Cons. Stato Sez. VI, Sent., 11-05-2011, n. 2779 Professori universitari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ocato Bruini;
Svolgimento del processo

1. Il prof. A. B., professore ordinario di anatomia patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pavia ha presentato al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia il ricorso, n. 3023 del 2002, avverso il mancato riconoscimento del trattamento economico di Dirigente di secondo livello, prima fascia, e delle funzioni assistenziali, come previste dalla convenzione tra l’Università degli studi di Pavia e l’IRCSS Policlinico San Matteo, e per la condanna in solido dell’Università degli studi di Pavia e dell’IRCSS Policlinico San Matteo al pagamento in suo favore delle somme non percepite a far tempo dal 1992 per mancato riconoscimento delle funzioni assistenziali sino all’11 novembre 1997, nonché, da tale data fino all’emananda sentenza, della differenza tra gli emolumenti percepiti e quelli invece spettanti quale docente con funzioni assistenziali di prima fascia e Dirigente di secondo livello, nella misura indicata nel ricorso.

2. Il TAR, con la sentenza n. 144 del 2006, ha accolto il ricorso ed ha condannato l’Università degli Studi di Pavia al pagamento a favore del ricorrente, entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, di una somma di denaro da determinarsi ai sensi dell’art. 35 del d.lgs. n. 80 del 1998, "secondo i criteri indicati in motivazione", compensando le spese del giudizio fra il ricorrente e il Policlinico San Matteo e condannato l’Università degli Studi di Pavia al pagamento delle spese del giudizio a favore del ricorrente liquidate, nel complesso, in euro 5.000,00.

3. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado con istanza incidentale di sospensione dell’esecutività.

L’istanza cautelare è stata accolta con l’ordinanza 20 giugno 2006, n. 3051.

4. All’udienza del 5 aprile 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Con la sentenza gravata n. 144 del 2006, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia – Milano – sezione prima, ha accolto il ricorso n. 3023 del 2002 del Prof. A. B., ordinario di anatomia patologica nella facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Pavia, avverso il mancato riconoscimento del trattamento economico di dirigente di secondo livello, prima fascia e delle funzioni assistenziali previste dalla convenzione tra l’Università e l’IRCSS Policlinico San Matteo.

2. Nella sentenza si rileva che sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, essendo infondata la relativa eccezione sollevata dal Policlinico San Matteo sul presupposto della inerenza della controversia non al rapporto di impiego del ricorrente con l’Università ma alle sue funzioni assistenziali.

Ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"), infatti, la devoluzione al giudice ordinario delle controversie sul rapporto di lavoro dei docenti universitari è subordinata all’emanazione di una disciplina specifica e organica del detto rapporto e tale esigenza di organicità comporta che la giurisdizione non possa essere nel frattempo frazionata per i diversi profili del rapporto, di cui l’attività assistenziale è componente tipica e costitutiva insieme con quelle della didattica e della ricerca.

Il TAR ha anche respinto l’eccezione di tardività del ricorso, dedotta poiché questo è stato proposto oltre il termine decadenziale del 15 settembre 2000 disposto dall’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, riguardando tale termine le controversie sui rapporti di lavoro non privatizzati.

Il TAR ha respinto l’ulteriore eccezione di tardività, dedotta per la mancata impugnazione nel termine decadenziale della delibera Commissariale, n. 2/758/98 del 28 aprile 1998, recante il convenzionamento del ricorrente in posizione dirigenziale di primo livello e non di secondo, poiché, in disparte dal carattere recettizio del provvedimento, mai comunicato al ricorrente, si tratterebbe comunque di atto amministrativo paritetico, poiché relativo ad un diritto soggettivo ad un particolare emolumento, dovuto per legge in forza della equiparazione dei livelli universitari ai ruoli sanitari, con la conseguente applicazione del termine di prescrizione per l’impugnazione.

