Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 14-04-2011) 10-05-2011, n. 18081 motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 6.3 – 12.6.2006 il Tribunale di Poggia condannava l’avv. P.G.S. alla pena di giustizia per i reati di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, dedita anche al traffico di stupefacenti (art. 416 bis c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 – capo A, in relazione al clan P – F, operante nel territorio di Cerignola) e favoreggiamento personale aggravato in favore di C.R. (capo D, nell’ambito di un procedimento per tentata estorsione), dichiarando l’improcedibilità per prescrizione di altri due reati di favoreggiamento (capi B e C, rispettivamente in favore di Salvatore Busco in ordine ad un omicidio e di A.S., all’epoca latitante) ed assolvendo nel merito per un reato ex art. 455 c.p. (capo E).

Tali contestazioni vedevano anche coimputati: il capo B, M. G. e Ce.Sa.,- il capo C, Cu.Lu.; il capo D, M.G. e Ca.Ca..

La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 23.1-10.4.2009, dichiarava l’improcedibilità per l’intervenuta prescrizione anche del delitto di favoreggiamento del capo D, ed assolveva l’imputato dai due reati associativi, perchè il fatto non costituisce reato quanto al delitto ex art. 416 bis c.p. e per non aver commesso il fatto quanto al delitto D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74.

Nella efficace sintesi delle ragioni della propria decisione (pag.

189 ss.), la Corte distrettuale giudicava che il contributo attribuito al P. nelle varie vicende esaminate, in relazione alle dichiarazioni dei collaboratori ed alle risultanze di polizia giudiziaria, non poteva con certezza condurre alla conclusione che il rapporto che lo legava al clan Piarulli – Ferraro fosse caratterizzato dalla ed affectio societatis, perchè: alcuni comportamenti/fatti non risultavano sufficientemente provati (ricevere regalie in luogo del pagamento di onorari; la partecipazione al progetto di uccidere D.T.L.;

l’attivazione per rintracciare S.M. al fine di dissuaderlo dal collaborare; la detenzione di stupefacente e denaro per conto di Co. – " Fr. il (OMISSIS)"; l’aver fatto da tramite tra il detenuto Pi.Mi. e Cu. – " Gi.

(OMISSIS)" per assicurare una fornitura di cocaina a esponenti di altro clan operante a Milano); altri, pur accertati esistenti (l’attivazione per le trattative segrete conseguenti al sequestro del figlio di F.G. l’ospitalità offerta al latitante A., varie condotte di inquinamento delle fonti di prova in procedimenti sia penali – con i favoreggiamenti in favore di B. e C. – che civili) erano "suscettibili di una lettura differente rispetto a quella di un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo a carattere continuativo, dotato di effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o rafforzamento dell’associazione di appartenenza", in particolare con l’essere l’avv. P.G.S. avvezzo a svolgere la professione in modo deontologicamente scorretto ed a volte penalmente rilevante, a prescindere da un tale stabile inserimento.

2. Avverso la sentenza della Corte barese ricorre il procuratore generale distrettuale, con unico articolato motivo denunciando vizi di motivazione e violazione della legge penale.

Secondo la ricorrente parte pubblica, la Corte d’appello avrebbe errato metodologicamente nella valutazione delle prove, in ragione di una lettura solo parcellizzata dei dati dimostrativi esistenti, senza confrontarsi con le correlazioni esistenti tra gli stessi, evidenziate invece dal Tribunale, e dichiaratamente valutando le singole condotte solo nella loro astratta corrispondenza alle fattispecie legali incriminatrici, a fronte di una contestazione di partecipazione a delitto associativo che ben può fondarsi anche su comportamenti ex se penalmente irrilevanti, solo deontologicamente scorretti o addirittura astrattamente legittimi; proprio tale erroneo vaglio isolato dei singoli episodi/comportamenti, anche quando giudicati certi nella loro storica esistenza, avrebbe condizionato l’esito del giudizio.

