Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-02-2011) 10-05-2011, n. 18342 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 24.6.2010 il Tribunale del Riesame di Reggio Calabria confermava l’ordinanza emessa il 25.5.2010 dal GIP del Tribunale di Reggio Calabria, applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di G.C. in ordine ai delitti:

-di omicidio aggravato perchè, in concorso con S.G., cagionava la morte di F.M., in Contrada (OMISSIS), appostandosi dietro un canneto con un fucile calibro 12 e attingendo il predetto F. prima con un colpo all’altezza dell’avambraccio, facendolo cadere a terra mentre guidava il motorino, e poi con due colpi, da distanza ravvicinata, in testa;

del delitto di cui all’art. 416-bis c.p., perchè nel ruolo di direzione dell’associazione nel periodo successivo alla sua scarcerazione, avvenuta il 28.3.2007, riceveva e attuava le comunicazioni dei fratelli detenuti G.G. e G. D., riferitegli da altri familiari che si recavano al colloquio con i predetti e, inoltre, adottava decisioni in assoluta autonomia con il compito di pianificazione delle azioni delittuose da compiere e delle vittime da colpire, con particolare riferimento agli esponenti dello schieramento avverso (Bruzzise); dirigeva il sodalizio, pur essendo domiciliato a (OMISSIS), dove scontava la libertà vigilata, recandosi periodicamente in (OMISSIS), dove incontrava i sodali e in particolare suo fratello G.R., il quale ricopriva il ruolo di reggente della "ndrina di Palmi e dava attuazione alle disposizioni di C., o ricevendo gli stessi sodali, in particolare Ca.Pa., G.A. (classe (OMISSIS)) e Sg.Ca., nella città (OMISSIS), impartendo loro le disposizioni necessarie per l’attività dell’organizzazione criminale; si attivava per far ottenere al fratello G.G., attraverso false dichiarazioni di collaboratori di giustizia, la revisione della sentenza con la quale lo stesso era stato condannato all’ergastolo; gestiva il patrimonio mobiliare e immobiliare della cosca, intestato a prestanomi, e più in generale si metteva a completa disposizione degli interessi della consorteria, cooperando nella realizzazione del programma criminoso del gruppo.

Nella prima parte dell’ordinanza è stata delineata l’attività della cosca dei Gallico, capeggiata dai fratelli G.G. e D., con il suo centro di interessi a (OMISSIS) e impegnata soprattutto nel lucroso affare delle tangenti connesse ai lavori di ammodernamento dell’autostrada (OMISSIS), nella zona territoriale di competenza della cosca (Barritteri).

La famiglia Gallico era stata coinvolta in una sanguinosa faida per tredici anni (dal (OMISSIS)) con le famiglie Condello- Bruzzise, con le quali si contendeva il controllo della zona di (OMISSIS).

Per omicidi commessi nel corso della suddetta faida erano stati condannati all’ergastolo G.G. e G.D. già con sentenza della Corte d’assise di Palmi in data 6.6.1984.

Le vicende della faida, e in particolare le attività della cosca dei Gallico, erano state narrate e accertate nella sentenza della Corte d’assise di Palmi in data 15.12.1994, con la quale era stato condannato a quattordici anni di reclusione per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., commesso fino al (OMISSIS), anche G. C..

Il predetto era stato scarcerato per scadenza dei termini di carcerazione preventiva il 6.11.1991; resosi subito latitante, veniva arrestato circa nove anni dopo a Terni il 14.4.2000. Da questa data scontava la suddetta pena fino al 28.3.2007 dopo la scarcerazione, fissava la sua residenza a (OMISSIS), dove – in ragione della condanna subita – veniva sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per un anno.

La cosca dei G., nonostante gli arresti, aveva continuato ad operare e, dal (OMISSIS), periodo nel quale i suddetti esponenti della cosca erano rimasti in carcere, era ripresa la guerra, sempre originata dagli stessi interessi per il controllo del territorio, con i Bruzzise, guerra che vedeva i Gallico alleati con le famiglie dei Morgante e Sciglitano.

Il ruolo di G.C. e le condotte a lui attribuite nelle imputazioni sopra riportate sono stati dedotti soprattutto da conversazioni tra presenti registrate all’interno di sale colloqui delle case circondariali di (OMISSIS) (dove era detenuto G.G.), (OMISSIS) (dove erano detenuti G. D., O.F., affiliato alla cosca Santaiti, e S.S.R.), (OMISSIS) (dove nel (OMISSIS) era stato temporaneamente trasferito G.D.), (OMISSIS) (dove era detenuto G.R.) e (OMISSIS) (dove nel (OMISSIS) era stato temporaneamente trasferito B.G.). Si recavano a colloquio con i predetti esponenti della famiglia Gallico i figli di G.G.: A. classe (OMISSIS), I. A. e L. insieme al di lei marito Ba.Vi.; la moglie di G.G., Su.Ma.Ca.; la madre di G.G., Mo.Lu.Gi.; la sorella di G.G., T., la quale, in assenza degli altri fratelli, era stata di fatto reggente della cosca.

Nell’ordinanza del Tribunale del Riesame, prima di analizzare i colloqui dai quali sono stati tratti elementi a carico di G. C., si è premesso che in una realtà criminale come quella della ‘ndrangheta il vincolo familiare, con il precedente coinvolgimento in vicende giudiziarie concernenti gli stessi ambiti criminali-mafiosi, legittima l’illazione dell’appartenenza alla consorteria mafiosa, sebbene suscettibile di approfondimento investigativo, in quanto costituisce un elemento fortemente indiziante circa la possibile intraneità alla cosca.

G.C. era stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., oltre che dalla Corte d’Assise di Palmi con la sentenza del 15.12.1994 per fatti commessi fino al (OMISSIS), anche dal GUP di Reggio Calabria con la sentenza dell’8.5.2003 (cd. operazione Tallone d’Achille) per il prosieguo della sua attività nell’ambito della cosca nel periodo in cui si era dato alla latitanza. Scarcerato il 28.3.2007, dopo essere stato detenuto per circa sette anni, G.C. aveva fissato la sua residenza a (OMISSIS).

