Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-05-2011, n. 2792 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ell’avvocato Astuto.
Svolgimento del processo

1. Il signor M.D.N. è titolare di un contratto di comodato sottoscritto in data 14 giugno 2001, che gli ha attribuito un diritto personale di godimento sui terreni agricoli di proprietà della signora M. C. A. ed in particolare, sull’area censita in catasto al foglio n. 248, particella 215, coltivata ad oliveto e seminativo.

L’area in questione è stata sottoposta con il decreto ministeriale 6 novembre 1970 al vincolo archeologico ai sensi della legge 1° giugno 1939, n. 1089, è classificata come Ambito Territoriale Distinto "C" dal P.U.T.T./Paesaggio della Regione Puglia ed è tipizzata come zona agricola "E2" dallo strumento urbanistico vigente nel Comune di Lecce (che prevede altresì l’applicabilità all’area del regime di inedificabilità assoluta previsto dall’art. 123 delle N.T.A.).

2. Con la deliberazione n. 42 dell’11 maggio 2004, il Consiglio comunale di Lecce approvava il Bilancio pluriennale di previsione con l’allegato Programma triennale delle opere pubbliche e relativo elenco annuale dei lavori 2004, inserendo anche l’intervento di "funzionalizzazione, valorizzazione e fruizione del parco archeologico di Rudiae" (intervento inserito e finanziato dal Programma di riqualificazione urbana e sviluppo sostenibile del territorio, così detto P.R.U.S.S.T.).

Con la successiva delibera 14 settembre 2005 n. 63, il Consiglio comunale di Lecce approvava il progetto preliminare dell’intervento in variante allo strumento urbanistico, ai sensi dell’art. 8 della legge regionale n. 3/2005.

Dopo la dichiarazione di pubblica utilità ( decreto 12 aprile 2007 del Direttore Generale per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali), era quindi approvato, con delibera della giunta comunale di Lecce 11 febbraio 2008, n. 73, il progetto definitivo delle opere.

3. Il signor D. N., dopo la notifica alla proprietaria della nota dell’Assessorato ai lavori pubblici del Comune, n. 59423 del 9 maggio 2007 (avente ad oggetto la determinazione dell’indennità d’esproprio), con il ricorso n. 538 del 2008 proposto al TAR per la Puglia, ha chiesto l’annullamento di tutti gli atti del procedimento:

– della deliberazione del Consiglio comunale di Lecce n. 63 del 14 settembre 2005, avente ad oggetto: "PRUSST – Intervento di funzionalizzazione, valorizzazione e fruizione del Parco Archeologico di Rudiae. Approvazione progetto preliminare in variante e apposizione del vincolo preordinato all’esproprio ai sensi dell’art. 8 comma 2 L.R. 22 febbraio 2005, n. 3" e del medesimo progetto;

– della nota prot. n. 8434 del 18 dicembre 2006 del Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia;

– delle note prott. n. 2893 del 7 marzo 2007, n.13038 del 9 ottobre 2006, n.13039 del 9 ottobre 2006 e n. 4159 dell’8 novembre 2006 con le quali la Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia ha espresso parere favorevole sul progetto e in relazione all’effettuazione dell’espropriazione dell’immobile;

– della nota prot. n. 2156 del 23 febbraio 2007 del Dirigente della Direzione Generale per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali, con cui si chiede all’Amministrazione comunale documentazione relativa al procedimento di cui si tratta;

– del decreto del 12 aprile 2007, con cui il Direttore Generale della Direzione Generale per i beni archeologici del Ministero per i beni e le attività culturali dichiara di pubblica utilità l’acquisizione a favore del Comune di Lecce degli immobili insistenti nell’area archeologica dell’antico abitato di Rudiae;

– della deliberazione della Giunta comunale di Lecce, n. 73 dell’11 febbraio 2008, avente ad oggetto: "Approvazione progetto definitivo relativo all’intervento di Funzionalizzazione, valorizzazione e fruizione del Parco Archeologico Rudiae. Importo progetto definitivo Euro 635.000,00" e del medesimo progetto definitivo.