Il TAR ha accolto il ricorso, poiché:

a) per sette anni (dal 1° novembre 1990, data del conferimento al ricorrente della cattedra di anatomia patologica, al 1° dicembre 1997, data di decorrenza degli effetti economici e giuridici del conferimento delle funzioni assistenziali di dirigente di primo livello) l’Università avrebbe colpevolmente omesso il convenzionamento presso cliniche o istituti universitari di ricovero e cura, nonostante le numerose istanze del ricorrente, non consentendogli di esercitare la funzione assistenziale e perciò privandolo sia del relativo diritto, in quanto attività prevista per legge come costitutiva dello status di professore universitario di medicina sia, con ciò, della fruizione dell’indennità di equiparazione (così detta "De Maria");

b) ne conseguirebbe la spettanza al ricorrente di tale indennità a titolo risarcitorio, e non di corrispettività, stante l’impossibilità materiale di rendere la relativa prestazione assistenziale, la cui cognizione rientra ratione temporis nella giurisdizione del giudice amministrativo quale domanda afferente alla materia dei diritti patrimoniali consequenziali, ai sensi del citato art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001;

c) quanto al periodo successivo, la delibera commissariale del 28 aprile 1998, nel conferire al ricorrente le funzioni assistenziali, illegittimamente gli avrebbe assegnato la posizione dirigenziale di primo livello, avendo egli diritto a quella di secondo livello ai sensi dell’art. 102, commi 2 e 4, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 ("Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica"), corrispondente alla sua qualifica di professore ordinario;

d) l’Università dovrebbe risarcire al ricorrente i danni derivanti dal mancato convenzionamento, avendo rilevato il ricorrente le conseguenze economiche del mancato inquadramento ed essendo l’amministrazione universitaria obbligata per legge all’erogazione del trattamento economico corrispondente a quello del personale delle unità sanitarie locali, indipendentemente dai contenuti della convenzione intercorsa tra essa e il Policlinico San Matteo, del quale deve essere perciò dichiarato il difetto di legittimazione passiva e quindi l’estromissione dal giudizio.

Il TAR ha quindi dichiarato il diritto del ricorrente a vedersi corrispondere dall’Università di Pavia il risarcimento dei danni conseguenti al mancato convenzionamento, per il periodo dal 1° novembre 1990 al 1° dicembre 1997, e, per il periodo successivo, il trattamento economico complessivo corrispondente alla posizione di dirigente medico di secondo livello a fronte dell’attività assistenziale prestata presso il Policlinico San Matteo, con la condanna dell’Università a tale fine.

3. Nell’appello si eccepisce anzitutto la nullità della notifica del ricorso introduttivo, poiché non effettuata presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato, cui invece spetterebbe ope legis il patrocinio legale delle Università statali; si eccepisce anche la prescrizione delle pretese patrimoniali del ricorrente, per lo meno fino al luglio 1996, poiché la sua prima richiesta di risarcimento per il periodo non convenzionato è del 25 luglio 2001, non avendo fino ad allora avanzato richieste di corresponsione del trattamento economico ma soltanto di attribuzione delle funzioni assistenziali (lettera del 25 luglio 2000).

Nel merito, l’Università appellante ha dedotto:

a) in via di fatto: a.1) nel periodo dal 1° novembre 1990 al 1° dicembre 1997 l’Università non è stata inerte, avendo avviato nel 1993 la procedura per il convenzionamento con la U.S.S.L. n. 70 di Legnano, che ha poi comunicato di non poter concludere il procedimento per esigenze di operatività del servizio, non avendo l’appellato espresso voto contrario nelle sedute del Consiglio di Facoltà del 23 settembre 1993 e del 22 febbraio 1996 in cui fu deliberata l’attribuzione di funzioni assistenziali per docenti dell’Università; a.2.) le difficoltà di convenzionamento con il Policlinico San Matteo sono state di carattere generale essendosi potuto addivenire soltanto il 3 novembre 1997 alla sottoscrizione di un protocollo di intesa satisfattivo delle esigenze, a seguire quello del 1972 la cui gestione non aveva consentito convenzionamenti ulteriori per carenza di organico;

b) per il profilo giuridico: b.1) la delibera commissariale n. 2/758/98 del 28 aprile 1998 non può essere qualificata atto paritetico, poiché l’inserimento nella struttura ospedaliera implica l’adozione di un provvedimento amministrativo di esclusiva competenza dell’ente ospedaliero attinente alla organizzazione e gestione dell’attività assistenziale; b.2) l’interessato aveva comunque avuto piena conoscenza del contenuto lesivo della detta delibera poiché, pur non essendogli stata formalmente comunicata, il suo contenuto gli è stato reso noto con nota rettorale n. 16735 del 15 giugno 2008, non avendo egli impugnato né la delibera né la citata nota del Rettore; b.3) il Policlinico San Matteo è legittimato passivo nel presente giudizio, essendo l’ente che ha adottato la delibera lesiva della posizione del ricorrente poiché non individuata in corrispondenza alla sua qualifica universitaria, avendo l’interessato a partire dal 1° dicembre 1997 contestato non soltanto le conseguenze economiche da ciò derivanti, come ritenuto dal primo giudice, ma più volte richiesto l’adeguamento della sua qualifica nella struttura assistenziale, e dunque con ciò contestando la citata delibera commissariale dal momento che non spetta all’Università attribuire posizioni assistenziali convenzionate; b.4) la sentenza ha errato perciò nel condannare l’Università a corrispondere all’interessato dal 1° dicembre 1997 il trattamento economico differenziale di II livello sia in quanto superiore alla prestazione svolta, di I livello, sia perché si tratta di situazione imputabile al Policlinico.

