Cons. Stato Sez. IV, Sent., 12-05-2011, n. 2883 Spese del giudizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il generale C. M. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza indicata in epigrafe con la quale il T.A.R. del Lazio ha respinto il suo ricorso inteso a ottenere, previo annullamento degli atti di diniego emessi dal Ministero della Difesa, il riconoscimento del proprio diritto al rimborso delle spese legali sostenute per il primo e il secondo grado del processo subito dinanzi alla Corte dei Conti.e conclusosi con la sentenza della I Sezione Centrale d’appello della Corte dei conti n.196/2006 che ha confermato la pronuncia di prima istanza.

A sostegno dell’appello, egli ha dedotto:

A);

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, nr. 543, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, nr. 639, e dell’art. 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, nr. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, nr. 135; falsa applicazione dell’art. 10 bis, comma 10, del decreto legge 30 settembre 2005, nr. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, nr. 248, eccesso di potere per errore nei presupposti, nonché dell’art.2 del D.M. 124/2004.; la sentenza di primo grado erroneamente ha ritenuto che nel caso in esame non ricorresse la condizione normativa del "proscioglimento nel merito"ovvero della completa assoluzione stabilita dall’art.3,comma 2 bis L.n.639 del 1996, per il rimborso delle spese legali da parte dell’amministrazione a favore degli imputati sottoposti a giudizio di responsabilità amministrativa.

La Corte dei Conti, con una pronuncia di merito ha rigettato, invero, l’azione risarcitoria proposta dalla Procura per la constatata mancanza del danno erariale, facendo in tal modo venir meno qualsiasi presupposto per affermare la responsabilità ricollegabile a violazione colpevole dei doveri derivanti dal rapporto di servizio.

Ciò ha reso irrilevante anche l’asserita possibilità di " ulteriori iniziative dell’organo requirente che si rendessero praticabili in ragione di successive acquisizioni".

Del resto al giudicato penale completamente assolutorio formatosi prima della conclusione del giudizio di responsabilità amministrativa, non ha fatto seguito alcuna iniziativa della Procura contabile correlata a dette "successive acquisizioni";.

2) omessa pronuncia del giudice di primo grado sulla dedotta irrilevanza della statuizione definitiva del giudice contabile contenente la "compensazione delle spese di lite";si ribadisce che tale locuzione non può essere intesa in senso contrario al sistema delineato dal legislatore;trattasi quindi di pronuncia relativa alle mere spese di lite, che non interferisce con il diritto al rimborso delle spese di patrocinio.

B)

1) violazione e falsa applicazione degli articoli 78 R.D. n.1214/34 e 6 D.p.r. n.260/1998, nonché dell’art.10 bis della legge n.241/1990.;eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;illogicità e contraddittorietà manifesta;sviamento;ciò in ordine all’anomalia procedimentale lamentata nel ricorso di primo grado, stante l’impropria richiesta di pareri interpretativi rivolta dall’Amministrazione, dopo l’assoluzione dell’istante dinanzi alla Corte dei Conti, dapprima all’Avvocatura Generale dello Stato e quindi alla Procura Regionale e alla Procura Generale della stessa Corte dei Conti;

Le Amministrazioni appellate non si sono costituite.

All’udienza del 12 aprile 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Il generale dell’Aeronautica C. M. ha chiesto – ai sensi degli artt. 1 della legge 14 gennaio 1994, nr. 20, 3, comma 2 bis, del decreto legge 23 ottobre 1996, nr. 543, convertito con modifiche dalla legge 20 dicembre 1996, nr. 639, e 18, comma 1, del decreto legge 25 marzo 1997, nr. 67, convertito con modifiche dalla legge 23 maggio 1997, nr. 135 – il rimborso delle spese sostenute per il primo e il secondo grado del processo subito dinanzi alla Corte dei Conti per presunta responsabilità erariale.

Tale giudizio, conclusosi con sentenza definitiva di rigetto del ricorso della Procura, era relativo al coinvolgimento indiretto dell’istante nella vicenda relativa al c.d. disastro di Ustica, con l’inabissamento di un aeromobile avvenuto il 27 luglio 1980; vicenda per la quale l’odierno appellante è stato anche imputato per gravi reati, finendo anche in tale sede per essere prosciolto con formula piena già all’esito della fase istruttoria.

Più specificamente, con la sentenza nr. 196 del 2006 la I^ Sezione Centrale d’appello della Corte dei Conti ha escluso la sussistenza del danno erariale ascritto all’istante in relazione alle spese sostenute per il recupero integrale del relitto dell’aeromobile, evidenziando che dette spese avevano la natura di "spese di giustizia", siccome finalizzate all’espletamento di operazioni ritenute indispensabili dall’Autorità giudiziaria per l’accertamento della verità.

Malgrado ciò, all’esito di un lungo iter procedimentale – la cui anomalia è stata stigmatizzata dall’odierno appellante nel ricorso introduttivo del giudizio -, segnato dalla richiesta di pareri all’Avvocatura Generale dello Stato nonché alle Procure Regionale e Generale della Corte dei Conti, nonché da un giudizio di interpretazione promosso dinanzi alla stessa Corte dei Conti e conclusosi in Cassazione, l’Amministrazione della Difesa ha negato il chiesto rimborso spese: donde il presente contenzioso, nel quale l’interessato oggi impugna la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha confermato le statuizioni negative da lui censurate.

