, quindi, la rinnovata formulazione delle specifiche doglianze, appare generica, in quanto non si confronta con la motivazione offerta. Così, ove nel primo motivo di ricorso si contesta la mancata valutazione di credibilità oggettiva di G. non si tiene conto delle chiamate convergenti degli altri dichiaranti, che hanno confermato l’assunto accusatorio e la ricostruzione fornita, oltre che dei riscontri obiettivi, costituiti per l’appunto dall’individuazione del gruppo di fuoco e dall’attribuzione ai singoli componenti dei medesimi compiti, dal rinvenimento della scala, dalla presenza di vetri frantumati, dalla constatazione della presenza di colpi di varia natura sul luogo del delitto.

Le osservazioni contrarie svolte dalla difesa, – non credibilità di un trasporto della scala nei termini riferiti, differente numero dei colpi calibro 9 – sono elementi di natura argomentativa, che ben possono essere logicamente prospettati in maniera diversa senza inficiare l’attendibilità della ricostruzione, e soprattutto non risultano dirimenti al fine di escludere la credibilità del dichiarante, potendo, ad esempio, ipotizzarsi un non corretto ricordo o percezione del numero dei colpi cal. 9 senza per questo influire sulla complessiva attendibilità del narrato. Quanto alla scarsa credibilità del trasporto della scala e della sua visibilità, contrastante con la presenza dell’ufficio di Polizia nei pressi, basta rilevare che indubbiamente un omicidio così clamoroso venne consumato nel cuore della notte a pochi metri dal commissariato senza che le autorità venissero allertate prima della tarda mattinata successiva, per rilevare tutta l’inconsistenza di una simile obiezione.

2. Nessuna violazione di legge può ravvisarsi poi nella valorizzazione, quale elemento di riscontro, di circostanze relative alle modalità dell’omicidio che potevano essere conosciute, in quanto pubblicate sui giornali dell’epoca, poichè, da un canto, è del tutto pacifico che i riscontri possano essere tratti da qualsiasi elemento, anche noto, dall’altro sussiste sul punto una compiuta e congrua motivazione del giudice di merito, che ha esaustivamente osservato che la sola pubblicità conferita alle circostanze di fatto non è idonea ad inficiare l’attendibilità dei riferimenti, soprattutto ove, come nel caso di specie, il dichiarante abbia ricostruito gli eventi, dei quali si è contestualmente attribuito la responsabilità, a molti anni dai fatti, e dovrebbe quindi avere, per un motivo imprecisato, memorizzato circostanze che gli risultavano indifferenti, per uno scopo calunniatorio del quale non è stata ravvisata la finalità; in argomento il giudice di merito ha analiticamente escluso l’ipotesi di un rancore nutrito da G. nei confronti di B., privando così di qualsiasi supporto l’ipotesi di una ricostruzione volutamente contraria al ricorrente.

Non risponde a quanto effettivamente avvenuto la contestazione relativa alla valorizzazione del movente quale riscontro individualizzante; in realtà da tutte le chiamate è dato desumere non il movente, ma il contesto di permanente scontro tra il gruppo facente capo a B. e quello dei Piccolo, la cui famiglia era stata decimata, e la situazione risulta condannata dall’estrema cautela attuata dalla vittima per preservarsi dagli attacchi, circostanza confermata dagli stessi suoi familiari. Per di più tale contrasto risulta accertato a seguito di pronunce definitive riguardo a delitti maturati nel medesimo contesto, indicate nella sentenza di primo grado, nel corso dei cui procedimenti è sopraggiunta anche un’ammissione della volontà di B.D. di ammazzare i Piccolo posto che questi a specifica domanda aveva risposto "perchè loro volevano ammazzare noi". Tale situazione di fatto è stata richiamata e correttamente valorizzata in sentenza quale conferma delle congiunte dichiarazioni dei collaboranti, con procedimento ricostruttivo che non risulta inficiato dalle violazioni di legge richiamate in ricorso.

3. Analoghe argomentazioni devono esporsi riguardo la contestata valenza di riscontro della presenza delle armi utilizzate dal gruppo facente capo a B. nella campagna del parente di Z. F.; anche in questo caso la circostanza che il rinvenimento fosse antecedente alla dichiarazione non ne svilisce la portata, considerato che l’indicazione venne fornita otto anni dopo, con richiamo a collegamenti tra i partecipi che sono stati confermati dai dichiaranti e ben avrebbero potuto produrre una erronea indicazione ove acquisiti esclusivamente dalle affermazioni di terzi, memorizzate a tanto tempo di distanza. Anche sul punto le affermazioni contenute in sentenza risultano corrette e esaustivamente motivate.

