T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 11-05-2011, n. 301 Atti amministrativi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 27 luglio 2007 e depositato il 24 settembre successivo i sig.ri S.C. e L.F. hanno impugnato l’ingiunzione di demolizione prot. 33139 del 03 luglio 2007 relativa al fabbricato sito in Potenza alla via S. Vito n. 103, nonché la nota prot. 25334 del 24 maggio 2007 con la quale è stata dichiarata inefficace la denuncia di inizio attività, presentata in data 07 maggio 2007 e relativa al medesimo fabbricato, e tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.

Gli interessati, rispettivamente proprietaria e committente dei lavori, premettono

– che il sig. L. ha eseguito lavori, nel fabbricato di proprietà della sig.ra S., di demolizione e di ricostruzione di un preesistente solaio;

– che a seguito di ingiunzione di demolizione del 30 marzo 2005 è stata presentata denuncia, ex art. 22 DPR 380/2001, in sanatoria con contestuale denuncia di inizio attività. depositata in data 22 giugno 2005, con allegata progettazione;

– che è stato successivamente depositato il progetto strutturale per il consolidamento statico della struttura;

– che a distanza di due anni (1° febbraio 2007) il Comune di Potenza ha richiesto il titolo di proprietà, ritenendolo necessario per la presentazione della DIA;

– che in data 09 febbraio 2007 il sig. L. ha riscontrato la predetta nota;

– che con nota del 24 maggio 2007 la DIA del 22 giugno 2005 veniva dichiarata inefficace e con successivo provvedimento del 03 luglio 2007 veniva ordinata la demolizione delle opere oggetto di denuncia.

Avverso i predetti atti sono insorti gli interessati sig.ra S. e L. che hanno affidato il ricorso ai seguenti motivi.

1) violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90;

2) violazione dell’art. 23 del DPR n. 380/2001;

3) violazione degli artt. 27, 33 e 36 del DPR n. 380/2001.

Si è costituito in giudizio il Comune di Potenza che ha depositato documentazione e prodotto memoria difensiva per contrastare il ricorso.

Con ordinanza n. 240/2008 è stata respinta la domanda cautelare di sospensiva.

Con successivo atto notificato il 09 giugno 2008 e depositato il 05 luglio 2008 gli stessi ricorrenti hanno poi impugnato il diniego del permesso di costruire in sanatoria del 09 aprile 2008, notificato solo al sig. L., con il quale è stato negato il permesso di costruire di parte del fabbricato sito in Potenza alla via S. Vito 103, nonché il diniego del permesso di costruire n. 117/07 del 22 febbraio 2008 e tutti gli atti comunque connessi, presupposti e conseguenti.

Gli interessati hanno ribadito quanto già rappresentato nell’esposizione in fatto contenuta nel primo ricorso in esame ed hanno poi soggiunto:

– di aver presentato in data 18 luglio 2007 domanda di permesso di costruire in sanatoria n. 117/07, ai sensi dell’art. 36 della L. 380/01;

– che in data 22 febbraio 2008 veniva comunicato che il responsabile del procedimento aveva formulato motivata proposta di diniego a costruire, specificandone il contenuto ed invitando gli interessati a presentare le proprie osservazioni supportate da documentazione idonea a superare i motivi di diniego;

– che gli interessati provvedevano in data 06 marzo 2008 a depositare le richieste osservazioni, significando che le difformità erano state sanate;

– che, infine, con il provvedimento di diniego impugnato le contestazioni venivano ridotte alla mancata dimostrazione della esclusiva proprietà del sottotetto e al mancato rispetto dell’accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del DPR n. 380/01 per l’asserito mancato rispetto nel progetto di completamento dell’art. 4 comma a), della legge regionale n. 8/2002 e degli artt. 77 e 106 del vigente regolamento edilizio.

Ciò premesso gli interessati hanno gravato anche il provvedimento di diniego innanzi citato affidando la nuova impugnativa alle censure di eccesso di potere, violazione di legge e carenza di motivazione.

Si è costituito anche in tale giudizio il Comune di Potenza che ha contrastato il ricorso chiedendone il rigetto.

Con ordinanza n. 243 del 23 luglio 2008 è stata respinta la domanda cautelare di sospensiva.

Con memorie successivamente depositate le parti hanno ulteriormente sviluppato le rispettive tesi difensive.

Alla pubblica udienza del 07 aprile 2011 i ricorsi sono stati chiamati ed introitati per essere decisi.
Motivi della decisione

Il Collegio, in via preliminare, dispone la riunione dei giudizi in esame, stante la loro evidente connessione oggettiva e soggettiva.

