Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 14-01-2011) 10-05-2011, n. 18331 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con ordinanza 8.6.2010 il la Corte di assise di Appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione accoglieva la richiesta di P.S. di riconoscere la sussistenza del vincolo della continuazione tra i reati di cui alla condanna pronunciata con sentenza 9.10.2009 della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro, con quelli precedentemente giudicati con le sentenze 13.3.1999 della Corte di Assise di Appello di Catanzaro e 5.11.2003 della Corte di Appello di Catanzaro, in relazione alle quali era stata già disposta l’applicazione della disciplina di cui all’art. 81 c.p. e art. 671 c.p.p., con ordinanza della Corte di Appello di Catanzaro. Riteneva la corte territoriale che dall’esame delle sentenze emergeva, atteso l’arco temporale ristretto e la natura ripetitiva degli episodi delittuosi, riconducibili tutti ad una analoga matrice, costituita dall’inserimento organico del condannato in uno dei principali gruppi criminali di stampo mafioso operanti in Cosenza dalla fine degli anni ’70 sino agli anni ’90, e dal comune ambito della cd. guerra mafiosa instaurata tra due clan contrapposti, l’esistenza di un unitario disegno criminoso sottostante alla commissione di tutti i reati. Rideterminava, quindi, la pena partendo dalla quella base di anni 24 di reclusione inflitta, per il delitto di omicidio, con la sentenza 13.3.1999 della Corte di Assise di Appello di Catanzaro, già aumentata di anni 1 in forza della precedente ordinanza che riconosceva il vincolo della continuazione con la sentenza 5.11.2003 della Corte di Appello di Catanzaro , aumentata di anni 2 per ciascuno dei due omicidi e di mesi 6 in relazione al tentato omicidio, tutti delitti giudicati con la sentenza 9.10.2009 della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro, ridotti, per la scelta del rito, alla misura complessiva di anni 3. 1.2.- Propone ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catanzaro sostenendo: in primis che la Corte di Assise di Appello di Catanzaro ha errato nel computo finale della pena, in quanto, dopo aver stabilito quale pena base quella di anni 25 di reclusione, risultante a sua volta dalla rideterminazione delle pene riportate con le sentenze 13.3.1999 della Corte di Assise di Appello di Catanzaro e 15.11.2003 della Corte di Appello di Catanzaro, applica a tale pena base anni 3 e mesi 6 di continuazione per i reati di cui alla sentenza 9.10.2009 della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro. Invece la pena base dalla quale sarebbe dovuto partire il giudice dell’esecuzione è quella di anni 30 di reclusione quale determinata, per effetto del cumulo giuridico, con il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro del 4.1.2005, la suddetta pena doveva essere quindi diminuita di anni 10 e, successivamente, aumentata di anni 3 e mesi 6 di reclusione, con il risultato finale di anni 23 e mesi 6 di reclusione. Tanto premesso il Procuratore ricorrente assume che non vi sia identità di disegno criminoso tra il reato di omicidio, di cui alla sentenza 9.10.2009 della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro, e gli altri reati perchè per tale omicidio non risulta riconosciuta l’aggravante prevista dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 e si tratta, quindi, di reato compiuto in base a motivi personali che prescindono dalla qualità di associato a delinquere. Rappresenta, infine, che, sebbene la carcerazione non interrompa l’unicità del disegno criminoso, il giudice dell’esecuzione non ha in alcun modo motivato, nè in positivo nè in negativo, sulla circostanza che il P., dal 16.10.1986 al 27.5.1987, per mesi 7 e giorni 12, computati come pena espiata fungibile in relazione alla condanna 15.11.2003, sia stato detenuto con conseguente possibilità di interruzione dell’originario disegno criminoso tra i fatti giudicati con tale sentenza e quelli oggetto della condanna 9.10.2009 della Corte di Assise d’Appello di Catanzaro, precedenti nel tempo.

2.- Il Procuratore Generale presso questa Corte dott. Carmine Stabile, con atto depositato il 5 ottobre 2010, ha concluso per l’annullamento della ordinanza impugnata.

3.- Il ricorso è infondato.

Osserva preliminarmente il collegio che secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1^, 12.5.2006, n. 35797) la continuazione presuppone l’anticipata ed unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti alla mente del reo, almeno a grandi linee, nella loro specificità, situazione che va tenuta distinta dalla mera inclinazione, da parte del reo medesimo, a reiterare nel tempo reati della stessa specie, anche quando tale propensione alla reiterazione sia dovuta ad una scelta di vita deviante. Tra gli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso devono essere apprezzati la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le circostanze di tempo e di luogo. Qualora sussista anche solo taluno di detti indici il giudice deve accertare se sussista o meno la preordinazione di fondo che cementa le singole violazioni.

Quando, poi, la disciplina del reato continuato debba essere applicata in esecutivis ex art. 671 c.p.p., la cognizione del giudice dell’esecuzione dei dati sostanziali di possibile collegamento tra le varie violazioni della legge penale va eseguita sulla base del raffronto del contenuto decisorio delle sentenze di condanna conseguite ai reati che si assumono essere "in continuazione" (Cass. Sez. 1^, 16.1.2009, n. 3747, RV 242537).

Identici presupposti di diritto presiedono alla configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati fine, non essendo possibile escludere la circostanza che fin dall’inizio nel programma criminoso associativo siano stati concepiti diversi altri reati, già individuati nelle loro linee essenziali (Cass. Sez. 1, Sent., 21.01.2009 n. 8451 Rv. 243199; Cass. Sez. 5, 18.10.2005 n. 44606, Rv.

232797).

La Corte territoriale nell’ordinanza impugnata ha correttamente dato conto, in aderenza ai principi di diritto soprarichiamati, che dall’esame delle sentenze emerge con evidenza il sottostante disegno criminoso unitario, individuandone gli indicatori nell’arco temporale ristretto e nella natura ripetitiva degli episodi delittuosi – riconducibili tutti ad una analoga matrice, costituita dall’inserimento organico del condannato in uno dei principali gruppi criminali di stampo mafioso operanti in Cosenza dalla fine degli anni ’70 sino agli anni ’90- e nel comune ambito della cd. guerra mafiosa instaurata trai due clan contrapposti dei P.- S. e dei P.- P., ambito nel quale andava inquadrato, a prescindere dalla contestazione dell’aggravante di cui alla L. n. 303 del 1991, art. 7 anche il reato di omicidio di cui alla sentenza 13.3.1999 della Corte di assise di appello di Catanzaro.

Quanto poi al rilievo che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto ricalcolare la pena ponendo a base quella di anni 30 derivante dal cumulo giuridico ex art. 78 c.p., effettuato il 4.1.2005 dalla procura Generale, esso è privo di pregio sia perchè tale cumulo giuridico era incompatibile con l’ordinanza della Corte di appello di Catanzaro del 25.5.2007, sia soprattutto in ragione del fatto che il giudice dell’esecuzione ha assunto quale pena base quella più grave secondo le determinazioni del giudice di merito (Cass. Sez. 1, Sent.

8.6.2006, n. 31429, Rv. 234887; Cass. Sez. 1, Sent. 9.12.2009, n. 48833, Rv. 245889).
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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