T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento Sez. Unica, Sent., 11-05-2011, n. 139 Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con concessione di edificare n. 565/2003/C, di data 19.11.2003, il Comune di Pergine Valsugana ha autorizzato la società M.P.C. a realizzare un complesso residenziale sulle pp.ff. 597/2 e 596 e sulla p.ed. 291 nel C.C. Ischia.

La costruzione prevedeva due edifici, ciascuno composto da tre corpi, in ognuno dei quali era stata prevista la realizzazione di due appartamenti, uno al piano terra ed uno al primo piano, per un totale di dodici appartamenti. Era stata altresì prevista la realizzazione di un sottotetto ad uso soffitta con altezza pari a 2,30 m. al colmo e, quale media ponderale, inferiore a 2.20 m.

2. La società costruttrice, con una prima concessione in variante datata 5.11.2004, n. 618/2004/A, ha ottenuto l’autorizzazione ad eseguire una serie di lavori fra i quali, ai fini di causa, rileva la realizzazione di una scala di accesso alla soffitta nelle sei unità situate al primo piano; la posa in opera di finestre velux nel livello sottotetto e il rialzo del tetto fino a 2,50 m. al colmo ed a 1,00 m. al lato.

Con una seconda concessione in variante datata 18.5.2005, il Comune ha autorizzato la posa in opere di tramezze nel sottotetto dell’appartamento situato al primo piano del corpo centrale dell’edificio nord, nonché la realizzazione di un bagno, di una stanza e di un corridoio, così realizzando un totale di 748,70 mq. di superficie utile lorda rispetto ai consentiti 752,46 mq.

3. Con denuncia di inizio attività – variante in corso d’opera, depositata in Comune in data 28.11.2005, la stessa società M.P. ha comunicato l’esecuzione dei lavori di separazione in due distinte unità di un appartamento situato su due piani, così realizzando un appartamento al piano terra (p.m. 1) ed uno al primo piano (p.m. 4, nel quale era altresì previsto lo spostamento di alcune pareti, la tramezzatura del sottotetto e lo spostamento delle finestre velux), nonché la realizzazione dei lavori di tramezzatura di tutti gli altri cinque sottotetti.

4. Con nota di data 18.1.2010 l’Amministrazione comunale ha comunicato alla Società ricorrente l’avvio del procedimento di annullamento della menzionata denuncia di inizio attività, sul rilievo che era stata realizzata un nuova unità immobiliare. Con provvedimento di data 18.3.2010 l’Amministrazione comunale ha quindi annullato il titolo abilitativo asseritamente derivante dalla più volte citata denuncia di inizio attività presentata per lavori soggetti alla disciplina delle varianti in corso d’opera, segnalando al contempo che l’intervento contestato sarebbe stato soggetto a concessione edilizia.

5. Successivamente, l’Amministrazione comunale ha disposto una serie di sopralluoghi presso le nuove unità abitative siffattamente realizzate e, con ingiunzione di data 29.6.2010, esattamente citata in epigrafe, ha contestato il cambio di destinazione d’uso dei locali situati al piano sottotetto della p.m. 6 i quali, previsti nel titolo abilitativo con destinazione a soffitta, sarebbero invece stati destinati a funzioni abitative, ed ha dunque ordinato la riduzione in pristino da eseguirsi nel termine di novanta giorni dalla data di notificazione dell’ingiunzione. Detta ingiunzione è stata notificata all’impresa titolare della concessione edilizia, al direttore dei lavori e alla società esecutrice degli stessi, nonché agli attuali proprietari dell’appartamento.

