Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 10-05-2011, n. 18287

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 24.11.2009 la Corte d’Appello di Bologna confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Bologna che, all’esito del giudizio abbreviato, in data 4.12.2008 aveva condannato in concorso M.M. e F.H., alle pene ritenute di giustizia, per sequestro di persona, lesioni personali e tentata rapina in danno dell’Agente di Polizia Penitenziaria D.M.L. e per resistenza e lesioni in danno dell’Agente di Polizia Penitenziaria S.S. con la recidiva ex art. 99 c.p., comma 4 per entrambi.

Riteneva la Corte territoriale che correttamente il giudice di primo grado aveva ritenuto la sussistenza del reato di sequestro di persona, sottolineando che l’azione posta in essere dai due imputati, seppure finalizzata al successivo tentativo di rapina, aveva avuto una sua autonomia temporale e funzionale. Così come correttamente aveva ritenuto la responsabilità concorsuale, in quanto entrambi, con il proprio comportamento, avevano contribuito alla privazione della libertà della vittima. Allo stesso modo concordava con il primo giudice in ordine alla responsabilità di entrambi, a titolo di concorso, con riguardo alle lesioni subite dall’Agente D.M. sulla scorta delle testimonianze assunte, in ordine al tentativo di rapina affermava che giustamente il primo giudice aveva posto l’accento sul valore simbolico, ma anche effettivo che, all’interno della sezione di un istituto di pena, avevano le chiavi delle celle.

Considerava condivisibile il governo delle circostanze operate dal GUP e l’applicazione della recidiva, pur non obbligatoria, tenuto conto della gravità del fatto, commesso da detenuti in espiazione pena in danno del personale di custodia.

Ricorre per Cassazione il difensore di F.H. deducendo che la sentenza impugnata:

1. è affetta da illogicità/carenza della motivazione con riguardo alla mancata assoluzione del F. in ordine al reato di concorso in sequestro di persona. Lamenta che non vi è stata una totale privazione della libertà;

2. è affetta da illogicità/carenza di motivazione con riguardo alla mancata assoluzione dell’imputato dal reato di lesioni in danno dell’Agente D.M.. Sostiene che la Corte ha travisato le prove considerato che non vi sono elementi per affermare una diretta partecipazione del F. e comunque non sussiste l’aggravante in quanto, diversamente da quanto indicato dal giudice d’appello, un pezzo di forbici non può essere considerato oggetto atto ad offendere.

3. è affetta da illogicità/carenza della motivazione con riguardo alla mancata assoluzione del F. in ordine al reato di concorso in tentativo di rapina sottolineando l’assenza di valenza economica del bene;

4. è affetta da carenza della motivazione con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche;

5. lamenta una pena eccessiva.

I motivi avanzati dalla difese dell’imputato sono inammissibili in quanto generici e comunque versati in fatto.

I motivi riproducono infatti pedissequamente le censure avanzate in sede di appello. E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcuna censura specifica alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in argomento, che ha fornito una risposta specifica ai motivi di gravame la ripresentazione della stessa doglianza come motivo di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello Deve aggiungersi che le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata che appare congruamente e coerentemente motivata con riguardo alla responsabilità dell’imputato, a titolo di concorso, nei fatti in argomento.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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