4. Con il ricorso si è dedotto:

1) la violazione degli artt. 117, lett. s), e 118, terzo comma della Costituzione, violazione degli artt. 1, 2, 5, 28, 45, 46, 135, 136, 160, 175 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42;

2) violazione degli artt. 8, 9, 12 e 19 del t.u. n. 327 del 2001, violazione art. 11 e 12 della legge regionale n. 20 del 2001, violazione e falsa applicazione dell’art. 8, 2° comma della legge regionale n. 3 del 2005, violazione del principio del giusto procedimento;

3) violazione degli artt. 117 lett. s) e 118, terzo comma della Costituzione, violazione degli artt. 2, 4, 10, 88, 91, 97, 98 e 100 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, incompetenza assoluta, eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, illogicità, perplessità ed irragionevolezza dell’azione amministrativa;

4) violazione, falsa ed erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 95 e 98 del d.lgs. 42 del 2004, nullità ex art. 164 del d.lgs. 42 del 2004, nullità ex art. 21septies della legge n. 241 del 1990; 5) violazione, falsa ed erronea applicazione dell’art. 100 del d.lgs. 42 del 2004 e dell’art. 52 del d.p.r. 327 del 2001, falsa ed erronea applicazione delle disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità;

6) violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 e degli artt. 12 e 16 del t.u. n. 327 del 2001 e successive modifiche ed integrazioni.

5. Con motivi aggiunti, depositati in data 25 settembre 2008, il ricorrente ha anche impugnato, per illegittimità derivata, le note n. 77482 del 16 giugno 2008, n. 110333 del 17 settembre 2008, e allegato decreto definitivo di espropriazione n. 825 del 15 settembre 2008, emessi dal Comune.

6. Il TAR, con la sentenza n. 1048 del 2010, ha in parte rigettato il ricorso e i motivi aggiunti e in parte ne ha dichiarato l’inammissibilità compensando tra le parti le spese del giudizio.

7. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso di primo grado.

8. All’udienza del 19 aprile 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Con la sentenza gravata n. 1048 del 2010, il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione prima, in parte ha respinto il ricorso n. 538 del 2008 e motivi aggiunti, proposti dal sig. M.D.N. avverso gli atti relativi alle procedure di esproprio di immobili ricadenti in area archeologica, e in parte li ha dichiarati inammissibili.

2. Nella sentenza si afferma che:

– gli interventi posti a base della procedura di cui si tratta sono di contenuto tale da farli rientrare tra quelli previsti dall’art. 95 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio; di seguito Codice), e non dai successivi articoli 96 e 97 (recanti, rispettivamente, espropriazione "per fini strumentali" e "per interesse archeologico"), in quanto volti alla tutela di "un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi" (comma 1), per i quali lo stesso articolo prevede la possibilità per il Ministero per i beni culturali e ambientali di delegare il potere espropriativo agli enti locali (comma 2) e quindi, nella specie, al Comune di Lecce;

– il progetto non è stato valutato in modo generico avendo il Ministero avuto a disposizione l’intera documentazione progettuale con nota della Soprintendenza archeologica del 7 marzo 2007 prima dell’emanazione del decreto del 12 aprile 2007 di dichiarazione della pubblica utilità dell’acquisizione degli immobili ai fini dell’applicazione del citato art. 95;

– l’esistenza del contratto di comodato in capo al ricorrente è stata resa nota all’Amministrazione comunale il 12 giugno 2007, dopo la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, dovendosi perciò applicare il principio (richiamato nell’art. 3, comma 2 del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327) per cui la partecipazione al procedimento è limitata al solo soggetto che risulti proprietario secondo i registri catastali;

– correttamente il progetto è stato ascritto alle finalità del P.R.U.S.S.T., poiché, dato lo scopo del miglioramento della fruizione di un compendio archeologico, risulta volto allo "sviluppo sostenibile sotto il profilo economico, ambientale e sociale… (e) alla promozione turisticoricettiva";

– la chiara ricomprensione dell’intervento nella fattispecie disciplinata dall’art. 95 del d.lgs. n. 42 del 2004 rende evidente la superfluità della deliberazione 14 settembre 2005 n. 63 del Consiglio comunale di Lecce, poiché recante una variante della destinazione urbanistica dell’area non necessaria nel quadro di una legittima espropriazione ai sensi dell’articolo citato;

ne consegue anche, per altro profilo, il difetto di legittimazione e interesse del ricorrente a sollevare censure sulla modificazione del regime urbanistico o del regime proprietario di aree che non rientrano più nella disponibilità privata;

– dovendosi concludere che il ricorso e i motivi aggiunti sono da dichiarare in parte infondati (quanto alle censure sull’esercizio del potere ai sensi dell’art. 95 del d.lgs. 42 del 2004) e in parte inammissibili per difetto di legittimazione ed interesse del ricorrente (riguardo alle residue censure).