Non sono indicati nell’ordinanza del Tribunale del Riesame nè colloqui intercettati tra il predetto e i familiari, nel periodo in cui era detenuto, nè colloqui dello stesso G.C. con i fratelli detenuti ( G., D. e, dal (OMISSIS), R.), dopo la sua scarcerazione.

Sono riportati nell’ordinanza del Tribunale del Riesame, innanzi tutto, colloqui che G.G. e G.D. avevano avuto con familiari, nel periodo precedente alla scarcerazione di G.C., dai quali si evince, secondo il Tribunale del Riesame, che gli interlocutori sostengono che G.C., una volta scarcerato, avrebbe potuto assumere la reggenza della cosca, tenuto conto della necessità di un efficace rimpiazzo, dal momento che R., unico membro della famiglia che avrebbe potuto curare gli affari della cosca, all’epoca era latitante e non appariva particolarmente adatto a curare detti affari.

In particolare, in un colloquio di G.D. con la sorella del 19.1.2007, risultava chiaro che il piano era di affidare la direzione della cosca a C., appena fosse uscito dal carcere, e a quel punto R., che era latitante, si sarebbe dovuto costituire. Il piano, però, non si era potuto attuare, poichè C., uscito dal carcere, aveva fissato il proprio domicilio a Brescia. Anche G.G., in un colloquio registrato il 30.11.2006, aveva mostrato di contare su quello che avrebbe potuto fare C., una volta scarcerato, discorrendo della necessità di avvicinare alcuni collaboratori per far rendere loro false dichiarazioni da utilizzare in un processo di revisione della condanna all’ergastolo dal lui subita; aveva anche precisato durante il colloquio di avere parlato con C., quando erano stati portati a (OMISSIS) a far visita al loro padre malato, e gli aveva spiegato cosa avrebbe dovuto fare. Ancora G.G., parlando il 11 gennaio 2007 con il proprio figlio A., l’aveva esortato ad andare via da (OMISSIS), per sfuggire a possibili ritorsioni della cosca Bruzzise, aggiungendo che C., appena scarcerato, avrebbe preso in mano la situazione.

Il Tribunale del Riesame ha ritenuto che vi fossero gravi indizi dai quali desumere che, effettivamente, una volta scarcerato, G. C. aveva assunto la direzione della cosca, pur risiedendo a (OMISSIS).

Era risultato che, dopo la scarcerazione, con cadenze quasi mensili aveva chiesto (poichè era in regime di libertà vigilata) ed ottenuto permessi per recarsi a (OMISSIS), così riuscendo a mantenere i contatti con il territorio e con la sua famiglia, compreso suo fratello R. all’epoca latitante. Significativa era un’intercettazione telefonica del 31.3.2007, nella quale aveva rassicurato la madre che avrebbe chiesto al Magistrato di sorveglianza permessi per tornare in (OMISSIS), aggiungendo "gli spiegherò la situazione e logicamente credo che non mi mettano con le spalle al muro … se mi dite no, no, no tu non vai, siccome la libertà vigilata posso farla dove voglio, rinuncio, dico cambio indirizzo e me ne torno a casa, cioè se loro mi costringono a non …".

A favore dell’esistenza dell’attualità dell’appartenenza di G. C. alla cosca vi era un colloquio del 21.6.2007 nel quale G.G. aveva incaricato il figlio A. di avvertire lo zio C. di non sottovalutare il pericolo che a (OMISSIS) potesse essere raggiunto da emissari dei Bruzzise; l’università e la scuola non servivano a niente, aveva detto G. al figlio; i provvedimenti si devono prendere prima; doveva dirgli "ha detto mio padre di tagliare subito la testa al toro" e con gesti C. G. aveva fatto capire al figlio che una volta che l’avessero trovato al nord, l’avrebbero ucciso. G.G. aveva ribadito lo stesso discorso pochi giorni dopo (il 28.6.2007) con la figlia L. e, a giudizio del Tribunale del Riesame, dal contenuto del colloquio (che veniva riportato in alcune parti) emergeva che G.C., ricevuto il messaggio che gli aveva fatto pervenire il fratello G., aveva preso contatti prima con il fratello R. e poi con Mo.Sa. per decidere il da farsi.

Successivamente, il (OMISSIS), G.A. aveva confermato al padre G. di aver riferito allo zio C. quanto il padre l’aveva incaricato di dirgli e secondo il Tribunale del Riesame – dal contenuto del colloquio che veniva riportato – A. aveva detto al padre che lo zio non solo si era dichiarato d’accordo ad eliminare i Bruzzise, ma addirittura era stato lui ( C.) a contattarlo per dirgli che aveva saputo che i Bruzzise stavano organizzando una risposta agli omicidi avvenuti qualche mese prima; a quel punto G.G. aveva detto al figlio di dire a C. di mettersi in contatto con i fratelli P. e M. S..

Dal complesso dei suddetti elementi, secondo il Tribunale del Riesame, si doveva dedurre che G.C. non solo aveva continuato, una volta scarcerato, a dirigere gli affari della cosca, ma si era recato a trovare, su disposizione del fratello G., l’altro fratello R. e i cugini F. e Mo.Sa. per decidere in che modo eliminare i Bruzzise.

Una conferma che G.C. fosse organico alla cosca veniva rinvenuta nel fatto che, ogni volta che tornava in (OMISSIS), si incontrava con Ca.Pa., intraneo alla ‘ndrina e persona di fiducia di G.T.. In una conversazione registrata il 28.8.2007, Ca. aveva riferito all’interlocutore b.

m. che un gruppo di personaggi della zona jonica si erano recati a (OMISSIS) per incontrare G.C., e nell’occasione egli Ca. aveva ricevuto l’incarico da C. di indicare la strada del ritorno a tali soggetti.