2. L’appello è fondato.

3. Ed invero, al di là di profili diversi e ulteriori che sono stati superati dal lungo e complesso iter sopra richiamato, la ragione posta dall’Amministrazione a base del diniego di rimborso delle spese legali – condivisa dal T.A.R. capitolino – consiste nell’asserita mancanza, nella specie, di una sentenza "di proscioglimento nel merito ovvero completamente assolutoria", che costituisce per legge il presupposto della rimborsabilità.

Ciò in quanto, sempre a dire dell’Amministrazione e del primo giudice, nella citata sentenza nr. 196 del 2006 non vi sarebbe stato un giudizio cognitorio pieno con conseguente esclusione in via assoluta di responsabilità dell’interessato sotto il profilo del dolo o della colpa grave, trattandosi oltre tutto di decisione assunta "allo stato degli atti", e quindi suscettibile di essere superata da eventuali successive acquisizioni.

Tale assunto non può essere condiviso.

4. Al riguardo, giova richiamare il recente orientamento di questo Consesso in ordine alla analoga fattispecie della rimborsabilità delle spese legali a seguito di assoluzione in sede penale, laddove si è affermato che l’Amministrazione non ha alcun margine di discrezionalità sulla formula e sulle ragioni dell’assoluzione stessa, diversamente consentendosi un’inammissibile riedizione del giudizio di ascrivibilità del fatto illecito per cui il dipendente è stato imputato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 marzo 2011, nr. 1713).

Con specifico riguardo al giudizio di responsabilità contabile, si è poi affermato che il rimborso, da parte dell’amministrazione di appartenenza, delle spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei Conti, ex art. 3, comma 2 bis, del citato d.l. nr. 543 del 1996, è subordinato al definitivo proscioglimento dei succitati soggetti, prescindendo dalle ragioni che hanno condotto all’assoluzione; e, pertanto, va riconosciuto il diritto al rimborso de quo anche in presenza di proscioglimento per mere ragioni di rito (cfr. Cons. Stato, sez. I, 29 ottobre 2003, parere nr. 3218).

5. Tale ultimo e più "radicale" orientamento suscita più di qualche dubbio nella Sezione poiché è il rigetto del ricorso della Procura per ragioni di merito, qualunque siano le ragioni per le quali ciò è avvenuto, che comporta il proscioglimento del dipendente dalla responsabilità per danno erariale.

La ratio della citata norma sul diritto ex lege al rimborso delle spese legali riposa invero sull’assenza del conflitto d’interessi tra l’amministrazione ed il suo dipendente, al quale non può essere mosso alcun addebito per fatti posti in essere in adempimento dei doveri connessi al servizio.

Traslando tale impostazione nel giudizio in esame non v’è dubbio che si sia in presenza di assoluzione piena, avendo la sentenza sopra citata del tutto escluso la sussistenza in concreto di qualsivoglia profilo di responsabilità erariale: il fatto che ciò sia dovuto all’essere stata riscontrata la carenza di danno erariale comporta semplicemente la superfluità di ogni approfondimento in ordine al profilo soggettivo della responsabilità (dolo o colpa), venendo a mancare addirittura l’elemento oggettivo dell’illecito.

Quanto sopra rende palese l’errore di prospettiva in cui sono incorsi l’Amministrazione convenuta e il primo giudice, i quali si sono limitati a rilevare l’assenza di approfondimenti da parte del giudice contabile sull’elemento soggettivo dell’illecito, senza considerare che questa era dovuta – come detto – alla mancanza a monte dell’elemento materiale di esso (un pò come se, mutatis mutandis, il dipendente imputato in sede penale fosse stato assolto "perché il fatto non sussiste", ciò che a fortiori rende del tutto inconferente ogni indagine sull’elemento soggettivo del reato).

Nemmeno può condividersi l’assunto del giudice di prime cure secondo cui l’evocata sentenza della Corte dei Conti non sarebbe soggetta al principio ne bis in idem, essendo stata dichiaratamente resa "allo stato degli atti" e potendo quindi essere superata da successive acquisizioni.

Infatti, non v’è dubbio che il giudicato formatosi sull’assoluzione dell’istante è pieno, e che l’inciso "allo stato degli atti" contenuto in sentenza va inteso semplicemente nel senso che la sussistenza di danno erariale sia da escludersi sulla base delle risultanze acquisite agli atti del giudizio; ciò premesso, qualora in futuro dovesse aprirsi un nuovo giudizio di responsabilità in seguito all’emergere di quel danno erariale oggi ritenuto inesistente, ciò avverrà non certo in virtù di una "cedevolezza" del giudicato, ma semplicemente perché si tratterà di fatti nuovi idonei a dar luogo a un diverso e autonomo giudizio.

6. Tali essendo le circostanze, è evidente la fondatezza delle censure riproposte col secondo motivo di appello (che risultano assorbenti dei profili procedurali censurati col primo mezzo), non essendovi in capo all’Amministrazione margine alcuno di discrezionalità valutativa in ordine ai contenuti e alle motivazioni della sentenza di assoluzione piena riportata dall’istante.

Ne discende che vanno annullati gli atti impugnati in prime cure e va affermato il diritto dell’appellante al rimborso delle spese legali sostenute.

7. Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado del giudizio che liquida equitativamente in 5000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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