6. Con ricorso notificato in data 14 ottobre 2010 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo giorno 3 novembre, il direttore dei lavori arch. C. e la società P., esecutrice degli stessi, hanno impugnato la menzionata ingiunzione deducendo il seguente articolato motivo di diritto:

– "violazione e/o falsa applicazione degli artt. 86, 83, 121 e 122 della l.p. 5.9.1991, n. 22; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4, 55, 56 e 58 delle norme di attuazione del P.R.G. di Pergine Valsugana; violazione dell’art. 24 del regolamento edilizio; eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto di istruttoria, difetto e contraddittorietà della motivazione". Posto che l’annullamento della denuncia di inizio attività non avrebbe riguardato gli interventi eseguiti nella p.m. 6, si assume che l’ordinanza sarebbe illegittima in quanto le opere oggetto del provvedimento sarebbero state debitamente autorizzate. In ogni caso, gli interventi edilizi eseguiti nel sottotetto non inciderebbero né sul numero dei piani né sull’altezza e pertanto non vi sarebbe alcun aumento della Sul dell’edificio, mentre, da altro lato, l’art. 24 del regolamento edilizio comunale consentirebbe di ricavare nei sottotetti ripostigli, servizi igienici, guardaroba e quindi locali accessori dell’abitazione principale. Si deduce anche che l’Amministrazione non avrebbe ritenuto responsabili dell’abuso gli attuali proprietari, che sarebbero invece i responsabili della concreta utilizzazione del sottotetto con finalità abitative. Infine, si denuncia che la normativa provinciale citata consentirebbe l’utilizzo della D.I.A. per variazioni di lieve entità che non modifichino la destinazione d’uso "nonché" il numero delle singole unità abitative: da ciò si conclude affermando che i due requisiti sarebbero concorrenti e non alternativi, come confermato anche dall’art. 107 della novella l.p. n. 1 del 2008, il quale ha sostituito la locuzione "nonché" con la congiunzione "e".

7. Nei termini di legge si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato.

8. Si sono costituiti in giudizio i controinteressati proprietari della p.m. 6, i quali hanno chiesto che sia accolto il ricorso con l’eccezione della parte in cui è stata dedotta la corresponsabilità di essi nella commissione dell’abuso, della quale hanno pertanto chiesto la reiezione.

9. In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno presentato memorie illustrative delle rispettive posizioni.

10. Alla pubblica udienza del giorno 21 aprile 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente all’esame del merito, il Collegio osserva che l’intervento dispiegato in data 22.12.2010 dai proprietari sig.ri A.R. e M.R. dell’unità immobiliare identificata come p.m. 6, oggetto dell’ordinanza di riduzione in pristino impugnata, è ammissibile trattandosi di soggetti non direttamente destinatari di essa ed ai quali l’Amministrazione – dopo il contraddittorio procedimentale – ha espressamente "non addebitato alcuna responsabilità circa le violazioni riscontrate" (cfr., ingiunzione di riduzione in pristino del 29.6.2010). È poi pacifico che essi, ai quali è stato notificato il ricorso per motivi aggiunti, per il solo fatto di essere stati in tal modo evocati hanno acquistato la qualità di parte nel processo, per cui è regolare la loro costituzione in giudizio con semplice memoria, a differenza degli interventori in senso proprio.

2. Con il presente ricorso è stata impugnata l’ingiunzione di rimessa in pristino emessa dal Comune di Pergine Valsugana per il cambio di destinazione d’uso con opere del piano sottotetto della p.m. 6, un appartamento con annessa soffitta sito al primo piano dell’edificio individuato con la p.ed. 291 in località Ischia.

È doveroso a questo proposito precisare che, all’esito di un sopralluogo eseguito dal personale del Comune di Pergine Valsugana in data 4.2.2010, è stata riscontrata nei locali ricavati nel sottotetto di detto appartamento il "cambio della destinazione d’uso con opere", in quanto risultava in essere: "l’articolazione in locali; la presenza di impianto elettrico completo di punti luce e prese, impianto di riscaldamento con termosifoni e termostato di regolazione, pavimentazione in legno, intonacatura e tinteggiatura a civile, bagno piastrellato a pavimento ed in parete con impianto idricosanitario munito di scarichi fognari e porcellane, è inoltre presente mobilio per camere, arredi e suppellettili" (cfr., verbale di sopralluogo con allegata documentazione fotografica, doc. n. 2 in atti dell’Amministrazione).