In particolare:

quanto alle vicende narrate dai collaboratori e ritenute non adeguatamente dimostrate, per inaffidabilità soggettiva del dichiarante o assenza di riscontri esterni, a fronte di un’accurata disamina degli indici rivelatori dell’attendibilità soggettiva ed oggettiva dei chiamanti in correità/reità operata dal Tribunale, la Corte barese avrebbe fondato il proprio negativo apprezzamento solamente su frasi estrapolate dal contesto complessivo delle dichiarazioni ( R., C.);

. sarebbe erroneo in diritto l’aver negato la natura di riscontro alla telefonata effettivamente intercorsa tra gli avvocati P. e G. (episodio D.T.), in ragione della non conoscibilità dell’effettivo suo contenuto, con ciò pretendendosi la consistenza di prova autosufficiente, nel contempo svalutandosi la prova dichiarativa senza motivazione specifica;

. quanto al coinvolgimento con gli stupefacenti, la Corte distrettuale avrebbe estrapolato singole affermazioni di c. e Fo., sempre con approccio parcellizzante, ma soprattutto omettendo il confronto con tutte le fonti di prova che erano state considerate dal Tribunale, tra loro concorrenti al quadro probatorio "rassicurante" che aveva fondato la condanna, in particolare A., R.D. e Ch..

In ordine poi alle condotte confermate come pacificamente provate, l’effetto distorcente dell’approccio valutativo sarebbe evidente nell’aver decontestualizzato non solo le condotte, ma le stesse prove, con un apprezzamento individualizzato che avrebbe del tutto ignorato le altre emergenze probatorie, metodo erroneo che, solo, aveva consentito di pervenire a considerare le vicende sotto il solo profilo della ripetuta rilevanza deontologica o penale individuale.

Da ultimo, in relazione all’episodio dell’essersi il P. prestato nel (OMISSIS) a fornire un alibi falso a M.G. ("componente autorevole del clan Piarulli – Ferraro" e imputato di triplice omicidio, secondo il ricorrente), erroneamente la Corte avrebbe sovrapposto l’aspetto afferente la ritualità della contestazione (la condotta è del (OMISSIS);

il capo di imputazione indicava il termine di cessazione della contestazione all’esecuzione della misura cautelare, del precedente mese di aprile; il Tribunale aveva ritenuto la permanenza del reato associativo estesa fino al mese di novembre), con quello della possibilità di considerare comunque la condotta al fine della valutazione complessiva delle prove relative ai fatti rientranti nel periodo di contestazione, sotto il profilo della sussistenza dell’affectio societatis al clan; considerazione che sarebbe stata legittima, tenuto conto del pieno contraddittorio intervenuto sulle dichiarazioni rese sul punto dal collaboratore Ch..

2.1 Sono state depositate memorie da parte degli avvocati Metta (successivamente revocato), Di Terlizzi e Aricò. 3. Quando la sentenza d’appello modifica radicalmente la deliberazione della sentenza di primo grado, il giudice dell’impugnazione – pur avendo la stessa piena cognizione di merito, esattamente sovrapponibile, pure nei suoi contenuti di apprezzamento del fatto, a quella del primo giudice (ovviamente nei limiti del devoluto) – ha l’obbligo di confrontarsi specificamente anche con le ragioni per le quali il primo giudice era pervenuto ad un apprezzamento opposto, spiegando – con motivazione non apparente e immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà – perchè le disattende.