Da una conversazione del 28.10.2007 intercettata nell’auto del Ca., che parlava con un non meglio identificato Me., erano emersi anche gli stretti rapporti di G.C. con il fratello D.. Questi dal carcere aveva telefonato alla sua famiglia a (OMISSIS) – aveva raccontato Ca. – e aveva parlato anche con C. che si trovava a (OMISSIS); C. aveva aggiornato il fratello su fatti di (OMISSIS); Ca. aveva commentato che C. era un personaggio carismatico e che c’era un grande feeling con il fratello D.. Infine, in altro colloquio del 23.4.2008, G.G., dopo aver detto ai familiari che era opportuno che A. e C. parlassero con G.C., aveva chiesto se questi continuasse ad occuparsi degli interessi del sodalizio, perchè se non l’avesse fatto si correva il rischio di perdere tutto quello che negli anni si era faticosamente accumulato; M.A. e A. l’avevano rassicurato dicendogli che, secondo loro, C. non aveva intenzione di mollare tutto.

Per quanto riguardo l’omicidio di F.M., avvenuto in (OMISSIS), il Tribunale del Riesame riteneva che anche in relazione a questo delitto fossero stati raccolti gravi indizi di reità a carico di G.C.. F.M. era un esponente di spicco della cosca Condello-Bruzzise, antagonista a quella dei Gallico e, all’epoca dell’omicidio, G.C. era latitante ed era il reggente dell’omonima cosca.

A giudizio del Tribunale del Riesame, l’ipotesi dell’accusa che F. fosse stato ucciso per vendicare l’omicidio di G. A. (fratello di C.), avvenuto il (OMISSIS) durante la sanguinosa faida che aveva coinvolto i Gallico e i Bruzzise dal (OMISSIS), era attendibile, poichè dopo l’omicidio di F. non vi era stata una ripresa della faida, e quindi il predetto omicidio doveva essere considerato il definitivo regolamento dei conti tra le due cosche. Era altresì attendibile, alla stregua degli elementi raccolti, che l’omicidio fosse avvenuto a seguito delle informazioni sugli spostamenti del F. che aveva dato S.G. a G.C., il quale si era potuto appostare, grazie alle informazioni ricevute, nei pressi della casa di Ma.Co., cognata e amante del F., dalla casa della quale il predetto era appena uscito, quando era stato ucciso.

Il Tribunale indicava i seguenti elementi che avvaloravano la suddetta ricostruzione.

Un colloquio in carcere dell’1.2.2007 nel corso del quale G. G. aveva detto a suo figlio A. che all’omicidio di Al. avevano partecipato Co.Fr., P. A. e F.M., e tutti e tre erano stati uccisi perchè avevano toccato uno dei Gallico.

F. era stato indicato solo con il nome M., ma non vi erano altri M. coinvolti nella suddetta faida.

A giudizio del Tribunale del Riesame era generico un manoscritto sequestrato il (OMISSIS) nell’abitazione di D.M. e Ca.Do. nel quale, narrando episodi della faida, era stato scritto che F. era stato eliminato dai Gallico perchè andava a chiedere soldi a ditte che prendevano i lavori a (OMISSIS), aggiungendo che la moglie di F. ( D’.Gi.), nel periodo in cui il marito era detenuto, aveva allacciato una relazione con S.S., amico dei Gallico, e quindi l’omicidio era stato organizzato e compiuto dai Gallico, oltre che per il suddetto comportamento del F., anche per fare un piacere a S. S..

Ma.Co., l’amante del F., interrogata il giorno stesso dell’omicidio, aveva dichiarato che F., in epoca precedente all’omicidio, si era convinto di essere bersaglio dei Gallico. Aveva poi segnalato lo strano comportamento di suo zio Sp.Gi., amico dei Gallico, il quale il giorno dell’omicidio si era allontanato dalla sua abitazione, sita nei pressi del luogo dell’omicidio, con tutta la sua famiglia.

Erano rimasti privi di correlazione con l’omicidio i contrasti che F. aveva avuto con A. e B.G., i quali rivendicavano somme di denaro destinate da Co.Fr. al pagamento di spese legali.

Erano risultate inattendibili le dichiarazioni di un testimone oculare dell’omicidio, c.g., il quale nell’immediatezza del fatto aveva riconosciuto nella fotografia di Sc. S. l’autore dell’omicidio.

Significativo era invece un colloquio del 9.1.2007 tra G. D. e la sorella T., nel corso del quale erano stati manifestati timori di vendetta da parte dei figli del F., ormai cresciuti, e T. aveva commentato che era meglio prevenire che curare; T. aveva anche detto che il fidanzato di G. I.A. ( N.D.) aveva rapporti con il figlio di F., in quanto avevano frequentato lo stesso istituto, e costui – quando era ancora vivo il padre – l’aveva portato a casa e gli aveva mostrato una pistola con delle munizioni.

Anche se era risultato che all’epoca in cui il padre era ancora vivo ((OMISSIS)), il figlio di F. ( F.L.) non frequentava ancora l’istituto tecnico del N., verosimilmente si poteva ritenere che i due si conoscessero indipendentemente e anteriormente all’inizio di tale comune frequentazione. Di rilievo sono stati ritenuti alcuni colloqui in carcere tra il detenuto O. F. e suo fratello R., entrambi affiliati al clan Santaiti. Nel colloquio del 16.1.2007, i due fratelli avevano parlato della relazione tra la moglie di F. e S.S. ed avevano escluso che i figli di F. ( L. e F.) potessero maturare il desiderio di colpire l’amante della loro madre;

piuttosto se la sarebbero presa con i Gallico.

Nel corso di altro colloquio, avvenuto il 3.4.2007, O. F. si era rivolto a G.D., anche lui a colloquio nella stessa sala con di lui familiari, ribadendo che non c’era pericolo che i figli di F. si vendicassero, ma comunque aveva fatto capire che costoro erano a conoscenza che il padre era stato ucciso dai Gallico. Sempre nel corso dello stesso colloquio, O. R. aveva detto al fratello detenuto che F. era stato ucciso – mentre stava andando a prendere la moglie di tale D’.

( Ma.Co.) – da G.C. che, prima di commettere l’omicidio, aveva chiesto a S.G. di (OMISSIS) (fratello di S.S., all’epoca in carcere) di "vendergli" F..

Il Tribunale del Riesame riteneva di particolare importanza quanto detto nel corso del suddetto colloquio, poichè i fratelli avevano riferito una serie di particolari da loro direttamente percepiti per ciò che concerne le modalità dell’agguato; O.R., inoltre, aveva appreso da S.G. anche notizie su almeno uno degli autori del delitto.