3. Nell’appello, e nelle memorie difensive successivamente depositate, affermata la legittimazione attiva del ricorrente in quanto titolare di un diritto reale di godimento del bene espropriato con il conseguente pregiudizio per la sua posizione, si deduce che:

– erroneamente nel caso in esame è stato applicato il procedimento espropriativo di cui all’art. 95 del Codice volto, se non vi siano altri strumenti idonei, a migliorare le condizioni della tutela per la migliore fruizione pubblica del bene, mentre avrebbe dovuto essere applicato quello disciplinato dal successivo art. 97, della espropriazione per interesse archeologico, e perciò di esclusiva competenza statale, senza alcuna facoltà di delega al Comune;

– dagli atti emerge infatti chiaramente che gli interventi previsti (scavi archeologici, costruzione di una struttura a fini di didattici e di accoglienza, recinzione del Teatro e delle aree) sono funzionali ad opere implicanti la trasformazione urbanistica del territorio, autorizzabili soltanto dal Ministero, ai sensi dell’articolo 97 del Codice, in quanto titolare del relativo procedimento, avendo esercitato perciò il Comune poteri che non gli competono e chiesto inoltre che il progetto fosse finanziato a carico del P.R.U.S.S.T dopo averlo approvato in variante dello strumento urbanistico (delibera del consiglio comunale n. 63 del 2005);

– l’incongruenza del procedimento adottato è ulteriormente confermata: a) dal mancato coinvolgimento dei privati nella finalità di valorizzazione del patrimonio culturale, pure previsto dalla normativa in luogo del solo strumento espropriativo; b) dal fatto che la Soprintendenza per i beni archeologici con la nota del 7 marzo 2007 ha espresso soltanto un parere di massima senza disporre del progetto, non avendo contezza quindi della tipologia degli interventi da eseguire, e perciò della esclusiva competenza del Ministero in materia con il connesso obbligo di applicare la normativa generale sugli espropri; non vi è inoltre prova che il Ministero abbia avuto a disposizione la necessaria documentazione progettuale prima dell’adozione del decreto di dichiarazione della pubblica utilità; c) dalla mancanza di una specifica comunicazione alla proprietaria dell’area prima della conclusione del procedimento finalizzato alla dichiarazione di pubblica utilità, violando il principio della partecipazione al procedimento da parte dei privati (nella specie proprietaria e comodatario); d) dalla non riferibilità degli interventi progettati alle finalità del P.R.U.S.S.T., che sono volte al diverso scopo della riqualificazione territoriale e urbana;

– in questo quadro non risulta superflua la variante urbanistica approvata dal Comune, proprio perché necessaria secondo la disciplina del procedimento espropriativo generale pertinente al caso in esame;

– sussistono perciò i vizi di violazione di legge dedotti con il ricorso di primo grado in parte non esaminati dal TAR, che vengono riproposti, tutti connessi alla erroneità del riferimento del procedimento adottato all’art. 95 del Codice;

– dovendosi infine ritenere in contrasto con gli articoli 9 e 118 della Costituzione l’art. 95, comma 2, del Codice, con possibile questione di legittimità costituzionale, se interpretato come idoneo ad autorizzare enti pubblici, territoriali e non, all’espropriazione di immobili di interesse archeologico in lesione della esclusiva competenza dello Stato in materia, fondata sull’essere interesse generale nazionale la tutela di un patrimonio identitario, come è quello archeologico, propria perciò soltanto dello Stato a fini di esercizio unitario, come è correttamente presupposto nella normativa di cui all’art. 97 del medesimo Codice.