Dall’unitaria considerazione degli elementi essenziali realizzati (gli impianti elettrici, di riscaldamento e sanitari), di quelli secondari di finitura (pavimentazione in legno, intonaco e tinteggiatura) e di quelli di arredo, l’Amministrazione comunale ha dunque contestato ai ricorrenti di aver modificato la destinazione d’uso di detti spazi, "non già a soffitta (così come concessionata) ma con funzione abitativa in senso stretto… essendo stati realizzati quegli interventi fondamentali e condizionanti le esigenze della residenzialità".

3a. Con la prima parte dell’articolato motivo con il quale i ricorrenti deducono l’illegittimità, sotto diversi profili, dell’ingiunzione di riduzione in pristino, si afferma che le opere contestate dall’Amministrazione sarebbero legittimate dalla denuncia di inizio attività presentata dall’impresa costruttrice in data in data 28.11.2005 per i lavori di variante in corso d’opera connessi alla concessione edilizia n. 565/2003/C, del 19.11.2003, e alle due sue successive varianti del 2004 e del 2005. Denuncia di inizio attività che, con riferimento alle sole opere eseguite nella p.m. 6, non sarebbe stata successivamente annullata dall’Amministrazione e, dunque, il riferimento all’atto di annullamento parziale contenuto nell’ordinanza sarebbe erroneo.

È vero che – come appurato con la sentenza emessa da questo Tribunale in occasione dell’esame del ric. n.r. 109 del 2010 – la realizzazione di pareti divisorie nel livello sottotetto con il contestuale spostamento di alcune finestre velux (come denunciato con la menzionata D.I.A. del novembre 2005, la quale non faceva riferimento ad opere di impiantistica e di finitura a fini abitativi dei locali così ricavati, per i quali era invece mantenuta la destinazione come sottotetto), appare compatibile con la prevista, legittima e confermata destinazione di esso a soffitta, ciò nondimeno l’argomentare è eccentrico rispetto ai fatti di causa.

E" infatti palese che l’impugnata ingiunzione di rimessa in pristino non è, né poteva essere, consequenziale al provvedimento del 18 marzo 2010 che ha annullato in via amministrativa la menzionata denuncia di inizio attività. All’opposto, essa è direttamente consequenziale al citato sopralluogo che ha accertato che la soffitta è stata invece destinata ad ordinarie funzioni residenziali, così trasformando uno spazio accessorio in una struttura abitativa sovrastante l’appartamento principale, con il quale è collegata e, concretamente, raddoppiando lo spazio abitativo concessionato.

4a. Con altra parte del motivo i ricorrenti sostengono che gli interventi contestati sarebbero conformi alle norme di attuazione del P.R.G., essendo stati rispettati tutti i parametri stereometrici ivi previsti – si conferma, a tale riguardo, che il livello sottoetto mantiene un’altezza media ponderale inferiore a 2,20 m. nel rispetto dell’art. 4 della n.t.a. – nonché all’art. 24 del regolamento edilizio comunale che autorizzerebbe la fruizione residenziale non permanente dei locali accessori dell’abitazione principale.

4b. Il motivo è privo di pregio giuridico.

Deve essere innanzitutto premesso che il vigente piano regolatore generale del Comune di Pergine Valsugana, al dichiarato fine di "migliorare la fruizione degli spazi, la progettualità e l’architettura", prevede che l’altezza dei fabbricati sia determinata in "numero dei piani abitabili" anziché "in metri lineari". Con la stessa finalità il piano regolatore indica "l’indice di utilizzo" di un fabbricato, ossia la "superficie utile lorda ammissibile (Sul)", anziché il "volume massimo edificabile". Ciò dovrebbe consentire, fra altro, una maggiore flessibilità nell’altezza dei fabbricati ed evitare il ricorso ad "artifici particolari per rendere abitabile il sottotetto": in tal modo, l’ultimo piano abitabile può essere realizzato con un "piano mansardato sotto la copertura" o "con un piano a tutta altezza e soffitta non abitabile" (cfr., relazione illustrativa al P.R.G.).