Era altamente verosimile, secondo il Tribunale, che fosse stato S.G. a dare informazioni sulle abitudini del F. ed era stato accertato che S.S. aveva avuto fin dal (OMISSIS) una relazione con la moglie di F.M.. Alla stregua del complesso delle risultanze, quindi, il Tribunale del Riesame riteneva che era ragionevolmente comprovata la partecipazione di G.C. quanto meno a titolo di concorso morale nell’omicidio F., anche se il colloquio dei fratelli O. del 3.4.2007 non lasciava spazio, allo stato degli atti, ad alternative alla tesi accusatola circa la paternità, anche sul piano materiale, del delitto a G.C..

Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale del Riesame riteneva che non vi fossero elementi che consentissero il superamento della presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

La rescissione del vincolo non era provata dalla copiosa documentazione prodotta dalla difesa: conseguimento della laurea breve in giurisprudenza con il massimo dei voti, con iscrizione all’università subito dopo la scarcerazione; redazione di un romanzo e di testi teatrali; attestati di professori e apprezzamenti ricevuti in varie sedi; impegni culturali in favore dell’antimafia;

tutto questo non era sufficiente ad inficiare le risultanze investigative.

La scelta di risiedere a Brescia rispondeva a esigenze latamente criminali, come poteva desumersi da un colloquio del 21.3.2007 fra Ci.An. e Ce.Gi..

Infine, da un interrogatorio del 30.10.2009 del collaboratore di giustizia Ma.Vi., prodotto dal P.M. all’udienza del 24.6.2010, emergeva lo spessore criminale di G.C. per i rapporti dallo stesso intrattenuti con ambienti criminali e per il rispetto da cui era circondato in carcere.

Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di G.C., chiedendone l’annullamento per difetto totale dei gravi indizi di colpevolezza, con conseguente scarcerazione del predetto. In subordine ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza per totale assenza di esigenze cautelari. Il ricorrente ha premesso che G.C. non era stato mai condannato per reati specifici e ha descritto come il predetto aveva iniziato una nuova vita a (OMISSIS), dopo la scarcerazione, iscrivendosi all’università, diventando membro attivo dell’Associazione Carcere e Territorio, diretta dal prof. R. C.A., criminologo e docente universitario a (OMISSIS); si era dedicato a scrivere, nel periodo della detenzione e dopo la scarcerazione, testi poetici e di narrativa che avevano avuto riconoscimenti con assegnazione di premi letterali; una sua opera era stata trasposta in un testo teatrale dalla nota regista Gi.

E. e rappresentata in più parti d’Italia, anche a (OMISSIS).

Questo percorso era stato interrotto dalla notifica il 25 maggio 2010 dell’ordinanza cautelare nella quale erano stati contestati al Gallico due gravissimi reati che lo stesso non aveva assolutamente commesso. Appena riportato in carcere, aveva tentato seriamente di togliersi la vita, raggiungendo con una lametta la giugulare, ed era stato salvato solo per l’intervento di un agente di custodia.

Quale ulteriore premessa agli specifici motivi del ricorso, il ricorrente ha trascritto nello stesso il contenuto della memoria difensiva che aveva sottoposto al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, depositandola in Cancelleria in data 22 giugno 2010.

In questa memoria, con riguardo all’omicidio di F.M., aveva fatto notare che G.G., parlando con il figlio A., non aveva attribuito la responsabilità dell’omicidio di Ga.Al. a M. ( F.); che era inverosimile che, per vendicare un omicidio avvenuto il (OMISSIS), nel primo periodo della faida (iniziata nel (OMISSIS)), si fosse aspettato fino al (OMISSIS), quando la faida era già conclusa (nel (OMISSIS)) da più di sette anni; che emergevano dagli stessi atti di indagine diverse causali dell’omicidio del F.;

che G.C. non aveva mai conosciuto i fratelli O. F. e R., i colloqui dei quali in carcere erano stati riportati nell’ordinanza; che le preoccupazioni riguardanti i figli di F.M., nei colloqui riportati nell’ordinanza cautelare, erano rivolte al fatto che gli stessi si sarebbero potuti organizzare per commettere reati nello stesso territorio in cui agivano i Gallico; che il GIP aveva manifestato incertezze sul ruolo che avrebbe rivestito G.C. nell’omicidio, autore materiale o concorrente morale, al punto che aveva dichiarato insufficienti gli indizi nei confronti di S.G., il quale nella costruzione accusatoria avrebbe fornito a G. G. le informazioni per raggiungere lo scopo omicidiario.

Quanto alla conversazione del 3.4.2007, nella quale, secondo l’interpretazione datane nell’ordinanza cautelare, O.R. avrebbe comunicato al fratello che autore dell’omicidio era stato G.C., si doveva invece tener conto che in nessuna parte del colloquio si era accennato alla famiglia Gallico, e quindi era arbitraria l’identificazione del C. nominato nel colloquio in G.C.; che neppure il G. nominato nel colloquio poteva essere identificato in S.G., il quale peraltro non era stato sentito, sebbene fosse un collaboratore di giustizia;

che le circostanze dell’omicidio erano da anni di pubblico dominio e peraltro O.R. aveva, contrariamente al vero, riferito al fratello che F. stava andando a casa dell’amante, mentre era certo che il predetto era stato ucciso, quando ne era appena uscito;

che nel manoscritto (OMISSIS), citato nell’ordinanza cautelare, l’omicidio di F. non era stato assolutamente collegato all’omicidio di Ga.Al., ma a tutt’altra causale.

Per quanto riguarda il delitto associativo, la memoria presentata dal difensore al Tribunale del Riesame metteva in evidenza che a G. C. non era stato attribuito alcun comportamento specifico e che le conversazioni intercettate poste a base della responsabilità di G.C., se lette integralmente e correttamente, avevano un significato diverso da quello che era stato attribuito nell’ordinanza cautelare.

Da nessuna delle conversazioni intercettate si poteva evincere il coinvolgimento di G.C. in fatti tipici del reato associativo.