Il primo ricorso in esame, rivolto avverso la diffida del 24 maggio 2007 a non iniziare i lavori di cui alla comunicazione del 07 maggio 2007 e dichiarazione di inefficacia della DIA in sanatoria del 22 giugno 2005, con la consequenziale ingiunzione di demolizione del 03 luglio 2007, è infondato e deve essere pertanto respinto.

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano che non è mai stato comunicato, a loro ed ai loro danti causa, l’avvio del procedimento, obbligatorio in caso di provvedimento sanzionatorio ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241/90.

La censura è destituita di fondamento in punto di fatto.

Ed, invero, dalla documentazione versata in atti dall’Amministrazione comunale risulta che in data 06 novembre 2004 è stato comunicato ad uno dei ricorrenti, e cioè al sig. L., l’avvio del procedimento diretto alla verifica della conformità urbanistico- edilizia delle opere realizzate nel fabbricato di via S. Vito 103 e che entrambi i ricorrenti sono intervenuti nel procedimento fornendo altresì elementi atti a comprovare il trasferimento della proprietà dal sig. L. alla moglie sig. ra S. e che comunque entrambi hanno poi presentato richiesta di permesso di costruire in sanatoria sempre per i lavori di ristrutturazione edilizia di cui ai provvedimenti impugnati.

E ciò anche a non voler considerare che per poter censurare l’omessa comunicazione di avvio del procedimento amministrativo il soggetto che ritenga di non essere stato avvisato personalmente deve comunque provare che, ove avesse potuto tempestivamente partecipare al procedimento, avrebbe presentato osservazioni ed opposizioni connotate dalla ragionevole possibilità di avere una incidenza causale nel provvedimento impugnato.

Del che non è dato rinvenire alcuna traccia nella vicenda che ci occupa.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono che l’Amministrazione Comunale, a fronte della presentazione della DIA non avrebbe sollevato nei trenta giorni successivi alcuna contestazione in ordine alla presenza dei requisiti per l’inizio dei lavori e che ciò equivale a riconoscere alla DIA stessa gli effetti tipici corrispondenti a quelli propri del permesso di costruire, e che comunque decorso il termine suddetto, l’Amministrazione può esercitare potere di controllo sulle attività edilizie di trasformazione solo quando le opere in corso o realizzate non corrispondono a quelle oggetto della DIA, oppure che le opere non sono realizzabili con DIA, mentre nella specie l’annullamento della DIA sarebbe avvenuto sul mero presupposto della mancata prova della proprietà dell’immobile oggetto dei lavori.

Anche tale doglianza è priva di pregio e non merita di essere condivisa.

Va in proposito osservato che la denuncia di inizio attività edilizia- che non è una domanda ma una informativa cui è subordinato l’esercizio di un diritto- costituisce species (la cui disciplina prevale su quella generale) di un particolare tipo di procedimento semplificato e accelerato, introdotto in via generale dall’art. 19 della Legge 241 del 1990, che consente al privato l’esercizio di una certa attività comunque rilevante per l’ordinamento, già subordinato a qualsivoglia forma di autorizzazione, a prescindere dalla emanazione di un espresso provvedimento amministrativo, comunque assimilabile ad una istanza autorizzatoria, che con il decorso del termine di legge provoca la formazione di un titolo che rende lecito l’esercizio dell’attività, e cioè di un provvedimento tacito di accoglimento di una siffatta istanza.

Il potere inibitorio, previsto dall’art. 23, comma 6, T.U. 6 giugno 2001 n. 380 è esercitabile entro il termine perentorio di trenta giorni, potendo successivamente essere emanati soltanto provvedimenti d’autotutela e sanzionatori, in quanto alla scadenza del detto termine matura l’autorizzazione implicita ad eseguire i lavori progettati ed indicati nella denuncia di inizio attività, restando fermo al contempo il potere dell’Amministrazione comunque di provvedere non più con provvedimento inibitorio ma con un provvedimento di tipo ripristinatorio o pecuniario, in base alla normativa che disciplina la repressione degli abusi edilizi.

Va da sé, quindi, per quanto innanzi chiarito, che condizione necessaria perché sia validamente presentata una DIA è che i lavori oggetto della stessa non siano stati già interamente o in parte realizzati essendo la denuncia finalizzata esclusivamente alla predisposizione di uno strumento più agile ed efficace di determinati interventi edilizi.

La norma in materia prevede infatti che la denuncia debba essere presentata almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, termine entro il quale l’Amministrazione competente può esercitare il controllo sulla sussistenza delle condizioni legittimanti l’attività e conseguentemente inibire l’attività stessa in caso di mancanza delle condizioni necessarie.

In altri termini non è ipotizzabile una denuncia di inizio di attività per opere già realizzate non potendosi utilizzare tale procedimento quale strumento per ottenere un titolo abilitativo in sanatoria.