Ma, in una tale evenienza e come ricordato recentemente da Sez. 6, sent. 16333 del 23.3 – 26.4.2011, alla parte che deduca il vizio dell’omessa motivazione della sentenza d’appello, proprio in ragione di un asserito mancato confronto argomentativo con le, diverse, argomentazioni del giudice "a quo", l’adempimento dell’obbligo di specificità dei motivi di ricorso (ai sensi dell’art. 581 c.p.p.) impone l’onere di svolgere un autonomo percorso di critica alla motivazione d’appello, in particolare non solo indicando i vari aspetti dei singoli punti della decisione "attaccati" perchè ritenuti argomentati senza il confronto con quanto motivato dal primo giudice, ma ponendo essa stessa a confronto le due motivazioni e spiegando perchè la seconda avrebbe ignorato uno o più passaggi argomentativi, determinanti ad imporre una diversa conclusione, individuandoli specificamente ed indicandone appunto la decisività al fine di una diversa deliberazione, in altri termini, essendo il ricorso per cassazione in realtà caratterizzato da un "obbligo di specificità rafforzato" – quella generale dell’art. 581 c.p.p. e quella peculiare che trova fonte nella tassatività dei vizi di motivazione rilevanti in cassazione (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) -, quando gli assunti vizi della sentenza d’appello trovano fonte dal confronto tra le due motivazioni, le deduzioni della parte ricorrente debbono indicare specificamente i passaggi essenziali di esse che fondano il vizio dedotto, procedendo ad un’autonoma ricostruzione del percorso logico ritenuto immune da vizi. Ciò, non solo quando la censura sia di motivazione omessa (anche nella forma dell’apparenza) su un punto determinante per la decisione (la cui decisività va dedotta specificamente e spiegata), ma pure quando la censura sia di manifesta illogicità della ragione argomentata dal giudice d’appello per spiegare il diverso apprezzamento del singolo aspetto, ovvero di contraddittorietà tra più passaggi della motivazione della sentenza d’appello, rispetto alla ricostruzione/valutazione del primo grado, eventualmente con il travisamento di specifica prova, purchè in ogni caso sempre evidenziando il requisito della rilevanza determinante del vizio ad imporre conclusione opposta a quella deliberata dal giudice d’appello.

Tale obbligo di specificità "rafforzata" del motivo di ricorso non è adempiuto quando la parte ricorrente si limiti a richiamare le argomentazioni del primo giudice, senza spiegare – contestualmente e con autonoma attività di selezione e specificazione – perchè rispetto ad esse l’argomentazione d’appello risulti omessa o manifestamente illogica o contraddittoria.

E questo, anche – ed in un certo senso a maggior ragione quando la parte ricorrente riproduca brani interi della sentenza disattesa e/o di quella d’appello. Perchè, innanzitutto, la sola contrapposizione delle due motivazioni si risolve in censura di merito, dando per sè esclusivamente conto di due differenti soluzioni della causa, la scelta, tra di esse, di miglior adeguatezza al caso richiedendo inevitabilmente un confronto con il materiale probatorio, del tutto precluso in sede di legittimità. E, in secondo luogo, perchè quando la deduzione del vizio per omesso confronto su un determinato punto della decisione è sostenuta dal richiamo generale ad un’argomentazione articolata del primo giudice, ovvero del giudice d’appello, il motivo si connota inevitabilmente di genericità, in quanto la selezione tra i diversi momenti e contenuti di tale argomentazione articolata, per individuare quello o quelli che più propriamente potrebbero effettivamente sorreggere la censura, viene di fatto rimessa allo stesso giudice di legittimità: il che, pure, non è consentito.

E’ infatti insegnamento costante che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, il sindacato demandato alla Corte di cassazione essendo limitato a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’intrinseca adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, anche quando dalla lettura dei provvedimenti giudiziari e degli atti di impugnazione possa apparire più adeguata una diversa valutazione delle risultanze processuali. La Corte di cassazione non può infatti sovrapporre il proprio apprezzamento delle risultanze processuali a quella compiuta da entrambi i giudici del merito, o da quello di essi che ha deliberato il provvedimento in concreto impugnato, ma può, e deve, solo saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione, mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri e diversi modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, in particolare quelli dedotti dal ricorrente. In altri termini, nel momento del controllo della motivazione la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, ne1 deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione contenuta nella sentenza impugnata sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (Sez. 4, sent. 4842 del 2.12.2003-6.2.2004).