Sulla base di tali finalità ed in ossequio ai predetti criteri, le norme tecniche di attuazione del P.R.G. stabiliscono che:

– nel computo del numero massimo dei piani di un edificio non viene conteggiato il livello sottotetto ove esso presenti un’altezza media ponderale inferiore a m. 2,20 (cfr., art. 4, comma 5.3, letto in combinato disposto con il comma 7.3 dello stesso art. 4 delle n.t.a.);

– i sottotetti con un’altezza media ponderale misurata sull’intero livello, al netto delle murature perimetrali e dell’orditura secondaria del tetto, inferiore a m. 2,20 sono esclusi dal calcolo della superficie utile lorda dell’edificio (cfr., art. 4, comma 2.5, delle n.t.a.).

A sua volta, il regolamento edilizio comunale dispone, all’art. 1, che per l’applicazione delle norme in esso contenute si assumono le definizioni e i metodi di misurazione contenuti nelle n.t.a. (comma 2) e che le tipologie degli interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia sono definite nelle stesse n.t.a. (comma 3). L’art. 24, rubricato "dimensioni minime dei locali e delle aperture", applicabile a tutte le tipologie di sottotetti esistenti nel territorio comunale, stabilisce (invero con una formulazione non immediatamente intelligibile) le condizioni necessarie, di natura igienicosanitaria e di abitabilità, per l’utilizzo dei sottotetti, ossia i requisiti in base ai quali i locali situati nei sottotetti possono essere considerati "abitabili". Specificatamente, i commi 4 e 5 – che devono essere letti nella loro interrelazione per il richiamo ai "sottotetti di cui al punto 4" contenuto nel secondo di essi – stabiliscono che un sottotetto possa essere abitato quando i locali con soffitto inclinato (mansarda) presentano un’altezza media ponderale uguale o maggiore a 2,20 m., e che la stessa deve essere misurata sull’intero piano, al netto delle murature perimetrali e dell’orditura secondaria del tetto, e che tale misura va riferita almeno alla superficie minima dei locali di cui al punto 2 (8 mq. per vani abitabili e cucine). In altri termini, una volta verificata la sussistenza dell’altezza media ponderale (uguale o maggiore a 2,20 m.) sull’intera superficie del sottotetto, tale misura costituisce a sua volta parametro di calcolo dell’altezza media ponderale dei locali abitabili, che non potrà essere inferiore a 2,20 m.

Per gli ambienti non destinati ad abitazione permanente, quali "servizi igienici, corridoi e disbrighi", l’altezza media ponderale non deve essere inferiore a 1,90 m., misurata con analoghe modalità (sull’intero piano, al netto delle murature perimetrali e dell’orditura secondaria del tetto, e riferita almeno alla superficie minima dei servizi igienici e alla larghezza minima dei corridoi e dei disbrighi).

Infine, il comma 6 dell’art. 24 in esame dispone che per gli ambienti dei sottotetti destinati a soffitta, ripostiglio, guardaroba e simili, non è richiesto il rispetto dell’altezza media ponderale minima (pari a 1,90 m.).

In base alle riportate n.t.a. solo i sottotetti con altezza media ponderale uguale o superiore a 2,20 m. costituiscono pertanto un "piano" sfruttabile ad uso abitativo, mentre quelli con un altezza minore concessionati in applicazione della suddetta disciplina non costituiscono né piano né superficie utile lorda. In questi casi, il livello sotto il tetto può essere destinato soltanto a soffitta, ripostiglio, guardaroba, ai sensi del ricordato comma 6 dell’art. 24 del regolamento edilizio comunale.

