Cons. Stato Sez. III, Sent., 12-05-2011, n. 2853 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’atto in epigrafe la C. G. I. S.p.A. ha appellato la sentenza 22 ottobre 2010 n. 2638 del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, sezione prima, non notificata, con la quale è stata respinta la sua istanza diretta all’ulteriore esecuzione del giudicato di cui al decreto ingiuntivo 29 marzo 2006 n. 98 del Tribunale di Lamezia Terme, concernente il pagamento in favore della stessa C. a carico dell’Azienda sanitaria locale n. 6 di Lamezia Terme (poi confluita nell’Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro) della somma di Euro 562.350,46, oltre interessi, spese, IVA e CPA, per fatture inevase emesse dalla Onoma S.p.A. (ora C.) relative a servizi di ristorazione.

L’appellante ha premesso, tra l’altro, che a seguito di suo ricorso per l’ottemperanza già con sentenza n. 1337/09 era stato dichiarato l’obbligo dell’Azienda provinciale di provvedere al pagamento e nominato un commissario ad acta, il quale, a seguito di accordi, in data 19 maggio 2010 formalizzava un piano di rateizzazione in tre tranches, la prima delle quali da corrispondere immediatamente e la seconda con scadenza 31 maggio 2010, con la precisazione che "in caso di mancato rispetto delle scadenze previste sarà addebitata la penale del 10% del credito ed il medesimo credito diverrà immediatamente esigibile da parte del ricorrente". Accadeva però che la prima rata fosse pagata solo il 26 maggio 2010 e la seconda l’8 giugno 2010, con conseguente diritto della C. alla pattuita penale di Euro 83.037,62. Rimaste prive di riscontro le richieste all’uopo inoltrate all’ASP ed al commissario, inoltrava al TAR istanza per la condanna al pagamento della penale pattuita, respinta con la sentenza appellata.

Premesso ancora che il rigetto è basato sull’interpretazione della clausola come riferita all’ipotesi di ritardo di tutti i versamenti, per l’intero importo e per un tempo sufficiente a determinare anche una misura risarcitoria, tenuto anche conto della non essenzialità del termine, a sostegno dell’appello ha dedotto erroneità, illogicità ed insufficienza della motivazione, travisamento delle censure avanzate in primo grado.

L’Azienda si è costituita in giudizio e, anche in successiva memoria, ha svolto controdeduzioni, concludendo per la reiezione dell’appello o, in estremo subordine, per la riduzione della penale in virtù del comportamento improntato alla collaborazione ed alla sua buona fede, nonché considerata l’eccessività della penale avuto riguardo all’irrisorietà del ritardo ed al fatto che l’interesse concreto del ricorrente è stato soddisfatto anche anticipatamente.

Ciò posto, l’appello è fondato alla stregua del tenore della clausola di cui si discute, quale formulata nel dispositivo del provvedimento commissariale, secondo cui "in caso di mancato rispetto delle scadenze previste sarà addebitata la penale del 10% del credito ed il medesimo credito diverrà immediatamente esigibile da parte del ricorrente".

Diversamente da quanto sostiene la difesa di parte appellata, la situazione finanziaria e l’esigenza, rappresentata dal responsabile dell’Ufficio, di garantire almeno il pagamento degli stipendi ai dipendenti, è stata presa in considerazione dal commissario, il quale altrimenti avrebbe dovuto disporre il pagamento immediato dell’intera somma, ai fini non già di temperare il rigore dei termini prefissati, bensì proprio e soltanto per pervenire alla rateizzazione del credito, assistita appunto dalla clausola penale a garanzia del puntuale adempimento evidentemente allo scopo di compensare in qualche modo il vulnus al diritto del creditore.

Tale clausola è infatti estremamente chiara sia nello stabilire termini precisi ed improrogabili, sia nel collegare l’addebito della penale del 10% non certo all’inadempimento o al ritardo riferito all’intero credito, bensì al mancato rispetto delle "scadenze" previste, laddove specificamente significativo in tal senso è l’uso nella dizione del plurale.

Ne deriva che, non potendosi pervenire pur ai sensi dell’art. 1362 c.c. ad un’interpretazione diametralmente opposta al senso letterale delle parole, non vi sono spazi per opinare diversamente: al ritardo del pagamento consegue automaticamente l’insorgere del diritto alla corresponsione del 10% dell’importo della rata, quale che ne sia la causa e l’entità del ritardo, nonché indipendentemente da ogni indagine sul concreto ed effettivo interesse della società creditrice a quei termini (pur di certo non essenziali a norma dell’art. 1457 c.c., cioè nel senso della risoluzione dell’accordo) ed alle conseguenze per essa del ritardo stesso, a quest’ultimo proposito rammentandosi come la penale sia dovuta indipendentemente dalla prova del danno (cfr. art. 1382, co. 2, c.c.).

Peraltro, essendo le scadenze testualmente riferite al "pagamento", ossia alla fase della spesa in cui v’è l’effettiva messa a disposizione del creditore, presso il tesoriere dell’Amministrazione debitrice, della somma dovuta precedentemente liquidata e contenuta nel mandato di pagamento, occorre aver riguardo alla corrispondente data e non già a quella data di emissione del relativo mandato, in cui si è compiuta la diversa ed anteriore fase dell’ordinazione della spesa. Conseguentemente, in ordine alla prima rata "con pagamento immediato", sicuramente già tardiva è l’ordinazione della spesa due giorni dopo ed a maggior ragione, dunque, lo è il successivo pagamento; quanto alla seconda, è il pagamento che sarebbe dovuto avvenire il 31 maggio, sicché quello del 4 giugno è del pari sicuramente tardivo.

Tanto statuito, viene in rilievo la questione della equa riduzione della penale, sollevata dall’Azienda.

La Sezione è dell’avviso che, nella specie, ricorrono tutti i presupposti di cui all’art. 1384 c.c. per condividere la richiesta, dal momento che, avuto riguardo all’intervenuta integrale corresponsione della prestazione principale ed all’anticipata erogazione della terza rata, l’ammontare della penale appare manifestamente eccessivo a fronte dell’interesse del creditore all’adempimento, anche in considerazione per un verso del brevissimo lasso di tempo intercorso tra i predetti termini stabiliti per il pagamento delle due rate di cui si controverte ed i giorni in cui il pagamento deve ritenersi eseguito per quanto innanzi; e, per altro verso, delle oggettive difficoltà finanziarie in cui si è trovata l’Azienda.

In via equitativa, la misura della penale può quindi essere fissata nel 3% dell’ammontare delle due rate.

In conclusione, l’appello va accolto nei limiti di cui sopra e, pertanto, la sentenza appellata va riformata nel senso dell’accoglimento dell’istanza di primo grado, con conseguente obbligo dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro di corrispondere all’appellante la penale di cui trattasi, tuttavia con riduzione del relativo importo nella misura indicata, nel termine che si ritiene congruo fissare in quindici giorni dalla comunicazione della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione se anteriore. In caso di perdurante inottemperanza provvederà in tal senso il già nominato commissario ad acta, nel successivo termine di quindici giorni decorrente dall’inutile scadenza del primo.

Quanto alle spese di entrambi i gradi, le ragioni illustrate sopra militano per la compensazione tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata accoglie l’istanza di primo grado, dichiara l’obbligo di provvedere nei sensi indicati parimenti in motivazione nel termine ivi indicato dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Catanzaro o, in caso di ulteriore inerzia, del già nominato commissario ad acta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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