4. Non sussiste il travisamento della prova denunciato dal ricorrente in merito alla valutazione delle dichiarazioni rese da G. sulle modalità di occultamento e distruzione dei mezzi usati per l’agguato. In realtà appare corretto quanto riferito dal giudice in argomento, considerato che il mancato rinvenimento degli automezzi, in quando rapportabile ad un periodo antecedente di dieci anni, può essere collegato anche ad una difficoltà di ricostruzione degli eventi a tale distanza temporale; questo anche in punto di esaustività degli accertamenti che, se può sicuramente rapportarsi agli sforzi profusi, non necessariamente può aver riguardato tutte le persone potenzialmente a conoscenza dei fatti; ad ogni modo la circostanza non risulta dirimente per un duplice ordine di considerazioni, poichè si riferisce ad una circostanza marginale, non necessaria al fine della ricostruzione, ben potendo G. essere stato tenuto estraneo a tale parte dell’azione, sicchè il suo silenzio in proposito non avrebbe fatto assumere alle dichiarazioni minore credibilità; in secondo luogo la corposa conferma giunta alle affermazioni di G. dagli altri dichiaranti, esclude che il mancato riscontro di tale dato possa rendere inaffidabile la residua parte della ricostruzione resa.

5. Sul punto della complessiva inattendibilità delle dichiarazioni de relato sono state mosse contestazioni generiche; se è vero che tali affermazioni devono essere valutate con particolare rigore, non può negarsi che ciò sia avvenuto nella specie, ove nella pronuncia non solo è stato valorizzato quanto riferito in maniera conforme da G., che avendo partecipato all’azione è chiamante diretto, ma si è anche specificamente analizzata la qualità personale dei singoli dichiaranti de relato, il loro inserimento nel gruppo delinquenziale, che li poneva in condizione di raccogliere le confidenze dei partecipi (e sulla particolare valenza delle dichiarazioni in situazioni simili Sez. 1, Sentenza n. 31695 del 23/06/2010, dep. 11/08/2010, Calabresi, Rv. 248013), nonchè la contestuale assunzione di responsabilità in proprio per ulteriori illeciti, che rendeva le loro affermazioni oggettivamente e soggettivamente attendibili, in quanto inserite in un quadro ricostruttivo coerente, sia storicamente che specificamente. In particolare, non si ravvisano elementi per ritenere sussistente la ed circolarità della chiamata, non essendo state neppure esposte le condizioni di fatto nelle quali tale concerto ricostruttivo possa essere maturato, considerato particolarmente improbabile anche alla luce della differente collocazione temporale delle decisioni collaborative.

6 e 7. Con i motivi in esame si denunciano contraddittorietà ed illogicità della motivazione riproponendo argomentazioni difensive tese ad offrire una ricostruzione alternativa della vicenda, sulla base di elementi di fatto che non risultano allegati in questa sede;

rispetto a tali deduzioni, quindi, non può che richiamarsi quanto coerentemente esposto dalla sentenza di merito, che analizzando la ricostruzione, ne ha sottolineato la natura ipotetica ed indimostrata, al contrario di quanto avvenuto per l’alternativa ricostruzione contenuta in sentenza, che risulta invece fondata sulla convergente dichiarazione dei collaboranti. La difesa valorizza a sostegno della propria teoria, secondo cui il commando sarebbe entrato dalla porta interna e non dalla blindata del balcone, la presenza di frammenti di vetro all’estremo e non all’interno dell’infisso, ma tale elemento di fatto non emerge dalle pronunce indicate, nè la stessa difesa ricorrente ha fornito in questa sede elementi per reperire negli atti la prova di tale affermazione, violando l’onere di allegazione incombente in questo grado sul ricorrente (Sez. 2, Sentenza n. 19584 del 05/05/2006, dep. 07/06/2006, imp. Capri, Rv. 233773); a fronte della coerente ed articolata ricostruzione dei giudici di merito deve quindi concludersi che alcuna contraddizione emerga dalle mere allegazioni contenute in ricorso, non manifestando le stesse, con specifico riferimento alle affermazioni contenute in sentenza, le denunciate contraddizioni. In particolare, tali non possono definirsi le giustificazioni rese alla presenza delle pantofole della vittima sul balcone, che potrebbero essere le più diverse, anche, in ipotesi, una presenza antecedente agli eventi e del tutto sganciata da questi, senza che ciò possa far assumere a tale estremo di fatto forza scardinatrice della ricostruzione offerta dai dichiaranti.