4. Passando all’esame dell’appello si prescinde dalle eccezioni con esso sollevate, di cui al precedente punto 3, risultando esso fondato nel merito sulla base dell’esame che segue.

4.1. Il Collegio ritiene infatti che debba essere verificato il presupposto su cui si fonda la pretesa del ricorrente in primo grado, indicato nella sussistenza del suo diritto a svolgere funzioni assistenziali in quanto docente universitario di medicina e a svolgerle in posizione apicale in quanto professore ordinario, ciò che comporterebbe la conseguenza della incondizionata necessità di apprestare la relativa struttura.

Per svolgere tale verifica è necessario richiamare un insieme di principi e norme che risulta caratterizzato da complessità poiché, da un lato, si rinviene nella legislazione l’affermazione della inscindibilità, o compenetrazione, delle funzioni della didattica, di ricerca e assistenziale per l’esercizio della docenza medica, come peraltro statuito dalla Corte Costituzionale (per tutte: sentenza n. 71 del 2001), e, dall’altro, dalla stessa legislazione emerge che la strutturazione in ambito ospedaliero del docente universitario non è automatica dovendo essere definita nel contesto di rapporti convenzionali tra le Università e, essenzialmente, le Regioni, perché sia armonizzata con le esigenze del Servizio sanitario nazionale. Più specificamente, a fronte dell’art. 1, comma 2, della legge 4 novembre 2005, n. 230, per cui "I professori universitari hanno il diritto e il dovere di svolgere attività di ricerca e di didattica… i professori di materie cliniche esercitano altresì, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, e ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, funzioni assistenziali inscindibili da quelle di insegnamento e ricerca…", ed alla previsione delle equiparazioni disposte con i commi 2 e 4 dell’art. 102 del d.PR. n. 382 del 1980, deve essere specificamente considerata l’evoluzione della normativa regolante il rapporto tra le Università ed il Servizio sanitario nazionale da cui scaturisce un quadro, come detto, più complesso e articolato.

4.2. Tale evoluzione normativa si avvia con l’art. 39 della legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, che ha introdotto lo strumento delle convenzioni fra le Regioni e le Università, espressamente indicate come facenti parte dei piani sanitari regionali, per disciplinare "l’utilizzazione da parte delle facoltà di medicina, per esigenze di ricerca e di insegnamento, di idonee strutture delle unità sanitarie locali e l’apporto di queste ultime ai compiti didattici e di ricerca dell’università"e quindi individuare "le strutture delle unità sanitarie locali da utilizzare ai fini didattici e di ricerca, in quanto rispondano ai requisiti di idoneità fissati con decreto interministeriale adottato di concerto tra i Ministri della pubblica istruzione e della sanità", prevedendo altresì che "le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura che sono attualmente gestiti direttamente dall’università, fermo restando il loro autonomo ordinamento, rientrino, per quanto concerne l’attività di assistenza sanitaria, nei piani sanitari nazionali e regionali".

Il sistema delle convenzioni è poi richiamato nei commi 1 e 3 dell’art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980 precisando che il personale docente universitario che svolge attività assistenziale opera presso cliniche e istituti ospedalieri di ricovero e cura convenzionati e che con la convenzione è anche stabilito il limite finanziario per la corresponsione della già citata indennità perequativa, "De Maria", di cui al d.P.R. n. 761 del 1979.