Risultava invece chiarissimo che, da una parte, vi erano aspettative dei congiunti di G.C. e, dall’altra, condotte di questi del tutto contrarie alle suddette aspettative. G.C., dopo la sua scarcerazione, si era recato a (OMISSIS) solo in pochissime occasioni, concentrate nell’anno (OMISSIS), sempre debitamente autorizzato e spesso per assistere ad udienze che lo riguardavano.

Venivano prese in esame, singolarmente, tutte le conversazioni intercettate, indicate nell’ordinanza come significative della partecipazione di G.C., dopo la sua scarcerazione, alle attività della cosca e si metteva in evidenza che non c’era stata la programmata staffetta con G.R., perchè C. era andato a vivere a (OMISSIS); che nulla aveva fatto G.C. per la revisione del processo nel quale era stato condannato il fratello G., deludendone ancora una volta le aspettative; che era stato stravolto il significato della conversazione, dalla quale, equivocando, si era desunto che G.G. avesse disposto che C. doveva parlare con i cugini P. e S. per programmare un’azione contro i fratelli B., perchè dalla lettura delle intercettazioni risultava che non era C. che doveva parlare con i predetti cugini e che G. era solo preoccupato che C., il quale – secondo lui – era rimasto a (OMISSIS) a "cazzeggiare", potesse essere un facile bersaglio per i Bruzzise; comunque, restava il fatto che G.C. non aveva lasciato (OMISSIS), non seguendo ancora una volta i consigli di G.; che non risultava affatto che C. fosse andato a trovare il fratello R., all’epoca latitante, poichè da quanto aveva detto L. nel colloquio intercettato emergeva chiaramente che la stessa non era stata informata di questo incontro; che dalla conversazione di G.G. con suoi familiari, avvenuta dopo l’arresto di G.R., risultava evidente che C. non aveva fatto niente per la famiglia e i figli di G. non erano in grado di dire al padre se lo zio C. fosse disposto a fare qualcosa per la famiglia. Dopo le suddette premesse, il ricorrente ha articolato i seguenti specifici motivi di ricorso.

Con un primo motivo ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per difetto di motivazione e manifesta illogicità della stessa nonchè travisamento del contenuto delle intercettazioni, in relazione ai gravi indizi circa la partecipazione all’omicidio contestato.

Il Tribunale non aveva risposto a argomentazioni difensive contenute nella memoria e aveva conferito gravita di indizi a meri sospetti.

L’iter argomentativo dell’ordinanza era incongruo e illogico nel l’attribuire il movente dell’omicidio alla vendetta per l’omicidio di Ga.Al., avvenuto diciannove anni prima. Nella memoria erano state segnalate le diverse possibili causali che emergevano dagli atti, alle quali il Tribunale del Riesame non aveva prestato alcuna attenzione.

Dal colloquio in data 1.2.2007 tra G.G. e il figlio A. non emergeva che il primo ritenesse F.M. uno degli autori dell’omicidio di G.I., perchè G. non aveva detto che a sparare era stato " Po. con M.", ma aveva detto che era stato Po. e, dopo una frase incomprensibile del figlio, aveva aggiunto con M. tutti sono morti. Contraddittoriamente l’ordinanza del Tribunale del Riesame aveva definito la versione contenuta nel manoscritto (OMISSIS) lineare, logica e coerente, e poi, l’aveva definita generica e motivata da ragioni d’odio solo nella parte in cui nel manoscritto si era data una diversa causale, da quella sostenuta dall’accusa contro G.C., all’omicidio di Ga.

A.. Il Tribunale del Riesame non aveva considerato le incongruità rilevate nella memoria per ascrivere l’omicidio F. ai Gallico, attribuendo indizi a carico di G.C. che non erano stati ritenuti validi a carico di altri. Era stato travisato il colloquio del 9.1.2007 tra G.D. e la sorella T., poichè nella memoria si era dimostrato che i predetti non si erano riferiti a un figlio di F., quando avevano parlato di un compagno di N.D. che aveva mostrato allo stesso la pistola del padre. Era stato travisato il contenuto del colloquio tra O.F. e G.D., poichè dalla lettura dello stesso emergeva che la preoccupazione nei confronti dei figli di F. non era per una temuta vendetta, ma per le possibili attività di costoro nelle zone di competenza dei Gallico; G. D., infatti, aveva poi chiesto alla sorella T. se i figli di G. (vedova di F.) si "annaccano", cioè se stavano cercando di crearsi un loro spazio in ambiti criminali.

Era stato travisato anche il colloquio del 3.4.2007, riportato nella stessa ordinanza, tra i fratelli F. e O.R., nel corso del quale quest’ultimo aveva indicato un C. come autore dell’omicidio F.. Non vi era nel colloquio alcun riferimento alla famiglia G.; non si sapeva da chi O.R. avesse appreso le notizie che aveva comunicato al fratello, ma certamente non erano notizie da lui percepite direttamente; si era ritenuto che non vi fossero sufficienti indizi a carico di S.G., che nell’ipotesi accusatoria avrebbe messo G.C. in condizioni di sorprendere e uccidere il F.; era illogico che G.C., che era di (OMISSIS), avesse bisogno di avere notizie su F., che era anche lui di (OMISSIS), dal predetto S. che viveva a (OMISSIS); non vi era alcun elemento per affermare che il C. fosse G.C.. il Tribunale, in particolare, aveva omesso di motivare su quest’ultima osservazione contenuta nella memoria sopra riportata. Come ulteriore motivo di ricorso, nell’ambito del primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 192 c.p.p., poichè comunque si era utilizzata una dichiarazione de relato, captata in un’intercettazione ambientale, come grave indizio di colpevolezza a carico del ricorrente, senza alcun riscontro e senza che il teste de relato avesse confermato tale dichiarazione.

Con un secondo motivo di ricorso il ricorrente ha chiesto che fosse dichiarata inutilizzabile, per violazione dell’art. 309 c.p.p. e dell’art. Ili della Costituzione, la memoria depositata dal P.M., nell’udienza di discussione davanti al Tribunale del Riesame, dopo che la difesa aveva già concluso, contenente atti tra i quali anche la copia del verbale delle dichiarazioni rese da Ma.Vi. in data 30.10.2009, memoria acquisita nonostante l’opposizione del difensore, risultante dal verbale d’udienza.