Nella specie, invece, risulta in modo incontrastato che il sig. L. ha presentato la denuncia di inizio attività in data 22 giugno 2005 relativamente ad opere di ristrutturazione edilizia di un sottotetto già interamente realizzate e quindi senza che all’Amministrazione fosse consentito di esercitare tempestivamente il già citato potere di inibizione.

Inappropriato era da considerarsi, quindi, lo strumento della DIA, nel mentre poteva invece utilizzarsi il diverso istituto dell’accertamento di conformità ex art. 36, comma 1, del DPR 380/01.

Inammissibile, per carenza di interesse, poi, è la censura con cui viene dedotta la illegittimità della ingiunzione di demolizione atteso che è stata presentata domanda di permesso di costruire in sanatoria.

Sul punto è sufficiente osservare che alla data di notificazione del ricorso (27.07.2007) l’ordine di demolizione datato 05 luglio 2007 aveva già perso la sua efficacia per effetto della presentazione, da parte dei ricorrenti, della domanda di permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 del DPR n. 380/2001, avvenuto in data 18 luglio 2007 e quindi in presenza di un obbligo per l’Amministrazione di adottare comunque un nuovo provvedimento all’esito dell’esame dell’istanza di sanatoria.

I rilievi, infine, contenuti nell’ultimo motivo e fatti valere in via subordinata risultano inesplicati e generici e pertanto devono ritenersi inammissibili.

Non appare, infatti, censurabile, né in proposito vengono dedotte apposite violazioni, il comportamento dell’Amministrazione che in occasione della presentazione di una DIA provveda all’esame della situazione rappresentata e magari individui la assoggettabilità delle opere,oggetto di intervento, al rilascio di un permesso di costruire, ovvero riscontri in tale occasione difformità delle opere realizzate rispetto ad altri provvedimenti abilitativi, rilasciati in epoca anteriore, non potendosi ritenere sottoposto a particolari limiti, anche temporali, il potere di controllo che l’Amministrazione comunale è tenuta ad esercitare sull’attività edilizia che si svolge sul territorio di appartenenza.

Con il secondo ricorso in esame i sig.ri S. e L. hanno di poi impugnato il provvedimento del 09 aprile 2008 di diniego del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36 del DPR 380/01, relativo alla ristrutturazione di parte del fabbricato sito in via S. Vito 103, nonché la comunicazione del 22 febbraio 2008 fatta ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/90.

Anche tale secondo mezzo di impugnativa, ad avviso del Collegio, risulta infondato e deve essere pertanto respinto per le ragioni che di seguito si espongono.

Chiaramente priva di fondamento è la censura contenuta nel primo motivo di difetto di motivazione.

Il provvedimento di diniego, invero, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, è stato adottato a seguito di un analitico e puntuale accertamento della situazione di fatto e contiene nella sua articolata esposizione le numerose ragioni che hanno indotto l’Amministrazione ad adottare il provvedimento reiettivo.

Ragioni che, peraltro, sottoposte alle controdeduzioni degli interessati, a seguito della comunicazione fatta ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/90, hanno anche formato oggetto di rivisitazione da parte dell’Amministrazione che, in accoglimento di chiarimenti offerti dai ricorrenti, ne ha ridotto il numero e la portata concentrando le stesse solo in alcuni rilievi, ritenuti comunque sufficienti a giustificare il provvedimento di rigetto dell’istanza di permesso in sanatoria.

Parimenti infondata risulta la censura introdotta con il secondo motivo secondo cui il permesso di costruire è stato inopinatamente negato per la mancata dimostrazione esclusiva della proprietà del sottotetto.

Ed, invero, a parte la considerazione che il provvedimento del rigetto fonda le sue ragioni in almeno altri due concorrenti e decisivi elementi che saranno di seguito nominati, occorre far presente che dalla documentazione versata in atti non è dato rinvenire con plausibile certezza che la proprietà dell’immobile oggetto dell’intervento (locale sottotetto insistente su fabbricato comune) fosse di esclusiva proprietà dei ricorrenti.

Sia, infatti, dalla nota di trascrizione dell’atto di divisione ereditario del 24.03.1979 che, da ultimo, dalla rettifica dell’atto di compravendita del 14.02.2008 emerge che nella divisione bonaria degli immobili ereditati, tra cui il fabbricato oggetto del provvedimento, si assegnava il piano terra al sig. T.G. ed il piano primo al sig. T.R. (dante causa originario dei ricorrenti) e che tra i patti e le condizione si stabiliva che il suolo circostante il fabbricato in località Chianchetta, assegnato per il piano terra a T.G. e per il piano primo al condividente Rocco, rimaneva di uso comune ai rispettivi proprietari… e che " tra gli stessi condividenti Gerardo e Rocco restava di proprietà comune l’area edificabile posta alla sommità della rispettiva unità".