La previsione di rapporti convenzionali si traduce poi, con il d.lgs. 21 dicembre 1999, n. 517 (recante disciplina dei rapporti fra il Servizio Sanitario nazionale e le università), in quella della stipulazione di protocolli di intesa fra la Regione e le Università del territorio, con i quali, al fine della migliore offerta, insieme, del servizio sanitario e della formazione universitaria, "L’attività assistenziale necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali delle università è determinata nel quadro della programmazione nazionale e regionale in modo da assicurarne la funzionalità e la coerenza con le esigenze della didattica e della ricerca", si indicano i parametri per la individuazione delle attività e delle strutture assistenziali complesse definendo "il volume ottimale di attività ed il numero massimo dei posti letto e di strutture assistenziali anche in rapporto al numero degli studenti…." (art. 1, commi 1 e 2), si prevede che "I professori e i ricercatori universitari, che svolgono attività assistenziale presso le aziende e le strutture di cui all’articolo 2 sono individuate con apposito atto del direttore generale dell’azienda di riferimento d’intesa con il rettore, in conformità ai criteri stabiliti nel protocollo d’intesa tra la regione e l’università relativi anche al collegamento della programmazione della facoltà di medicina e chirurgia con la programmazione aziendale" (art. 5, comma 1).

Intervengono, infine, le "Linee guida" per la stipulazione dei protocolli (D.P.C.M. 24 maggio 2001), in cui è precisato che le aziende ospedaliero – universitarie, nonché le altre strutture pubbliche e private assicurano lo svolgimento dell’attività assistenziale di cui si tratta "prevedendo, nella propria organizzazione, attività, strutture semplici, strutture complesse e programmi…" (art. 2, comma 2).

4.3. La normativa richiamata stabilisce dunque che all’esigenza dello svolgimento dell’attività assistenziale da parte dei docenti universitari, funzionale alla didattica e alla ricerca, si provvede tramite accordi idonei ad armonizzarla con gli obbiettivi dell’offerta del servizio sanitario e con i criteri di efficienza cui devono conformarsi le relative strutture. Ne deriva che il concreto esercizio dell’attività assistenziale dei docenti universitari è correlato, ai sensi dell’accordo fra ente ospedaliero e università, all’apprestamento delle pertinenti strutture e dei corrispondenti posti di organico, con la conseguenza che, di certo per gli apparati (anche in parte) non integralmente rientranti nell’ambito delle università, la nomina del docente universitario non può determinare, di per sé unilateralmente, l’effetto della costituzione di tali strutture se non sono state concordemente verificate la loro necessità rispetto agli obiettivi programmati del servizio sanitario e la loro efficienza sul piano organizzativo.

4.4. Questa ricostruzione trova riscontro nell’art. 5, comma 4, del d.lgs. n. 517 del 1999 (la cui applicazione è salvaguardata espressamente dall’art. 1, comma 2, della legge n. 230 del 2005, sopra citato) in cui si prevede il caso che non sia possibile "conferire un incarico di direzione di struttura semplice o complessa" ai professori di prima fascia, con l’attribuzione, in tale ipotesi, della responsabilità di gestione di programmi di integrazione delle attività assistenziali, didattiche e di ricerca, ovvero di coordinamento delle attività di revisione e valutazione della pratica clinica ed assistenziale (al riguardo cfr. anche l’art.15ter, comma 4, del d.lgs. n. 502 del 1992).

Essa è stata anche elaborata in giurisprudenza per il connesso profilo della pretesa alla equiparazione del trattamento economico del docente universitario che svolge attività assistenziale a quello del personale medico ospedaliero con l’attribuzione della prevista indennità, essendo stato precisato che l’equiparazione richiede che sia stato adottato previamente il così detto "atto di strutturazione" per l’inserimento del personale nell’organico convenzionato. Si è affermato infatti che, "in assenza di specifica convenzione, non spetti la pretesa indennità, non essendo sufficiente per ottenere detto emolumento il solo espletamento di fatto dell’attività presso strutture ospedaliere. Infatti…la fonte di legittimazione primaria dell’equiparazione economica in favore dei docenti interessati ai medici ospedalieri, attraverso l’attribuzione dell’indennità in parola, sta tutta nell’atto di convenzione, ossia nel consenso non solo dell’Università, ma anche dell’Istituto ospedaliero interessato; e ciò alla stregua degli artt. 4 L n. 213/1971, 31 D.P.R. n. 761/1979 e 102 D.P.R. n. 102/1980, che consentono al personale universitario che presta servizio assistenziale il beneficio di un’indennità volta ad equiparare il trattamento economico a quello del personale ospedaliero di pari funzioni.", per cui "solo la concordata autorizzazione allo svolgimento, da parte di ciascun docente universitario, di attività di assistenza e cura presso strutture ospedaliere mediante apposita convenzione può consentire il pagamento dell’indennità di cui trattasi." (Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2010, n. 4866; cfr. anche Sez. VI: 25 giugno 2008, n. 3220; 3 novembre 1998, n. 1506). Così come si è affermato che nel quadro del rapporto che coinvolga un’azienda ospedaliera le connesse esigenze organizzative "assumono una loro peculiarità, tanto da poter determinare un affievolimento dell’intima compenetrazione con quelle didattiche" (Cons. Stato, Sez. VI, 15 febbraio 2006, n. 612).