Da ultimo, va osservato che specialmente quando – come nella fattispecie – si è di fronte a due motivazioni certamente articolate, che risolvono in termini differenti i rilievi posti dalle difese, solo la rigorosa specificità dei motivi di ricorso consente di evitare il non consentito passaggio al merito, l’eventuale migliore adeguatezza dell’una delle due ricostruzione ai fatti, quali risultanti dalle sentenze non avendo per sè, per quanto appena argomentato, rilievo in sede di legittimità. 4. Con tale premessa, il ricorso della parte pubblica deve essere dichiarato inammissibile perchè i motivi sono in parte generici ed in parte diversi da quelli consentiti, essendo in definitiva volti alla sollecitazione di un diverso apprezzamento del merito probatorio, laddove la principale censura proposta dalla parte pubblica ricorrente – la parcellizzazione nella valutazione delle prove – trova poi uno sviluppo di tipo sostanzialmente solo esemplificativo, quando invece la Corte distrettuale ha proceduto ad un’analitica e specifica valutazione dei singoli elementi probatori, che avrebbe dovuto essere, in ipotesi d’accusa – e sempre con esclusivo riferimento agli unici parametri che rilevano nel giudizio di legittimità (e pertanto quelli della motivazione omessa o apparente, della manifesta illogicità, della contraddittorietà intrinseca all’atto-sentenza ovvero estrinseca rispetto ad una prova specificamente indicata ed assunta come dissolvente la valutazione avversata) -, o dettagliatamente criticata ovvero criticata in sue parti specifiche che, caratterizzate da una possibile autonomia rispetto alle restanti argomentazioni, fossero tuttavia idonee ad imporre deliberazione diversa (ciò vale, come subito si vedrà, per gli episodi di favoreggiamento personale).

Sono in particolare generiche la prima e la terza censura, relative alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, perchè a fronte di un’analitica motivazione del Giudice d’appello sulle ragioni per cui singole dichiarazioni sono state giudicate inattendibili o insufficienti a dar prova dei fatti narrati, il ricorso richiama genericamente, su tali plinti, le diverse valutazioni del Tribunale, e deduce poi la presenza di altri collaboratori, senza spiegare autonomamente perchè il contenuto specifico di tali dichiarazioni – il cui esame si assume essere stato omesso ed il cui contenuto non è tuttavia riferito, nè allegato secondo l’onere di autosufficienza dell’atto di impugnazione – sarebbe stato determinante per una diversa deliberazione.

La rilevata inammissibilità delle precedenti due censure influisce sulla sorte delle altre due. innanzitutto, le censure di apprezzamento parcellizzato delle risultanze probatorie e di non considerazione della vicenda del novembre 1996, quantomeno ai fini di riscontro indiziario del dolo associativo che avrebbe qualificato le condotte precedenti e consumate fino all’aprile dello stesso anno, risultano enunciate e poi sorrette principalmente dal richiamo integrale a parti estese del testo delle due sentenze (pag. 5-8 del ricorso) ovvero dalla sola indicazione della pagina, con una sintesi della critica (es. pag. 9), che tuttavia risulta in realtà astratta, e in definitiva apodittica, laddove il Giudice d’appello ha invece distinto le singole fonti di prova, per ciascuna di esse fornendo una valutazione specifica. Così, la censura relativa all’episodio D. T., che pur coglie un effettivo aspetto di debolezza della motivazione d’appello in ordine alla nozione di riscontro, per come è "strutturato" il ricorso si risolve in una mera esemplificazione, dei vizi che sono stati dedotti in via generale, non risultando sorretta dall’autonoma indicazione delle ragioni della sua eventuale specifica ed autonoma decisività per una deliberazione diversa.

Allo stesso modo, in ordine alle condotte giudicate integranti autonomi delitti di favoreggiamento – ed il rilievo assorbe anche il punto della legittimità o meno della valutazione probatoria, sia pure ai limitati fini dell’utilizzazione quale riscontro, anche dell’episodio del (OMISSIS) – manca nel ricorso un’argomentata deduzione specifica, indispensabile per determinare la rilevanza del vizio lamentato, che tali condotte, pur in sè sole considerate, avrebbero, nel loro insieme, potuto fondare l’appartenenza associativa, ancorchè solo relativamente al delitto di cui all’art. 416 bis c.p..

Il ricorso, infatti, considera tali condotte sempre insieme agli altri elementi probatori (pag. 12), per poi soffermarsi sulla correttezza giuridica della rilevanza attribuita all’episodio di novembre (pag. 14 – 17), senza sviluppare il tema – solamente accennato ed invece essenziale (pag. 13 ultimo paragrafo) – appena evidenziato.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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