Detto verbale di interrogatorio in ogni caso non era stato messo a disposizione della difesa e quindi era illegittima l’acquisizione di atti sui quali la difesa non aveva avuto la possibilità di interloquire.

Con un terzo motivo ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per difetto di motivazione e manifesta illogicità nonchè travisamento del contenuto delle intercettazioni di conversazioni tra presenti, in relazione alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza circa la partecipazione di G.C. al reato associativo.

Le argomentazioni difensive, contenute nella memoria presentata tempestivamente al Tribunale del Riesame, erano tese a sostenere, in relazione al reato associativo, che se da un lato era emerso che alcuni suoi familiari, e soprattutto G.G., contavano che G.C., dopo la scarcerazione, si sarebbe occupato degli affari della famiglia, d’altro lato era altresì emerso che C. non aveva in alcun modo corrisposto a detta aspettativa, poichè non aveva aderito alle attività e ai programmi della cosca.

Le aspettative e il piano della famiglia – di far prendere a C. il posto di R. e far costituire quest’ultimo – non si erano realizzati, perchè C., dopo la scarcerazione, era andato a vivere a (OMISSIS) e R. non si era costituito.

Su questo punto, il Tribunale del Riesame non aveva fornito alcuna logica motivazione, ponendo invece i suddetti colloqui come indizi a carico di G.C..

Nella memoria si era sostenuto che negli atti non emergeva alcun elemento che facesse pensare che l’indagato si fosse interessato a far ottenere al fratello Giuseppe la revisione del processo, ma anche su questo punto il Tribunale del Riesame non aveva fornito alcuna motivazione, continuando a ritenere il suddetto colloquio di G. G. con familiari un elemento a carico di G.C..

Tra l’altro, il Tribunale aveva omesso di considerare che non era stata presentata alcuna istanza di revisione del suddetto processo.

Il Tribunale del Riesame aveva dedotto illogicamente da una telefonata, intercorsa il 31.3.2007 tra C. e la madre, che il ricorrente si fosse messo a disposizione della cosca, pur espiando la libertà vigilata a (OMISSIS), quando dal contenuto della telefonata risultava evidente che C. voleva solo rassicurare sua madre che sarebbe comunque andato a trovarla.

I colloqui riguardanti la questione Bruzzise, riportati nell’ordinanza impugnata, non provavano affatto, come ritenuto dal Tribunale del Riesame, che G.C. partecipava alle attività della cosca.

Provavano invece che G.G. era preoccupato per il fratello C., che poteva essere fatto oggetto di un attentato da parte di emissari dei Bruzzise, e che lo stesso G. riteneva che il fratello, incurante dei rischi che correva, se ne stesse a "cazzeggiare" a (OMISSIS).

Nel colloquio del 28.6.2007 tra G.G. e la figlia L. non era emerso, come ritenuto dal Tribunale del Riesame, che C. si fosse incontrato con Mo.Sa. a (OMISSIS) per concordare l’uccisione dei Bruzzise e che L. avesse riferito al padre che C. aveva difficoltà a trovare i Bruzzise, poichè a (OMISSIS) non poteva muoversi liberamente; L. non poteva, infatti, collegare le difficoltà di C. a muoversi liberamente a (OMISSIS) (in quanto i carabinieri erano a conoscenza del suo arrivo in questa città) con la ricerca dei Bruzzise, in quanto costoro all’epoca vivevano a (OMISSIS), e per questo G.G. aveva ritenuto che potessero costituire un pericolo per C. che viveva a (OMISSIS).

Quando il Tribunale del Riesame aveva riassunto il colloquio del 28.7.2007, nel quale Ca. aveva informato l’amico b. che C. si era incontrato con personaggi della zona della costa jonica calabrese, aveva omesso di chiarire che Ca. si stava riferendo ad amici di G.C. che, insieme ad altre 700 persone, erano venute a (OMISSIS) per assistere alla rappresentazione teatrale del romanzo di G.C. "La corsa di moncicì".

L’intercettazione del 28.4.2008 di un colloquio tra G. G. e i suoi figli non dimostrava, come ritenuto dal Tribunale del Riesame, l’interesse di C. per la gestione illecita degli affari di famiglia, ma esattamente il contrario. Al sospetto di G. che C. avesse intenzione di "mollare tutto", il figlio A. aveva sì detto "no, non molla", ma subito dopo aveva aggiunto "poi che ne so, se molla tutto … se non ha la testa lui … io non ho parlato con lui, che ne so io".

Dal colloquio comunque risultava che, fino a quel momento, non c’era alcun elemento che facesse pensare alla famiglia che C. avesse intenzione di occuparsi degli affari della cosca, e il disinteresse di C. era diventato oggetto di conversazione poichè era stato appena arrestato R.. Con un quarto motivo il ricorrente ha criticato la motivazione dell’ordinanza impugnata con riguardo alla condotta tenuta da G.C. in relazione al reato associativo e con riguardo alle esigenze cautelari.

Era immotivato e illogico che il ricorrente avesse utilizzato come un callido espediente il cambiamento di vita a (OMISSIS) per poter meglio curare gli affari della cosca a (OMISSIS).

Le dichiarazioni di Ma. erano fantasiose e lo stesso non aveva avuto che poche ore per stare insieme al ricorrente in carcere.

Comunque le sue parole non potevano valere più di quelle dei testi della difesa, persone di indiscussa moralità, che avevano reso dichiarazioni convinte sulla scelta di una nuova vita fatte dal ricorrente, dopo la sua scarcerazione. Con motivi aggiunti il difensore di G.C. ha approfondito alcuni punti già trattati nel ricorso, in particolare sulla istanza di revisione del processo a carico di G.G.; sui partecipanti alla faida che si era svolta tra i Bruzzise e gli Sgrò-Sciglitano dal (OMISSIS); sulle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Ma.Vi.; sulle condotte del ricorrente nel periodo successivo alla sua scarcerazione; sulla conversazione dei fratelli O. a proposito dell’omicidio di F.M., essendo tra l’altro risultato che i suddetti fratelli erano entrambi detenuti nel periodo in cui il predetto era stato ucciso.

