Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 10-05-2011, n. 18298 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

P.G. Dott. CEDRANGOLO Oscar che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza,in data 30.7.2010, del Tribunale del Riesame di Milano, confermativa dell’ordinanza 5.7.2009 con cui il GIP presso il Tribunale di Milano aveva applicato al N. la misura cautelare della custodia in carcere in quanto indagato per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3 e 4, per aver fatto parte dell’associazione mafiosa ‘ndrangheta (al fine di acquisire la gestione e/o il controllo di attività economiche, in particolare nel settore edilizio, movimento terra ristorazione), nonchè per i reati di usura, estorsione e esercizio abusivo dell’attività di finanziamento ( art. 110 c.p., L. n. 4976 del 1994, art. 10, 12 e 14, art. 61 c.p., n. 2 e D.L. 152 del 1991; artt. 110 e 629 in riferimento all’art. 628 c.p. / D.L. n. 152 del 1991, artt. 81 e 644 c.p., D.L. n. 152 del 1991; D.Lgs. n. 385 del 1932, art. 132.

Il ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato deducendo:

1) erronea applicazione dell’art. 274 c.p.p. in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 416 bis c.p., posto che dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali emergeva la completa estraneità del N. ai fatti contestati; in particolare, il Tribunale del riesame, interpretando erroneamente dette telefonate, aveva ritenuto che N.V. fosse stato "vicario" del padre fino alla morte di quest’ultimo e si sarebbe diviso con altri affiliati i lavori di movimento terra, ponendo in essere gravi atti intimidatori, anche con l’uso di armi, in danno delle vittime di usura;

2) erronea applicazione dell’art. 274 c.p.p. in ordine ai reati di cui agli artt. 644 e 629 c.p. aggravati dalla L. n. 157 del 1991, art. 7, commessi in danno di L.F., in assenza di elementi di riscontro (cambiali o versamenti in contanti sui conti correnti dal N.) alle dichiarazioni del tutto generiche rese dallo stesso e che avevano costituito l’unica fonte indiziaria, posta a fondamento dell’ordinanza in esame; difettava, peraltro, la prova dell’aggravante ex art. 7 L. cit., in relazione alla finalizzazione dell’azione all’agevolazione della consorteria mafiosa e non solo di un singolo partecipe del gruppo criminale;

difettavano, inoltre, le esigenze cautelari, non sussistendo alcun pericolo di fuga, di reiterazione dei reati o di inquinamento probatorio.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Le censure svolte implicano una valutazione alternativa degli elementi indiziari e degli accertamenti in fatto su cui è fondata l’ordinanza impugnata, a fronte di una congrua e logica motivazione del provvedimento stesso che ha dato conto, sulla base, essenzialmente, delle conversazioni intercettate, della partecipazione del ricorrente all’associazione criminosa contestata, aggravata L. n. 159 del 1991, ex art. 7, facendo "da tramite tra il padre e gli altri affiliati".

Il Tribunale del Riesame ha, peraltro, motivato adeguatamente la credibilità della parte offesa, L.F., specificando la conversazione di riscontro ed, in particolare, quella intercorsa tra l’indagato e la moglie G.M., superando, inoltre l’assunto, difensivo con argomentazioni esenti dal vizio di manifesta illogicità. Le esigenze cautelari sono state, poi, correttamente rapportate alla presunzione di cui all’art. 275 c.p., comma 3; la censura sul punto è, comunque, del tutto generica e, come tale, inammissibile.

Il ricorso deve, pertanto, dichiararsi inammissibile, posto che in materia di misure cautelari personali, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato conto adeguatamente delle sussistenza della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari, senza che sia possibile procedere a nuova o diversa valutazione sul punto (Cass. n. 3240/2004).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *