Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-02-2011) 10-05-2011, n. 18281

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 19.1.2010 la Corte d’appello di Cagliari sez. distaccata di Sassari confermava la sentenza del Tribunale di Sassari che il 26.9.2007 aveva condannato S.G. e L. S., alle pene ritenute di giustizia, per i reati di truffa in danno di C.P.P..

Ricorrono per Cassazione i difensori degli imputati deducendo che la sentenza impugnata:

1. è affetta da vizio della motivazione. Contesta il ricorrente che la Corte territoriale è incorsa in travisamento del fatto. Lamenta che la Corte ha recepito il decisum del primo giudice senza esplicitare le ragioni del proprio convincimento e senza considerare che gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione si prestano a diversa conclusione.

2. è affetta da violazione di legge in quanto il reato consumatosi il 13.4.2000 era estinto per prescrizione essendo decorso, in assenza di sospensioni, il termine massimo di 7 anni e mesi 6.

I reati ascritti agli imputati sono da dichiarare estinti per prescrizione, essendo il relativo termine prescrizionale, pari ad anni 7 e mesi sei, considerate anche le sospensioni, decorso alla data del 13.10.2007, quindi prima della sentenza d’appello intervenuta il 19.1.2010.

In tal senso, è da pronunciare l’annullamento della sentenza, senza rinvio, non emergendo in atti elementi evidenti e palmari di irresponsabilità dei condannati, per una pronuncia nel merito più favorevole ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2. Le coerenti argomentazioni svolte dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata, escludono qualsiasi possibilità di proscioglimento nel merito, ma anche valgono ad escludere la fondatezza delle censure svolte dai ricorrenti che sono comunque da esaminare attesa la pronuncia di condanna degli stessi al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

In tema di declaratoria di estinzione del reato, infatti, l’art. 578 c.p.p. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta "condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati", sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dagli imputati devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, (v. in proposito: Cass. 3A, sent. 1067 del 20/4/01, Franzan; Cass. 4A, sent. 6742 del 28/5/99, Pizzagalli G. F.).

Anche sotto lo specifico profilo ora menzionato le doglianze proposte dai ricorrenti non sono fondate.

E’ da osservare, quanto al motivo di ricorso, che la doglianza proposta è palesemente inammissibile, giacchè si risolve in "censure di fatto" e/o in una "rilettura" delle risultanze processuali "diversa" da quella già operata dalla Corte territoriale: vale mettere in evidenza come contrariamente a quanto peraltro genericamente asserito con i motivi di censura, la Corte di appello, con motivazione congrua e priva di sbavature logiche, ha dato contezza della responsabilità degli imputati.

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda sindacabile in questa sede. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 4 n. 4842 del 2.12.2003; Cass. Sez. 5A sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2A sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

Con riguardo al L. il motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile anche ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3 posto che la violazione denunziata in questa sede di legittimità non era stata dedotta innanzi alla Corte di Appello, dove era stata contestata solo l’entità della pena e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed è quindi questione nuova.

Questa Corte (Cass. Sez. 4A, 18/05/1994 – 13/07/1994, n. 7985, Sez. 3 n. 35889/08) ha infatti affermato che sussiste violazione del divieto di "novum" nel giudizio di legittimità quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni, come quella in esame, coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate.

La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, per intervenuta prescrizione. Vanno mantenute ferme (ex art. 578 c.p.p.) le statuizioni di carattere civilistico della stessa decisione.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per intervenuta prescrizione. Ferme le statuizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *