Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 10-05-2011, n. 18282

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 10.2.2010 la 3 Sezione Penale della Corte d’Appello di Roma in riforma della sentenza in data 25.5.2005 del Tribunale di Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di B. A. in ordine ai reati di truffa a lui ascritti, quale legale rappresentante della MGA srl, sino al 30.5.2001, per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione e dichiarava non doversi procedere nei confronti di BU.Mo. in ordine al reato di truffa a lui ascritto, quale legale rappresentante della MGA srl dal 31.5.2001, realizzato in danno di R.N. per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione, confermava nel resto l’impugnata sentenza, rideterminando la pena in mesi 10 di recl. ed Euro 400,00 di multa.

Ricorrono per Cassazione i difensori degli imputati presentando identici motivi.

In particolare deducono che la sentenza impugnata:

1. è affetta da vizio della motivazione. Contesta il ricorrente che la Corte territoriale ha individuato nel silenzio sull’esistenza dell’ipoteca giudiziale, tenuto al momento della conclusione dei preliminari, un raggiro tale da ingannare le parti offese, quando dagli atti è provato che l’ipoteca giudiziale è stata iscritta sul fondo 4 mesi dopo la conclusione dei preliminari.

2. incorsa in violazione di legge, in particolare dell’art. 1337 c.c. e dell’art. 521 c.p.p.. Lamenta che la Corte condividendo la sentenza di primo grado ha individuato i "raggiri" nel fatto che gli imputati avrebbero garantito il pericolo dell’evizione sin dai compromessi malgrado l’esistenza di un diritto reale di garanzia della Banca di Roma sull’intera lottizzazione e nel fatto di avere precedentemente compromesso in vendita agli artigiani finanziatori gli stessi lotti poi promessi in vendita ai querelanti. Sostengono i ricorrenti che è stata fornita un’interpretazione distorta dell’art. 8 del contratto stipulato tra il legale rappresentante della MGA e le varie parti. Il pericolo di evizione può sussistere solo nei confronti dell’acquirente e non nei confronti del promittente acquirente e si verifica solo quando risulta che la proprietà della cosa venduta, o un diritto reale su di essa spetta ad un terzo. Sottolineano che tale lettura distorta determina anche una violazione dell’art. 521 c.p.p. dal momento che non sussiste correlazione tra quell’addebito e la imputazione contestata. Agli imputati è stato contestato non di avere garantito "fin d’ora il pericolo di evizione", bensì di avere garantito "la piena proprietà del predetto fondo", termine con il quale si intende da un punto di vista civilistico la piena proprietà in contrapposizione alla nuda proprietà. Aggiungono che le parti offese usando la buona fede, che deve presiedere qualsiasi trattativa contrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c., avrebbero facilmente avuto accesso a tale informazione.

3. La difesa BU.Mo. sottolinea inoltre che tutti i reati per i quali è intervenuta condanna, tenuto conto anche delle sospensioni, alla data odierna sono prescritti.

I motivi avanzati dalle difese degli imputati sono inammissibili in quanto generici e comunque versati in fatto.

E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto, come indicato, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr.

Cass. N. 20377/2009;N. 8443 del 1986 Rv. 173594, N. 12023 del 1988 Rv. 179874, N. 84 del 1991 Rv. 186143, N. 1561 del 1993 Rv. 193046, N. 12 del 1997 Rv. 206507, N. 11933 del 2005 Rv. 231708).

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata. In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass Sez. 4 n. 4842 del 2.12.2003; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

L’inammissibilità dei ricorsi preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la declaratoria di prescrizione.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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