Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-09-2011, n. 18173 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto depositato in data 11 agosto 2008 la Corte d’appello di Perugia respingeva la domanda proposta nei confronti del Ministero della Giustizia da Z.B., quale erede di M. S.S., per ottenere il ristoro dell’indennizzo del pregiudizio di natura non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un procedimento civile iniziato da M.A., dante causa della M., che l’aveva poi proseguito, al fine di ottenere il pagamento di ratei di pensione già maturati.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che, non potendosi tener conto dei periodi intercorsi fra il deposito delle decisioni e le loro impugnazioni, la durata del procedimento eccedente la ragionevolezza ammontava a cinque mesi, lasso di tempo insufficiente per la produzione di un apprezzabile pregiudizio di natura morale.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre Z.B., quale erede della M., sulla base di unico e complesso motivo.

Il Ministero della Giustizia non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione

2.1 – Viene denunciata, formulandosi idoneo quesito di diritto, violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. 1 Cedu e della L. n. 89 del 2001, art. 2 nonchè della L. n. 848 del 1955 di ratifica di detta convenzione, censurandosi la determinazione del periodo complessivo di durata non ragionevole in sei mesi, anzichè in undici mesi, nonchè l’affermazione secondo cui non sarebbe valutabile, ai fini dell’equa riparazione in esame, un periodo pari a frazione di anno.

2.2 – Il decreto impugnato, il cui dispositivo nella sostanza è corretto, deve essere rettificato nella motivazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

2.3 – Dal provvedimento scrutinato e dal tenore dello stesso ricorso emerge che l’odierna ricorrente agisce quale erede sia di M. S.S. che di S.A., deceduto in data (OMISSIS).

In particolare, il giudizio presupposto, intrapreso il 4 febbraio 1997 dal primo dante causa, che aveva proposto appello in data 9 giugno 1999, era stato poi ripreso il 28 gennaio 2004 da M. S.S..

Soccorre, in proposito, il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui la necessità di una costituzione in giudizio della parte che invoca la tutela della legge a sanzionare l’irragionevole durata è premessa indiscutibile per una ragionevole operatività dell’intero sistema di cui alla L. n. 89 del 2001, non potendo operare, in difetto di tale costituzione, lo scrutinio sul comportamento della parte delineato dall’art. 2, comma 2, della legge e non essendo neppure esercitabili i poteri di liquidazione equitativa dell’indennizzo correlati, ragionevolmente, al concreto patema che sulla parte ha avuto la durata del processo (Cass., Sez. Un., n. 1338/2004).

Si impone, quindi, una verifica dei tempi di durata del processo presupposto relativamente a ciascuna dei danti causa.

Quanto a quest’ultimo profilo, vale bene precisare che tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, "iure proprio", soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla Cedu e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass. 4 novembre 2009, n. 23416; Cass., 7 febbraio 2008, n. 2983).

In definitiva, in luogo di una determinazione complessiva della durata del procedimento presupposto, deve procedersi a una ricostruzione analitica delle singole posizioni assunte delle parti, considerando che, a prescindere dalla declaratoria o meno dell’evento interruttivo corrispondente al decesso di S.A., non è configurabile un pregiudizio di natura non patrimoniale post mortem.

Pertanto la durata del procedimento che interessa il primo ricorrente è inferiore a tre anni, mentre il giudizio protrattosi successivamente all’intervento della M., come sostiene la stessa Z., ha avuto la durata di anni due e mesi otto.

Deve quindi rilevarsi come non solo ciascuno dei segmenti che riguarda le parti ritualmente costituite non ecceda, in sè considerato, la durata ragionevole, ma anche che la stessa M. non è subentrata (secondo il criterio suggerito dalla citata Cass., 7 febbraio 2008, n. 2983) in un processo "oggettivamente irragionevole", tanto che la stessa somma dei due periodi da prendersi in considerazione, in base a quanto evidenziato, è inferiore alla durata ragionevole del procedimento come indicata dalla stessa ricorrente.

Non avendo la parte intimata svolto attività difensiva, non ricorrono i presupposti per il regolamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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