Analogamente la pretesa di ricostruire i fatti tramite la percezione dei rumori di quella notte da parte dei vicini di casa, appare del tutto inaffidabile ove si consideri l’equivocità del dato offerto, e la sua natura isolata rispetto alle risultanze valorizzate dai giudici di merito.

8. La denunciata erronea applicazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3 è fondata sulla pretesa mancata analisi dei riscontri relativi alle dichiarazioni degli altri chiamanti, eccezione il cui fondamento è escluso in fatto dall’analisi che di tale aspetto hanno operato i giudici di entrambi i gradi nelle loro pronunce, esaminando compiutamente l’attendibilità soggettiva ed oggettiva dei dichiaranti, i particolari dagli stessi forniti quanto alle modalità di programmazione ed attuazione dell’illecito, particolarmente significativa anche con riferimento all’identificazione gruppo di fuoco, dei singoli ruoli svolti da ognuno, che significativamente coincidono, e non possono quindi ricondursi ad elementi esterni, quali la presenza della scala, rispetto alla quale, in ogni caso, non può che ripercorrersi quanto già contrastato sub 2. 9. Il nono motivo, con il quale si rileva travisamento della prova, è fondato su una interpretazione personale delle dichiarazioni di F., rispetto alle quali si assume la presenza di una difforme versione resa sull’ingresso del gruppo di fuoco, prima dalla porta di ingresso, e poi dal balcone; tale ipotesi ricostruttiva è però smentita dalla lettura della deposizione che, anche nello stralcio allegato dal difensore al ricorso, consente di accertare che ad una generica affermazione del dichiarante sull’ingresso attraverso la porta, che poteva far propendere per l’individuazione del varco in quella di ingresso nell’abitazione, successivamente nel corso del medesimo esame questi ha precisato che intendeva indicare la porta del balcone, precisazione alla luce della quale non sembra possibile prospettare l’eccepito travisamento della prova.

10. La violazione di legge rilevata riguardo alla valutazione dell’alibi fornito risulta dalla stessa prospettazione niente più che una sollecitazione a questo giudice di sovrapporre una propria valutazione a quella del giudice di merito, attività inibita dalla tipologia del giudizio di legittimità; l’esame del giudice del gravame risulta coerentemente svolto e non è posto in crisi dalle diverse allegazioni difensive, che si limitano a prospettare deduzioni di fatto già superate dal giudice di merito, richiamando l’accertata scarsa credibilità del datore di lavoro del B., già condannato in altro procedimento per aver reso dichiarazioni a lui favorevoli; l’inattendibilità delle annotazioni, già accertata a seguito della segnalata presenza di B.D. in Marcianise in giorni che risultavano lavorativi in Bergamo, sulla base degli atti, circostanze di fatto rispetto alle quali la natura giuridica di tali annotazioni, la loro redazione diretta da parte del datore di lavoro o mediata dall’intervento del professionista, risultano del tutto ininfluenti, non consentendo di superare il dato, storicamente accertato, della loro inaffidabilità.

Irrilevante è poi l’eccepita erronea valutazione operata dalla Corte circa la valenza dell’alibi fallito; risulta invero che nella sentenza impugnata, sulla base delle indicazioni del giudice di legittimità, nella sua espressione più autorevole (Sez. U, Sentenza n. 6682 del 04/02/1992, dep. 04/06/1992, imp. Musumeci, Rv. 191231) si è rilevato che, essendo stata acquista aliunde la prova di responsabilità, sulla base delle convergenti dichiarazioni dei collaboranti, riscontrate come evidenziato in precedenza, il dato storico assumeva la valenza di elemento integrativo, di chiusura del costrutto probatorio. Poichè il perimetro della valutazione operata è testualmente quello tracciato dalla pronuncia richiamata, non può che escludersi l’esistenza dell’eccepita violazione di legge.

11. Da ultimo risulta irrilevante il richiamo alla pronuncia di questa Corte in fase cautelare, ove si è giunti all’annullamento dell’ordinanza del riesame, atteso il diverso livello di valutazione intervenuto nelle differenti fasi processuali, e la compiuta ricostruzione probatoria che ha condotto all’affermazione di responsabilità, neppure rapportabile all’esame svolto in quella fase, sia pure sulla base dei medesimi atti, ma in ragione del perimetro valutativo costituito dalla ordinanza impugnata in quella sede, che ben poteva essere affetta da deficit motivazionali che non raggiungono le pronunce definitive del giudizio oggetto di analisi in questa sede.