Orbene dalla formulazione dell’espressione da ultimo riportata, risulta in modo chiaro ed in equivoco che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, l’area, complessivamente considerata, insistente sull’intero fabbricato è stata considerata " comune" ad entrambi i proprietari dell’immobile, con la conseguenza che ogni intervento da effettuarsi su tale parte non può che essere condizionato al consenso di tutti i soggetti proprietari della stessa.

Né a tanto osta la circostanza che originariamente il sottotetto, oggetto dell’intervento, era una intercapedine (vuoto di sottotetto) sovrastante unicamente l’appartamento di proprietà della ricorrente, in quanto che per area edificabile, di proprietà comune, non poteva che intendersi tutta la superficie sovrastante il fabbricato, ivi compresa, quindi, quella interessata dalla intercapedine citata..

Privi di pregio e quindi non meritevoli di condivisione sono poi i rilievi contenuti nel terzo motivo.

La censura, invero, contiene semplicemente la enunciazione delle violazioni che, a seguito delle controdeduzioni di parte ricorrente, l’Amministrazione ha posto a fondamento dell’atto di rigetto, senza però offrire argomenti idonei a superare la contestata violazione dell’art. 36 del DPR 380/01.

Ed invero, ai sensi della normativa ora citata, fondamentale per l’accoglimento della richiesta di permesso in sanatoria è la necessaria valutazione in ordine alla conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda (c.d. doppia conformità). Mentre è acclarato che nella ristrutturazione di che trattasi non sussistevano i requisiti richiesti dalla richiamata disciplina, tanto che gli stessi ricorrenti, proprio al fine di rendere l’opera eseguita conforme alla disciplina urbanistico – edilizia esistente al momento dell’adozione del provvedimento, hanno contestualmente presentato anche un progetto di completamento.

Quanto, infine, ai rilievi contenuto nell’ultimo motivo di doglianza è sufficiente osservare che relativamente alla contestazione del mancato rispetto delle rispettive altezze minime interne, previste dall’art. 4, comma a), della L.R. n. 8/02 e dall’art. 77 del vigente regolamento comunale, l’Amministrazione si è determinata nel senso espresso nel provvedimento sia per la mancata trasmissione dei particolari costruttivi del solaio e degli impianti (non potendo quindi in concreto verificare la effettiva realizzabilità degli stessi), sia per l’esigua consistenza del massetto del pavimento (solo 2 cm.) rappresentata nella relazione tecnica allegata alla domanda, e quanto, invece al mancato rispetto dell’art. 106.7 lett. b) del regolamento edilizio che nella comunicazione di diniego ex art. 10 bis L. 241/90 veniva riportato chiaramente che la realizzazione del terrazzo comportava la modifica della quota di gronda, non consentita dall’art. 4, comma 2, della L.R. n. 8/2002; e che a tanto ha fatto seguito una modifica delle dimensioni del terrazzo mediante la previsione di due intercapedini laterali ed il prolungamento delle falde di copertura.

Il che ha comportato il superamento del motivo di diniego dapprima comunicato ma ha altresì evidenziato la non conformità dell’intervento alla disciplina contenuta nel citato art. 106.7 lett. b) del vigente R.G.

Per tutte le ragioni innanzi svolte devesi concludere che anche il secondo ricorso in esame risulta infondato e deve essere respinto.

Un’ultima considerazione merita la circostanza che in data 23 febbraio 2011 il Comune di Potenza ha depositato in atti una nota del 28.01.2011, a firma del dirigente Ufficio Edilizia e Pianificazione indirizzata al dirigente dell’Unità di Direzione Affari Legali Avvocatura del comune di Potenza, nella quale si fa presente che successivamente alla notifica del ricorso (R.G. n. 275/2008) " è pervenuta istanza da parte dei ricorrenti, in data 07.05.2010, di richiesta dell’applicazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione e che alla data odierna sono in corso gli accertamenti tecnici circa l’ammissibilità di tale richiesta". Tanto al solo fine di far presente che l’esito dei ricorsi oggetto della presente decisione non è di per sé ostativo all’adozione da parte del Comune intimato di nuovi e diversi provvedimenti sanzionatori, all’esito, ovviamente, del procedimento che ne accerti la sussistenza delle condizioni richieste dalla normativa vigente per la loro emanazione.

Quanto alle spese di giudizio il Collegio ritiene che le stesse debbano essere poste a carico dei ricorrenti e liquidate nella misura che sarà indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposto, così provvede:

a) dispone la riunione dei ricorsi in esame siccome connessi;

b) respinge entrambi i ricorsi in epigrafe;

c) condanna i ricorrenti alle spese di giudizio che liquida in complessive euro 2.000,00 (duemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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