4.5. La pretesa allo svolgimento dell’attività assistenziale in posizione strutturata, con le connesse corrispondenze funzionali di cui al comma 4 dell’art. 102 del d.P.R. n. 382 del 1980 e correlata indennità, è perciò di certo tutelabile in capo al docente universitario medico, ma non può dirsi che essa si fondi su una posizione di incondizionato diritto, non potendo l’ente ospedaliero adempiere obbligatoriamente se vi sia l’impedimento obbiettivo della non disponibilità della struttura o del correlato posto di organico.

La posizione suddetta si individua di conseguenza come tutelabile a titolo di interesse legittimo, poiché corrispondente all’esercizio di un potere che, pur se attribuito anche al fine di assicurare al meglio l’interesse pubblico specifico alla integrazione della funzione assistenziale nell’esercizio della docenza medica, si esprime attraverso un atto organizzativo e non di gestione del personale, anche se con effetto riflesso sulla posizione soggettiva degli interessati.

Tale atto di organizzazione, invero, è indefettibile, poiché per la concreta istituzione delle strutture e del correlato posto in organico è necessario ponderare più fattori, quali la disponibilità delle necessarie risorse umane e materiali, la coerenza con gli obbiettivi di programmazione generale e settoriale del servizio sanitario nel territorio, la compatibilità con le risorse finanziarie date, la dimensione ottimale di efficienza (cfr., esemplificativamente, art. 1, comma 2, lett. e), del d.lgs,. n. 517 del 1999; art. 3, comma 7, del D.P.C.M. del 24 maggio 2001 citati).

In questo quadro l’Amministrazione dovrà, naturalmente, motivare e dimostrare la effettiva insussistenza di modalità idonee a soddisfare in concreto la pretesa avanzata dal docente universitario (cfr. Cons.Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2009, n. 7739).

4.6. Quanto al caso di specie ciò comporta che:

a) per il periodo 19901997, come precisato nell’atto di appello, nell’ambito della convenzione stipulata nel 1972 fra l’Università di Pavia e il Policlinico San Matteo (unico ente ospedaliero costituente in quel periodo il polo didattico dell’Ateneo), non era stato possibile individuare il posto in organico atto a strutturare la posizione dell’appellato poiché mancante, non essendo ciò specificamente contestato dall’appellato stesso, né risultando che egli abbia proposto nel detto periodo e sotto tale profilo azioni a tutela della propria pretesa, con la contestazione di tale dato a fronte delle istanze che, nelle memorie di parte, si indica essere state reiterate (non essendovi in atti documentazione specifica per tale periodo ma per quello successivo, a partire dalla nota inviata al Rettore l’11 luglio del 1996);

b) per il periodo successivo (che inizia con la stipulazione in data 3 novembre 1997 del protocollo di intesa tra l’Università e il Policlinico San Matteo), poiché la pretesa dell’appellato alla posizione dirigenziale di secondo livello non può essere ricostruita in termini di diritto ma di interesse legittimo, in quanto condizionata alla disponibilità della corrispondente posizione in organico, nella specie altresì indicata come non sussistente a motivazione della delibera commissariale n. 2/758/98 del 28 aprile 1998 (cfr. nota del Rettore n. 16735 del 15 giugno 1998), questa delibera non si qualifica quale atto amministrativo paritetico, sicché essa avrebbe dovuto essere impugnata nel termine di decadenza, risultando pienamente conosciuta dall’appellato per essergli stata resa nota con la comunicazione del Rettore sopra citata, cui l’interessato ha risposto il 16 giugno successivo citando espressamente il contenuto della delibera stessa.

5. Per quanto considerato l’appello è fondato e deve essere perciò accolto.

In riforma della sentenza impugnata, va dunque respinto il ricorso di primo grado.

La particolare articolazione delle questioni dedotte in controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, n. 4747 del 2006, lo accoglie e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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