12. Il complesso di tali elementi induce a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione; per l’effetto, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. B.D. è tenuto al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura indicata in dispositivo.

13. Passando all’analisi dei motivi di ricorso proposti dall’accusa, e partendo dal dato dell’attendibilità dei dichiaranti, come valutata nelle pronunce di merito, deve escludersi la logicità della motivazione, che conclude per l’insussistenza degli elementi di prova sul concorso morale di B.S..

Sulla base degli elementi probatori richiamati, e ritenuti validi al fine di giungere all’affermazione di responsabilità del fratello coimputato, deve intendersi come definitivamente accertato il contesto nel quale il delitto è maturato, costituito dalle faide tra i due gruppi familiari, nell’ambito di una associazione illecita di stampo camorristico, alla quale non è posto in dubbio che abbia partecipato B.S.; questi, in forza di quanto riferito dai dichiaranti, comunicò loro in periodo di tempo antecedente la consumazione dell’omicidio, il suo intento di soppressione di P.G., dilungandosi in particolari circa le modalità di realizzazione dei fatti che risultano tutte poste in essere per la consumazione dell’evento. Ma, quel che più rileva, è che da più fonti – e segnatamente dalle dichiarazioni di M. e dei fratelli D.G. i quali tutti affermano di aver saputo il particolare direttamente da B.S. – risulta che proprio lui fosse il depositario delle chiavi dell’immobile, che in tempo antecedente la carcerazione evidentemente consegnò ad altri componenti del commando e che, secondo le dichiarazioni di F., egli partecipò alle riunioni preparatorie che si tennero prima della sua carcerazione.

Tutti gli elementi riferiti valorizzano la presenza di un contributo causale di B.S., che può costituire elemento caratterizzante il concorso nel reato (Sez. 1, Sentenza n. 5858 del 15/12/1976, dep. 10/05/1977, imp. Dainotti, Rv. 135822), nelle modalità contestate, che in alcune pronunce di questa corte (Sez. 2, Sentenza n. 3822 del 18/11/2005, dep. 31/01/2006, imp. Aglieri, Rv.

233327) si è ritenuto correttamente integrato anche solo con la partecipazione alla riunione deliberativa del gruppo di appartenenza.

Se queste sono le indubbie risultanze, appare contrastante con i principi in tema di concorso morale concludere per la mancanza della prova della sua partecipazione; invero, se pacificamente tale forma di concorso può manifestarsi in forme differenziate ed atipiche, costituisce un dato pacifico che la partecipazione alla fase ideativa e di programmazione ne riveli l’esistenza, potendosi escludere la sussistenza dell’apporto del concorrente solo ove si ravvisi la prova positiva di uno iato tra quanto astrattamente programmato e quanto poi effettivamente realizzato dagli esecutori materiali, tale da rendere indipendenti e non rapportabili i due accadimenti con qualsivoglia nesso di collegamento.

Nelle argomentazioni dei giudici di merito, ed alla luce degli elementi probatori nelle pronunce valorizzate, se da un canto risulta indubbia ed estremamente avanzata la partecipazione di B. S. alla fase ideativa e di programmazione dell’illecito, per altri versi risulta essenziale il suo apporto, posto che, ove non avesse consegnato le chiavi al fratello o ad altro emissario del gruppo, non sarebbe stato possibile realizzare l’illecito con le modalità poste in essere.

Inoltre anche tale condotta potrebbe non assumere significato ove realizzata in una fase temporale del tutto autonoma, e non correlatale con la successiva esecuzione, qualora risultasse o una dissociazione di B.S. dai propositi del gruppo, o una sua attivazione, per quanto infruttuosa, per ostacolare la realizzazione programmata, elementi di fatto che non sono in alcun modo valorizzati dalle pronunce di merito, che si limitano a richiamare la valenza indicativa dello iato temporale tra espressione del proposito aggressivo e sua materiale esecuzione, elemento che, a fronte delle circostanze richiamate, – persistenza dei gruppi antagonisti, delle modalità esecutive, e dell’utilizzazione degli strumenti procurati da S. – risulta privo di univoca capacità dimostrativa della cestirà tra quanto da lui ideato e voluto, e quanto realizzato dai sodali del gruppo camorristico di appartenenza.

14. Alla luce delle considerazioni esposte si impone l’annullamento della pronuncia di assoluzione di B.S., con invio degli atti a diversa sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli, affinchè rivaluti, sulla scorta degli elementi probatori e dei criteri interpretativi posti in evidenza, la fondatezza dell’ipotesi d’accusa.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.D. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.

Annulla nei confronti di B.S. la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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