4. Le censure così riassunte sono infondate per i motivi che seguono.

4.1. Il Codice prevede negli articoli 95, 96 e 97 tre fattispecie di espropriazione che, volte tutte ad assicurare l’interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio culturale, si distinguono per l’articolazione di tale interesse secondo fini specifici, idonei, in ciascuna delle fattispecie, a legittimare il sacrificio della proprietà privata.

L’ablazione della proprietà è infatti consentita, con l’art. 95 ("Espropriazione di beni culturali", di beni "immobili e mobili"), se sussiste "un importante interesse" al fine di "migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi" (comma 1), con l’art. 96 ("Espropriazione per fini strumentali"), se l’esproprio di "edifici ed aree" è necessario per "isolare o restaurare beni culturali immobili" per "assicurarne la luce o la prospettiva, garantirneo accrescere il decoro o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l’accesso", con l’art. 97 ("Espropriazione per interesse archeologico", di "immobili"), "al fine di eseguire interventi di interesse archeologico o ricerche per il ritrovamento delle cose indicate nell’articolo 10" (e perciò di rinvenire anche reperti non archeologici).

Le specificità della fattispecie dell’art. 95 sono dunque le seguenti: oggetto dell’esproprio è un bene già qualificato come bene culturale, che può anche essere un bene mobile; scopo primario dell’espropriazione è anzitutto l’acquisizione del bene, per la sua migliore fruizione, e non la realizzazione di un’opera con effetto di trasformazione del territorio (comma 1); il Ministero ha la facoltà di autorizzare gli enti locali, su loro richiesta, ad effettuare l’espropriazione, ferma la dichiarazione di pubblica utilità da parte del Ministero stesso (comma 2).

Nelle due altre fattispecie: il bene da espropriare non è di per sé tale ma è in rapporto con un bene culturale (in atto ai sensi dell’art. 96, ovvero in via potenziale ai sensi dell’art. 97) ed è sempre un bene immobile; lo scopo primario è quello di eseguire un’opera o un intervento con trasformazione dell’area; il procedimento non prevede fasi in capo ad enti territoriali non regionali.

A tali specificità della fattispecie dell’art. 95 si correla la specialità del relativo procedimento di espropriazione rispetto a quello disciplinato in via generale dal d.P.R. n. 327 del 2001, relativo alla espropriazione di immobili, o diritti relativi, per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, come risulta confermato dall’art. 100 del Codice, che riferisce l’applicazione delle "disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità", in quanto compatibili, ai "casi di espropriazione disciplinati dagli articoli 96 e 97", non citando l’art. 95, e dall’art. 52 del d.P.R. n. 327 del 2001, che, in riferimento ai pertinenti articoli del Testo unico delle disposizioni in materia di beni culturali vigente all’epoca, dispone che "Nei casi di espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti dagli articoli 92, 93 e 94 del testo unico approvato con il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, si applicano in quanto compatibili le disposizioni del presente testo unico", non venendo anche qui citata la corrispondente disposizione sulla espropriazione dei beni culturali (art. 91).

4.2. In questo quadro la questione centrale della controversia è se il procedimento espropriativo di cui qui si tratta rientri nella previsione dell’art. 95 ovvero, come sostenuto dal ricorrente, in quella di cui all’art. 97.

Il Collegio ritiene corretta la prima ipotesi, sia perché il bene oggetto dell’espropriazione è già qualificato come bene culturale, essendo stata l’area in questione vincolata, in ragione del suo "particolare interesse archeologico", con decreto ministeriale del 6 novembre 1970, sia, in particolare, in considerazione della tipologia degli interventi previsti in concreto, le cui caratteristiche li individuano come volti al perseguimento di "un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni".

Tali interventi consistono infatti, essenzialmente, nella ripresa degli scavi archeologici e stratigrafici, nella recinzione delle aree della zona del così detto Anfiteatro e nella realizzazione del "Centro per l’archeologia a Rudiae e Laboratorio all’aperto per ragazzi", articolato, quest’ultimo, in una parte all’aperto, con aula e laboratorio didattico e lo spazio per l’accesso all’area archeologica, e in una al coperto, con la biglietteria e il "bookshop" (e connessi servizi aggiuntivi), comprendente l’apprestamento di ausili per la migliore conoscenza del sito.

