Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-02-2011) 10-05-2011, n. 18334 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 14/4/10 il Tribunale di Sorveglianza di Potenza rigettava il reclamo proposto da C.G. avverso il decreto 29/5/09 del Magistrato di Sorveglianza che dichiarava l’inammissibilità della sua istanza di permesso-premio. Il Tribunale, premesso che avverso il decreto del giudice monocratico il C. (in espiazione di cumulo di pena di anni 17, mesi 10 e gg.

12 di reclusione per i reati di furto aggravato, associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione continuata ed aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7, sequestro di persona, rapina e violazione della legge sulle armi) aveva proposto ricorso per cassazione "per saltum" che la S.C. aveva qualificato come reclamo rimettendo ad esso gli atti, ribadiva (nonostante il detenuto vantasse nove permessi premio tutti fruiti con esito positivo e si dolesse dell’ingiusta regressione trattamentale per un diritto i cui presupposti erano già stati riconosciuti) che il C., detenuto non collaboratore dal 16/3/99, non aveva espiato per intero la pena per i reati ostativi (anni 15 e mesi 7) nè il previsto minimo di pena di un quarto per i reati comuni.

Ricorreva per cassazione con atto a sua firma il C.. Premesso di avere già fruito senza demerito di permessi premio ex art. 30 ter op, deduceva violazione di legge penale sostanziale e processuale e vizio di motivazione: 1) contraddiceva al principio di umanizzazione della pena il criterio adottato dal Tribunale di ritenere applicabili al suo caso le restrizioni apportate all’art. 30-ter op dal D.L. n. 306 del 1992; 2) violava l’art. 4 bis op nella parte in cui non considerava che tra i reati delle uniche due condanne in espiazione vi fosse un vincolo continuativo con conseguente, ipotizzarle riduzione di pena (già condonati anni due e mesi tre) e come, in ogni caso, il rifiuto del permesso costituisse un’involuzione rispetto ai nove precedentemente fruiti senza demerito e all’intrapreso programma di risocializzazione, di talchè chiedeva allo stesso collegio adito di indicare le norme di comportamento, eventualmente dovute, che si impegnava a rispettare; 3) violava il principio del "ne bis in idem" una volta che, a situazione invariata, riteneva non sussistere le condizioni già riconosciute per la concessione del beneficio. Allegava tra l’altro copia della più recente relazione di sintesi (del 2/2/10) dell’osservazione e del trattamento che lo riguardavano. Con motivi a sostegno il difensore del detenuto insisteva nel, ricorso, riproponendo le già proposte doglianze per violazione di legge (osservava,, nello specifico, come i precedenti permessi riguardassero un centro missionario della stessa città di Melfi ove era ristretto il C. e non, ad esempio, quella di Catania di cui il C. era originario e per la quale avrebbero potuto ravvisarsi delle controindicazioni). Nel suo parere scritto il PG presso la S.C. chiedeva il rigetto del ricorso, ritenendone l’infondatezza.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Il provvedimento impugnato non merita alcuna censura, avendo solo ripristinato, con motivazione puntuale e completa, la corretta interpretazione della norma.

Deve infatti prendersi atto che i precedenti permessi, anche se ripetuti e numerosi, furono concessi sulla base di una diversa ed errata valutazione dei profili normativi di ammissibilità dei benefici penitenziari e segnatamente dei permessi premio: nello specifico, i reati per i quali il condannato è in espiazione di pena sono pacificamente ostativi, non essendo stati commessi prima dell’inasprimento normativo del 1992 (per i quali il detenuto fosse già in avviata se non addirittura avanzata fase trattamentale, giusta la giurisprudenza costituzionale ricordata nel provvedimento impugnato), ma successivamente ad esso. Nessuna regressione per il C., pertanto, nel trattamento penitenziario e nessuna violazione dei principi di diritto lamentati dal ricorrente, ma solo la corretta applicazione della normativa in precedenza erroneamente disattesa. E’ appena il caso di osservare, infine, come si violi il principio del ne bis in idem quando di riprenda in esame (eventualmente disponendosi in modo deteriore) su uno stesso caso già deciso e non quando si corregga, esaminando un caso nuovo, un errore di diritto commesso in casi precedenti.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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