Dalla piana applicazione delle norme edilizie locali sopra riportate consegue, in definitiva, che se l’altezza media ponderale, misurata sull’intera superficie, è inferiore a 2,20 m. il livello sottotetto non può essere reso abitabile.

4c. Tornando ai fatti di causa, risulta che la concessione di edificare n. 565/2003/C, del 19.11.2003, è stata rilasciata alla Società concessionaria in applicazione della normativa sopra riportata ed ha autorizzato la costruzione dei due edifici, composti da due piani fuori terra e con un ulteriore livello sovrastante, destinato a soffitta e di altezza media ponderale inferiore a 2,20 m., il quale, di conseguenza, non è stato computato né come piano né come Sul. Che l’altezza media ponderale del livello sottotetto sia attualmente inferiore a 2.20 m., anche dopo gli interventi di rialzo della copertura eseguiti con le menzionate varianti in corso d’opera, non è contestato fra le parti ed è stato inoltre espressamente ribadito in ricorso (cfr., pag. 7).

Che nelle fattispecie in esame si sia in presenza di una modificazione della destinazione d’uso del sottotetto è indubbio, dato che la fruizione dei nuovi locali da destinare ad abitazione deve comunque essere valutata non secondo le intenzioni dei richiedenti, ma in base alla loro destinazione oggettiva (cfr., in termini, C.d.S., sez. V, 12.10.2000, n. 5428). In tal senso, le fotografie allegate al rapporto tecnico di sopralluogo sono altamente esplicative, essendosi riscontrata la presenza non solo di un bagno e di un guardaroba ma anche di una stanza da letto; il tutto, in locali completi di interventi e rifiniture civili che, obiettivamente, erano stati predisposti per una funzione tipologicamente diversa rispetto alla mera soffitta e chiaramente idonea ad una diversa destinazione ad uso abitativo.

Da ciò deriva che l’eseguita trasformazione della soffitta in una pertinenza abitativa sovrastante l’appartamento principale, con il quale è collegata, ha costituito un aumento del numero dei piani e della superficie utile lorda (Sul).

4d. A quanto sopra consegue anche che non può essere condiviso l’argomentare dei ricorrenti, ove sostengono che i responsabili dell’intervenuta modificazione della destinazione d’uso sarebbero gli acquirenti degli appartamenti che hanno provveduto ad arredarli e ad utilizzarli per finalità abitative

Questa parte del motivo è del tutto infondata, in quanto la presenza di mobili e suppellettili è mera conseguenza del già perpetrato abuso, di per sé idoneo, anche senza quegli interventi di semplice arredo mobile, ad integrare la fattispecie astratta della modifica della destinazione d’uso della soffitta.

È infatti pacifico agli atti di causa che, sebbene gli appartamenti siano stati venduti con il sottotetto formalmente destinato a soffitta, tutte le sostanziali e distinte finiture dei relativi locali al civile sono state realizzate dall’impresa costruttrice, che ha quindi consegnato agli acquirenti detti locali pronti per essere abitati.

Con ciò deve essere accolto l’intervento dei proprietari sig.ri Raineri e Rizzoli nella parte in cui ricusano la loro corresponsabilità, affermando di aver acquistato l’appartamento completo in ogni sua parte, comprensivo del piano sottotetto che presentava, al momento della consegna, tutte le caratteristiche per essere immediatamente adibito ad uso residenziale permanente, nonché di non aver effettuato, successivamente all’acquisto, interventi edili nel sottotetto.

5. In conclusione, è la mutata destinazione abitativa ad imprimere le caratteristiche edilizie della costruzione e non, come assumono i ricorrenti, l’altezza media ponderale che, in quanto inferiore a 2,20 m., consentirebbe la fruizione residenziale non permanente.