Da ciò emerge che scopo degli interventi non è quello dell’avvio ex novo, ai sensi dell’art. 97, del solo scavo archeologico in area non ancora qualificata come bene culturale, ma quello della ripresa degli scavi in area già individuata come tale nel quadro di un progetto che, per mezzo di opere di messa in sicurezza e riqualificazione, e, in particolare, di servizio per l’accesso all’area e la conoscenza delle sue caratteristiche storiche e culturali, chiaramente funzionalizza la ripresa degli scavi alla finalità di assicurare la fruizione pubblica del compendio.

Questa finalità della fruizione pubblica è propria della funzione di tutela come individuata nello stesso Codice (art. 3, comma 1) e per il cui raggiungimento ben può essere necessario apportare modifiche al bene, non tali però da attingere però la dimensione e la qualità dell’opera pubblica, da cui l’area esce trasformata, poiché limitate a concretare, come è nella specie, le condizioni necessarie per consentire la fruizione del bene culturale; e a ciò è strumentale lo speciale procedimento espropriativo di cui all’art. 95, previsto proprio allo scopo di rendere la fruizione pubblica migliore grazie all’espropriazione del bene stesso.

Da quanto sopra discende anche la correttezza della valutazione del giudice di primo grado sulla superfluità dell’intervento di variante urbanistica (deliberazione del Consiglio comunale n. 63 del 2005), nel cui testo è già peraltro specificato che il procedimento da attivare è quello di cui all’art. 95.

4.3. Non possono essere accolte le ulteriori censure:

a) sul mancato coinvolgimento dei privati, poiché non previsto come criterio prioritario e cogente e, comunque, non risultando alcun elemento di concreta disponibilità degli stessi idonea a surrogare l’intervento tecnicamente e finanziariamente impegnativo contenuto nel progetto;

b) sulla indisponibilità da parte della Soprintendenza e del Ministero di un progetto puntuale degli interventi, risultando dagli atti che, dopo solleciti, il Comune ha inviato "ai fini dell’emanazione del decreto di dichiarazione di pubblica utilità" alla Direzione generale del Ministero, alla Soprintendenza e alla competente Direzione regionale, il progetto, espressamente indicato come definitivo, corredato di tutti gli elaborati, con nota n. 31883 del 12 marzo 2007, e perciò un mese prima dell’adozione del decreto di dichiarazione della pubblica utilità, non essendo stata data alcuna prova che il progetto non sia stato ricevuto;

c) sulla mancata comunicazione alla proprietaria dell’avvio del procedimento di espropriazione, eseguita invece con la nota del competente ufficio comunale n. 23539 del 28 febbraio 2005, né dovendosi provvedere ad altre notifiche secondo la giurisprudenza consolidata per cui esse vanno fatte soltanto ai proprietari catastali (Cons. Stato: Sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3690; Sez. II, n. 1307 del 2007);

d) sulla non pertinenza degli interventi alle finalità del P.R.U.S.S.T., non risultando invero incoerente con lo scopo specifico di tale strumento programmatorio, individuato nello "sviluppo sostenibile del territorio", la riqualificazione di una importante area archeologica al fine della sua migliore fruizione pubblica.

4.4. E’ manifestamente infondata, infine, la questione di legittimità costituzionale prospettata riguardo all’art. 95, comma 2, del Codice, trattandosi di normativa recante un procedimento di cui è prevista la piena titolarità in capo al Ministero, essendo, da un lato, sua facoltà e non obbligo l’autorizzazione all’esproprio da parte degli enti ivi indicati e, dall’altro, restando comunque ad esso l’adozione del provvedimento di dichiarazione della pubblica utilità, che costituisce l’atto fondamentale del procedimento poiché qualificativo dell’interesse alla sua attivazione, ciò che appare in consonanza, per il profilo dell’azione amministrativa, con la riserva della tutela dei beni culturali alla legislazione esclusiva dello Stato disposta nell’art. 117 della Costituzione, cui, come detto, il procedimento in questione si correla direttamente.

5. Per quanto considerato l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.

Le spese del secondo grado seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando

sull’appello in epigrafe, n. 5489 del 2010, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) a favore del Ministero per i beni e le attività culturali e del Ministero delle infrastrutture e in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) a favore del Comune di Lecce.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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