Cass. pen., sez. III 28-01-2009 (08-01-2009), n. 3838 Dichiarazioni sfavorevoli all’indagato acquisite successivamente all’ordinanza custodiale – Legittimità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Ancona confermò l’ordinanza 13 maggio 2008 del Gip del tribunale di Ancona, che aveva applicato a K.M.E. la misura della custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di cui alla L. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, e L. n. 146 del 2006, art. 4, per avere favorito e sfruttato la prostituzione di alcune ragazze ungheresi in Italia.
L’indagata propone ricorso per Cassazione deducendo:
1) omessa motivazione sugli elementi forniti dalla difesa con la memoria depositata il 28.8.2008; nullità dell’ordinanza per violazione degli artt. 192 e 125 c.p.p., e omessa e insufficiente motivazione. Lamenta che il tribunale del riesame non ha preso in considerazione gli elementi difensivi forniti con la detta memoria, concernenti in particolare:
a) reato di favoreggiamento della prostituzione in relazione ai fatti asseritamente commessi a (OMISSIS): il fatto che non vi era nessuna prova o indizio che essa avesse reperito gli appartamenti o avesse percepito proventi a titolo di locazione;
b) favoreggiamento della prostituzione tramite inserzioni pubblicitarie: non sono state esaminate le risultanze investigative da cui non risultano tracce che essa avesse curato la pubblicazione delle inserzioni sul giornale o sul sito internet;
c) favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione a (OMISSIS): era emerso che i contatti per la locazione dell’appartamento erano stati tenuti da altri;
d) favoreggiamento attraverso le inserzioni pubblicitarie avvenute a (OMISSIS): era emerso che essa non aveva dato alcun contributo a tali inserzioni;
e) sfruttamento della prostituzione per aver percepito parte dei proventi: non era emerso che essa avesse percepito una qualche somma;
f) accusa di avere agevolato e favorito gli scopi della associazione criminale di cui al capo A): dalle intercettazioni emergeva che essa era del tutto estranea alla associazione, non vi era stati suoi contatti diretti, essa si prostituiva in proprio ed era del tutto autonoma.
2) nullità per inosservanza dell’art. 309 c.p.p., comma 5, in relazione all’art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), perchè l’ordinanza impugnata si fonda anche sulle dichiarazioni di tali D. e H., che però erano state prodotte dal P.M. solo nel corso dell’udienza dinanzi al tribunale del riesame e quindi erano inutilizzabili perchè era stato impedito alla difesa di conoscerle per tempo.
3) violazione di legge e omessa motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, non essendo state esaminate le risultanze favorevoli all’indagata ed evidenziate nella memoria difensiva.
4) omessa motivazione sulla necessità della custodia in carcere invece degli arresti domiciliari.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso si risolvono in realtà, per la gran parte, in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque infondati perchè il tribunale del riesame ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione, estesa a tutti gli elementi forniti dal processo, sulle ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e la presenza delle esigenze cautelari.
Preliminarmente, deve osservarsi che non sussiste alcuna violazione dell’art. 309 c.p.p., comma 5, e dei diritti della difesa per il fatto che le dichiarazioni di tali D. e H. erano state prodotte dal pubblico ministero solo nell’udienza dinanzi al tribunale del riesame. Si tratta infatti di dichiarazioni – peraltro sfavorevoli all’indagato – che non erano state prese in considerazione dal GIP ai fini della misura cautelare, perchè erano state rese successivamente all’adozione di tale misura, avvenuta il (OMISSIS), e precisamente solo l'(OMISSIS).
Ora, la sanzione dell’inefficacia prevista dall’art. 309 c.p.p., comma 10, può trovare applicazione solo nel caso di mancata o tardiva trasmissione al tribunale del riesame di atti di natura sostanziale quali i verbali di sommarie informazioni testimoniali espressamente menzionati nella ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP e da questo posti a fondamento del suo provvedimento, mentre gli altri atti possono essere prodotti o acquisiti indipendentemente dalla osservanza del termine perentorio di cui all’art. 309 c.p.p., comma 5 (cfr. Sez. Un., 27 marzo 2003, Mohamed Ashraf, m. 221393; Sez. 2, 9 febbraio 2006, Staibano, m. 233161).
Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, il tribunale del riesame ha la facoltà di utilizzare ulteriori elementi per la decisione alla condizione che gli stessi gli siano stati offerti dalle parti, e che ciò avvenga nel corso dell’udienza, e quindi anche in sede di discussione orale, quando è ancora possibile l’instaurarsi tra le parti di un contraddittorio anche sul loro contenuto (Sez. 1, 22 ottobre 2003, Canicci, m. 226818). Nel procedimento di riesame è quindi legittima l’acquisizione di dichiarazioni sfavorevoli all’indagato raccolte dopo l’emissione della ordinanza di custodia cautelare, il cui verbale sia rimasto a disposizione della difesa, perchè dal disposto dell’art. 309 c.p.p., comma 5, secondo il quale incombe al PM l’obbligo di trasmettere al tribunale tutti gli elementi sopravvenuti a favore dell’indagato, non è consentito desumere il principio per cui gli sarebbe interdetta la facoltà di fare altrettanto con quelli di segno contrario (Sez. 1, 6 luglio 1999, Piroddi, m. 214095).
Per quanto concerne la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza non è dato riscontrare una mancanza o insufficienza di motivazione della ordinanza impugnata, la quale ha invece congruamente ed adeguatamente motivato sulla presenza di tali indizi, che è stata desunta dalle dichiarazioni di Ma.Te. e dalla conseguente attività investigativa, dalla quale era emerso che due prostitute ungheresi erano state mandate a (OMISSIS) in un appartamento a disposizione della M. (come era chiamata la K.), la quale aveva preteso un contributo anche elevato per farle prostituire; che la M. aveva anche aiutato le ragazze a contattare le agenzie per la pubblicazione di annunci sui giornali e su un sito internet; che aveva aiutato le stesse anche a trovare alloggi in altre città, ed in particolare a (OMISSIS), chiedendo sempre una tariffa ritenuta troppo esosa dalle ragazze. Il tribunale del riesame ha poi rinvenuto una conferma di tali gravi indizi anche nelle dichiarazioni di tali D. e H., due prostitute ungheresi che avevano riferito anch’esse di aver lavorato per la M. che si occupava della loro sistemazione negli appartamenti dietro un rilevante compenso.
Quanto alle esigenze cautelari, il tribunale del riesame, con apprezzamento di fatto adeguatamente e congruamente motivato, le ha rinvenute nel grave e concreto pericolo di reiterazione di analoghe condotte criminose, desunto dalla professionalità ed abitualità della condotta delittuosa, protratta per lungo tempo, che rappresentava per l’indagata una fonte di reddito e che era strettamente connessa alla sua attività di prostituta, rappresentando quindi un vero e proprio modus vivendi, che le aveva consentito di stringere una serie di amicizie e complicità con personaggi gravitanti nello stesso ambiente e dimoranti in varie parti d’Italia. Il tribunale ha anche motivatamente escluso che le esigenze cautelari potessero essere soddisfatte con gli arresti domiciliari, che non sarebbero stati in grado di recidere completamente gli stretti e saldi legami delinquenziali, alla luce della pericolosa personalità dell’indagata, che non offriva garanzie circa il rispetto volontario delle prescrizioni restrittive.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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