Una siffatta tesi è paradossale poiché parte dal presupposto (corretto) che il livello sottotetto che sta al di sotto dell’altezza media ponderale di 2,20 m. non costituisca né piano né Sul, per giungere alla conclusione (errata) che quindi vi si possano realizzare locali abitabili seppure non stabilmente. Detta tesi, infatti, non tiene conto del quadro complessivo delle sopra ricordate norme edilizie locali, in base alle quali altezza, piano e Sul rappresentano, congiuntamente tra loro e al contempo, presupposti ed indici rivelatori dell’abitabilità e del conseguente carico urbanistico.

Pertanto, se l’altezza media ponderale, misurata necessariamente sull’intera superficie, è inferiore a 2,20 m. il livello sottotetto non può essere reso abitabile. Ove ciò avvenisse in fatto, la trasformazione così (indebitamente) realizzata si risolverebbe in un incremento di carico urbanistico e necessiterebbe, in ogni caso, di concessione edilizia, previa dimostrazione della sussistenza degli indici urbanistico edilizi di cui al ricordato art. 4 delle n.t.a.

6a. Sotto un diverso profilo, i ricorrenti affermano che non sarebbe stato violato l’art. 86 della l.p. 5.9.1991, n. 22, in quanto esso consente di assoggettare a D.I.A. le variazioni di lieve entità "purché non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, nonché il loro numero". A detta degli interessati, pertanto, dovrebbero concorrere entrambi i requisiti: modificazione della destinazione d’uso e modifica del numero delle unità immobiliari. Nel caso di specie, invece, il numero delle unità immobiliari non è mutato e pertanto le norme di piano sarebbero state osservate.

6b. La riportata prospettazione non è affatto condivisibile.

L’art. 83 della stessa l.p. n. 22 del 1991 dispone che "sono soggetti a denuncia d’inizio di attività… le opere interne alle costruzioni che non comportino modificazioni della sagoma e dei prospetti della costruzione né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, che non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile e rispettino le originarie caratteristiche costruttive degli edifici".

Questa previsione va tuttavia raccordata, nel caso di specie, con il successivo articolo 86 della stessa legge provinciale, relativo alle varianti in corso d’opera, quali sono state quelle in esame. A tenore di quest’ultimo articolo "sono soggette a denuncia d’inizio di attività le variazioni di lieve entità apportate in corso d’opera al progetto assentito, purché siano conformi agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti… e purché non modifichino la destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, nonché il loro numero".

La norma prevede dunque una serie di presupposti e requisiti negativi alla possibilità di ricorso alla D.I.A. in alternativa fra loro, nel senso che basta anche la sola sussistenza di uno solo dei motivi ostativi indicati dal legislatore provinciale per impedire il legittimo formarsi dell’implicito titolo in base alla presentazione della denuncia di inizio attività, nonché per giustificare il successivo legittimo esercizio del potere di annullamento di quel titolo.

Opinando diversamente, come pretendono i ricorrenti, e ritenere che per attivare legittimamente il procedimento di repressione dell’abuso effettuato occorra la sussistenza contestuale di tutti i requisiti negativi voluti dal legislatore, significherebbe dilatare a dismisura un istituto ispirato, sì, a principi di liberalizzazione dell’attività edilizia, ma al fine di sollevare le amministrazioni locali da un peso procedimentale per attività edilizie di minima consistenza altrimenti insostenibile. Né va dimenticato che il procedimento semplificato della D.I.A. va ad incidere su interessi generali di rilevanza primaria ed è perciò sottoposto al permanente potere di vigilanza, controllo e repressivo dell’Autorità amministrativa.

Anche la parte del motivo relativa alla insussistenza dei presupposti per attivare la potestà repressiva nel caso di specie va pertanto respinta.

7a. Per un ulteriore ed ancora diverso profilo i ricorrenti denunciano difetto di istruttoria e di motivazione atteso che l’ingiunzione gravata non avrebbe comparato gli interessi dei destinatari con la sussistenza dell’interesse pubblico alla repressione dell’abuso, anche in relazione al tempo trascorso dalla realizzazione dell’edificio.