Anche il ricorrente ha presentato personalmente una memoria, rivendicando di aver cambiato totalmente vita ancor prima di essere scarcerato.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Si deve premettere che nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del procedimento indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2 e siano state coerentemente applicate le regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori (V. sez. 1 sent. 42993 del 25.9.2008, Rv. 241826).

Spetta, quindi, a questa Corte la verifica sulla correttezza logico giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni sostenute nonchè delle massime di esperienza adottate per qualificare un dato fatto come indizio, il quale per essere considerato tale deve avere i requisiti della precisione e della gravità, cioè deve essere pertinente al thema probandum ed avere capacità di dimostrare in modo inferenziale il fatto a cui si riferisce.

Questa Corte ha sempre ribadito che non possono costituire indizi, perchè privi del requisito della gravita nel collegamento con il fatto da dedurre, le ipotesi, le supposizioni, i sospetti e le congetture.

Fermo restando che sussiste la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dal giudice di merito, è però consentito dedurre davanti a questa Corte il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una errata o parziale lettura dei risultati di una prova, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano (V. sez. 5 sent. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215).

Nell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria relativa a G.C. sono stati posti alla base della decisione indizi che all’evidenza difettano del requisito della gravita e travisamenti della prova risultanti dallo stesso testo dell’ordinanza impugnata, mentre non sono stati considerati o è stato dato un significato logicamente inaccettabile ad altri elementi a favore del predetto che pure emergono dal contesto della motivazione della stessa ordinanza, di tal che risulta insussistente il grave quadro indiziario che è il presupposto per l’emissione di un’ordinanza cautelare.

Non può costituire un grave indizio di reità il legame familiare e il precedente coinvolgimento nelle attività della cosca, quando queste risultano accertate solo rispetto ad un periodo molto risalente nel tempo e, tra le predette attività e il presunto reinserimento nella cosca, vi è stato un lungo periodo di carcerazione (dal 14.4.2000 al 28.3.2007), durante il quale G. C. ha dato significativi segnali di voler modificare il precedente stile di vita. I suddetti segnali hanno avuto una chiara conferma della volontà del G. di voler aderire dopo la scarcerazione a un diverso modello comportamentale, nella fissazione della propria residenza a (OMISSIS), lontano da (OMISSIS) e dalle attività della cosca; e pare solo frutto di sospetto la considerazione del Tribunale del Riesame che la scelta di risiedere a Brescia poteva rispondere ad esigenze latamente criminali, in quanto tratta da un colloquio fra Ci.An. e Ce.Gi., i quali sul punto potevano fare solo congetture o ipotesi, in quanto il citato colloquio si è svolto il 21.3.2007, prima della scarcerazione di G.C. (avvenuta il 28.3.2007).

Non può darsi alcun significato accusatorio al colloquio telefonico con la madre del 31.3.2007, perchè risulta chiaramente dal tenore dello stesso colloquio, riportato nella motivazione dell’ordinanza, che G., appena uscito dal carcere, stava solo rassicurando la madre che avrebbe trovato il modo di farle visita. Non è logicamente accettabile trarre dal contenuto di questo colloquio elementi di prova circa la volontà del predetto di riprendere i contatti con il territorio e con la cosca della quale aveva fatto parte.

Neppure possono assumere valenza accusatoria i riportati colloqui tra familiari del ricorrente – dai quali si evince una forte aspettativa da parte della famiglia che G., una volta scarcerato, avrebbe potuto prendere le redini delle attività della cosca, all’epoca senza un’adeguata direzione – poichè dalla motivazione della stessa ordinanza risulta che non è stato attuato il piano, risultante dal colloquio in data 19.1.2007, di far costituire G.R. e mettere a capo della cosca il fratello C. e che questi non ha accettato di lasciare i suoi nuovi interessi che coltivava in quel di (OMISSIS). Dal colloquio del 30.11.2006 risulta evidente che G. G. conta sul ricorrente per ottenere la revisione del processo nel quale gli era stata inflitta la pena dell’ergastolo che stava scontando, ma nell’ordinanza impugnata, pur considerando detto colloquio un elemento di prova a carico del ricorrente, nulla si dice di quanto avrebbe fatto G.C. per far ottenere al fratello la revisione del processo, senza considerare che – seconda la difesa – neppure sarebbe mai stata presentata una domanda di revisione in favore di G.G..

Che il suddetto piano di cui al colloquio del 19.1.2007 non sia stato attuato, e che quindi G.C. non abbia preso dopo la sua scarcerazione la direzione della cosca, si evince anche dall’ultimo colloquio intercettato e riportato nell’ordinanza impugnata (colloquio del 23.4.2008, pochi giorni dopo l’arresto di G. R., tra G.G., G.M.A., G. A. e S.C.), dal quale risulta che G. G. – che era il principale esponente della cosca e che seguiva dal carcere tutte le attività della stessa – a distanza di oltre un anno dalla scarcerazione di G.C. chiedeva ancora che intenzioni avesse lo stesso, se fosse disposto a seguire gli affari della famiglia o fosse intenzionato a "mollare tutto", facendo perdere alla famiglia la posizione e i guadagni che la stessa aveva conquistato negli anni. Privi di gravita indiziaria appaiono anche i riportati colloqui del giugno-luglio 2007, dai quali il Tribunale del Riesame ha tratto il convincimento che G.C., dopo essere stato avvertito che esponenti dei Bruzzise stavano per compiere un attentato nei suoi confronti, si sarebbe recato a (OMISSIS) per concordare con il fratello R. e con i cugini F. e Mo.Sa. una anticipata reazione nei confronti dei Bruzzise.