7b. Si rammenta, in termini generali, che la repressione degli abusi edilizi è un preciso obbligo dell’Amministrazione comunale la quale, a fronte dell’accertamento della violazione di norme edilizie, non gode di alcuna discrezionalità al riguardo. Di conseguenza, la giurisprudenza amministrativa ha sempre sostenuto che l’atto di repressione degli abusi non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né la comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare (cfr., ex multis, C.d.S., sez. V, 11 gennaio 2011, n. 79 e sez. IV, 14.5.2007, n. 2441).

7c. Nello specifico, il Collegio osserva che il provvedimento impugnato traduce operativamente l’ingiunzione di riduzione in pristino astrattamente prevista dall’art. 122, commi 1 e 2, della citata L.p. n. 22 del 1991 ed è stato dichiaratamente emesso per "opere eseguite in difformità parziale dai titoli abilitativi rilasciati" in applicazione dell’art. 121, comma 5, lett. a), della stessa legge n. 22.

Trattasi di un provvedimento che, sul piano sostanziale, integra una mera diffida rivolta alla parte privata per renderle noto il perpetrato abuso e che assolve pertanto una funzione principalmente garantista, permettendo all’interessato di esercitare le proprie difese, di eliminare l’abuso (sottraendosi così alle ulteriori sanzioni), o di chiedere, se del caso, il rilascio di un provvedimento in sanatoria. L’ingiunzione de qua non contiene né irroga le sanzioni previste dall’art. 128 per le quali occorre un ulteriore provvedimento solo nel caso di mancata esecuzione dell’ordine di ripristino. Un siffatto provvedimento di repressione di interventi effettuati sine titulo a contenuto vincolato richiede necessariamente ed esclusivamente la descrizione analitica delle opere, l’attestazione di accertamento dell’assenza di ogni atto autorizzativo, o di ogni altro titolo, per la loro realizzazione, nonché la corretta qualificazione della tipologia di abuso. In tal senso, il provvedimento impugnato si presenta completo e sufficiente, posto che riporta i risultati del sopralluogo eseguito (il cui verbale contiene una completa descrizione delle opere eseguite in difformità dai titoli emessi ed è corredato da riproduzioni fotografiche che confermano pacificamente la riportata conclusione), le norme urbanistiche vigenti, i risultati del contraddittorio procedimentale instaurato con le parti, lo specifico oggetto della contestazione, la qualificazione giuridica dell’abuso.

Il mezzo deve essere pertanto disatteso.

8. Da ultimo, nessun pregio è presente nell’ultima censura, con la quale si deduce che l’asserito vizio riguardante il titolo edilizio si concretizzerebbe nel solo nomen juris del titolo abilitativo, il che, per il suo carattere meramente formale, non potrebbe essere oggetto di annullamento d’ufficio in base a quanto disposto dalla legge 7.8.1990, n. 241.

È, infatti, di palmare evidenza che la presentazione di una D.I.A. in luogo della domanda di concessione edilizia è tutt’altro che una mera irregolarità formale sanabile e convertibile, trattandosi di atti di parte introduttivi di procedimenti del tutto distinti per effetti, contenuti e presupposti.

9. In conclusione, per le ragioni svolte nella motivazione che precede, il ricorso deve essere respinto.

Le spese del giudizio, in applicazione della regola della soccombenza, sono poste a carico della parte ricorrente e quantificate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa di Trento (Sezione Unica)

definitivamente pronunciando sul ricorso n. 241 del 2010, lo respinge.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio a favore del Comune di Pergine Valsugana, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila), (di cui Euro 2.500,00 per onorari ed Euro 500,00 per diritti), oltre ad I.V.A. e C.P.N.A. ed al 12,5% sull’importo degli onorari e dei diritti a titolo di spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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