Dai riportati colloqui risulta chiaro che G.G. aveva fatto avvertire il ricorrente del pericolo che correva restando a (OMISSIS), stante la possibilità di essere raggiunto dai Bruzzise, alcuni dei quali, tra l’altro, dalla (OMISSIS) si erano trasferiti a (OMISSIS). Appare, invece, dalla stessa motivazione dell’ordinanza come una mera ipotesi che G.C. abbia incontrato il fratello R. e i cugini Mo. per organizzare una reazione preventiva nei confronti dei Bruzzise, reazione che peraltro non risulta esserci mai stata e che sarebbe stata organizzata nonostante fosse ormai cessata la faida che si era riaccesa negli anni 2004- 2006.

Neppure agli incontri del ricorrente con Ca.Pa. e ai contenuti delle conversazioni intercettate tra quest’ultimo ed altre persone può essere attribuita valenza di grave indizio di un qualsiasi coinvolgimento di G.C. nelle attività criminali della cosca, poichè nè dagli incontri nè dalle suddette conversazioni si può desumere un qualsivoglia elemento logicamente dimostrativo della partecipazione del ricorrente alle attività della cosca.

Anche l’accusa di aver commesso l’omicidio di F.M. non è sostenuta da elementi di prova che, alla luce della logica, possano essere definiti gravi indizi di reità.

Assai fragile appare l’individuazione del movente nella vendetta per l’omicidio di Ga.Al., avvenuto diciannove anni prima, poichè basata unicamente sulla congettura che, non essendovi stata dopo l’omicidio di F. una ripresa della faida con i Condello- Bruzzise, detto omicidio non poteva che essere l’ultimo atto di un regolamento dei conti tra i due gruppi contrapposti. La motivazione dell’ordinanza non supera la facile obiezione che l’omicidio di Ga.Al. era avvenuto all’inizio della faida (protrattasi dal (OMISSIS)), e quindi non si comprende la ragione perchè i G. avrebbero dovuto attendere ben diciannove anni, quando la faida era terminata da quasi otto anni, per vendicare Ga.

A..

Rende ancora meno plausibile il detto movente il fatto che da elementi risultanti dalla stessa ordinanza impugnata – quali il manoscritto sequestrato il (OMISSIS) nell’abitazione di D. M. e Ca.Do. – si evinceva che l’omicidio di F. poteva avere avuto altre causali, immotivatamente ritenute meno attendibili.

I colloqui intercettati in carcere nel gennaio 2007 e il colloquio tra O.F. e G.D. del 3.4.2007, i contenuti dei quali sono stati riportati nella parte espositiva della presente sentenza, non contengono alcun elemento specifico a carico di G.C., potendosi trarre dagli stessi solo spunti per attribuire genericamente alla cosca dei G. l’omicidio di F.M..

Anche dalle dichiarazioni di Ma.Co., così come riportate nell’ordinanza impugnata, rese nell’immediatezza dei fatti, non emerge alcun elemento specifico a carico del ricorrente.

L’accusa, per quello che risulta dall’ordinanza impugnata, si basa tutta, in definitiva, sul colloquio in carcere tra i fratelli O. del 3.4.2007, durante il quale R. ha parlato a F. dell’omicidio in questione, rivelandogli che F. era stato ucciso da C., mentre si stava recando dalla Ma.

C., e che era stato G. a mettere al corrente C. delle abitudini della vittima.

Anche accettando l’interpretazione del Tribunale del Riesame – contestata dalla difesa, che il C. e il G. a cui si è riferito O.R. debbano essere identificati rispettivamente in G.C. e S.G., il colloquio di cui trattasi non può essere un elemento sufficiente a rappresentare il grave quadro indiziario richiesto dalla legge per emettere la misura cautelare, poichè non risulta essere stata compiuta alcuna verifica per appurare se effettivamente O.R. ebbe ad apprendere le notizie comunicate a suo fratello da S.G., indicato come collaboratore di giustizia, nei confronti del quale, peraltro, il GIP del Tribunale di Reggio Calabria non ha ritenuto che vi fossero elementi sufficienti per emettere la misura cautelare in ordine all’omicidio in questione, con evidente ricaduta sulla solidità logica della costruzione d’accusa.

Inoltre, appaiono fondate, dal punto di vista logico, le critiche mosse dalla difesa di G.C. alla affidabilità dei contenuti del colloquio suddetto: – dopo dieci anni dal fatto, erano di dominio pubblico le circostanze in cui era avvenuto l’omicidio di F.M., ed intorno ad esso erano circolate molte voci e le più svariate ipotesi, come si desume anche dal contenuto della ordinanza impugnata;

-non depone a favore della attendibilità della fonte o delle fonti dalle quali aveva appreso le notizie comunicate in carcere al fratello F., il fatto che R. abbia riferito un particolare smentito dalle risultanze, e cioè che F. era stato ucciso mentre stava andando a trovare la M.C., mentre è pacifico che è stato ucciso dopo essere uscito dalla casa della predetta; – è alquanto illogico che G.C., che era di (OMISSIS) come era di (OMISSIS) anche F.M., abbia avuto bisogno della collaborazione di S.G., che viveva in altra località ((OMISSIS)), per conoscere le abitudini e sorprendere in (OMISSIS) il F.;

-i fratelli O. erano entrambi detenuti nel periodo in cui era avvenuto l’omicidio e non è chiaro in quali circostanze R. ha appreso le notizie che poi ha rivelato al fratello, nè si comprende la ragione per la quale avrebbe atteso tanto tempo per comunicare le notizie in questione al fratello F..

Pertanto, in difetto di un grave quadro indiziario a carico di G.C. sia in relazione all’accusa di aver commesso, dopo la scarcerazione del 28.3.2007, il delitto associativo contestatogli, sia di essere l’autore dell’omicidio di F.M., l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, come concordemente hanno chiesto la Procura generale della Repubblica presso questa Corte e la difesa, e conseguentemente deve essere annullata anche l’ordinanza del GIP di Reggio Calabria in data 25 maggio 2010 che ha disposto la custodia in carcere in ordine ai suddetti delitti.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e l’ordinanza del GIP del Tribunale di Reggio Calabria in data 25.5.2010.

Dispone l’immediata liberazione del ricorrente G.C., se non detenuto per altra causa.

Manda alla Cancelleria per l’immediata comunicazione ai sensi dell’art. 626 c.p.p. al Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte perchè dia i provvedimenti occorrenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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