Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 13-01-2011) 10-05-2011, n. 18327 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza resa il 3 giugno 2010 e depositata 5 luglio 2010, La Corte di appello di Lecce rigettava l’appello proposto da G. G. avverso il decreto 8.1.2010 con il quale il Tribunale di Brindisi aveva disposto il sequestro e la confisca dell’autovettura Audi Q5 trg. (OMISSIS), intestata a R.F.. Ricordava la Corte che con decreto 18 febbraio 2009 il Tribunale di Brindisi aveva respinto la proposta del PM di applicare al G. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per carenza del requisito della attualità della pericolosità sociale, le condotte delittuose risalivano, infatti, agli anni ’80 e ’90, e aveva, invece, accolto la richiesta relativa alla misura patrimoniale reale, sottoponendo a sequestro e confisca alcuni beni immobili, veicoli, ed altri cespiti, anche intestati alla moglie C.A. ed al figlio G. A.. La Corte di Appello di Lecce il 10.12.2009 aveva, poi, respinto il ricorso del G. avverso quel decreto condividendo l’assunto, sviluppato dal tribunale, secondo il quale la misura di prevenzione reale può essere disancorata dal requisito della attualità della pericolosità sociale.

Successivamente il tribunale di Brindisi, con l’ulteriore decreto 8 gennaio 2010, estendeva la confisca all’autovettura Audi Q5 trg.

(OMISSIS), intestata a R.F. ma abitualmente in uso alla moglie del G. C.A., ribadendo il concetto della evidente sproporzione rispetto al reddito ed alle attività economiche del proposto ed affermando che il G. avesse reimpiegato le ricchezze accumulate attraverso l’attività criminale di contrabbando negli anni ’80 e ’90, anche per l’acquisto dell’autovettura, da lui personalmente pagata con bonifici in favore della venditrice Gabelini srl di Pesaro. La Corte territoriale disattese le argomentazioni della difesa, relative alla non applicabilità delle misure patrimoniali in difetto della ricorrenza, nell’attualità, della qualità di persona pericolosa in capo al proposto ed alla non sproporzione tra il valore del bene ed i redditi e le attività economiche del G., confermava il decreto appellato.

2. Avverso l’ordinanza propone ricorso per Cassazione il difensore di G.G., avvocato P.A., adducendo a ragione:

1) Nullità dell’ordinanza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla L. n. 575 del 1975, art. 2 bis, comma 6, nonchè per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità ella motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), e art. 125 c.p.p., comma 3.

Premette la difesa, in punto di fatto, come, contrariamente a quanto si legge nell’ordinanza, il Tribunale non aveva ritenuto accertata la pericolosità sociale di G.G. per il periodo risalente agli anni ’80 e ’90, infatti quei giudici si erano limitati ad escludere l’attualità della pericolosità stessa dopo aver preso atto, senza esprimere alcuna valutazione in merito, " che i fatti indicati a testimonianza della pericolosità sociale di G. G. sono (erano) relativi agli anni ’80 e ’90".

In diritto lamenta che la corte d’appello non abbia affrontato, in maniera diretta ed esplicita, il tema relativo alla portata della modifica introdotta alla L. n. 575 del 975, art. 2 bis, comma 6 bis, dalla L. n. 125 del 2008, art. 10, che pure costituiva motivo di gravame avverso il decreto del Tribunale di Brindisi, essendosi limitata a ribadire l’astratta possibilità dell’applicazione disgiunta della misura di prevenzione reale rispetto a quella personale. Svolto, quindi, un escursus sugli approdi giurisprudenziali e normativi in materia, assume che il tenore letterale della L. n. 575 del 1965, art. 2 bis, comma 6 bis, si limita a stabilire che le misure di prevenzione personali e patrimoniali si applicano disgiuntamente, senza precisare che le seconde possano essere disposte anche nel caso in cui le prime siano rigettate, almeno nell’ipotesi della insussistenza del requisito dell’attualità della pericolosità sociale.

L’interpretazione della norma, quale deriva dal quadro normativo complessivo , codice penale leggi speciali in materia, non consente di ritenere, come invece affermato nell’ordinanza impugnata, che il giudice della prevenzione ricorrendo il presupposto della evidente sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito ed alle attività economiche del proposto, potrebbe sempre e comunque disporne la confisca, anche a distanza di anni dall’eventuale passaggio in giudicato di una sentenza concernente una condanna per determinati reati. Ciò comporterebbe il venir meno di ogni certezza in ordine alla situazione patrimoniale dell’individuo.

1) Nullità dell’ordinanza per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., comma 1 lett. b), in relazione alla L. n. 575 del 1975, art. 2 ter, nonchè per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), e art. 125 c.p.p., comma 3.

La Corte d’Appello ha indicato in maniera assolutamente carente ed illogica la ritenuta sperequazione tra le capacità economiche del G. e dei suoi familiari ed il valore dell’autovettura, che secondo l’impugnata ordinanza sarebbe solo fittiziamente intestata al R.. In particolare non ha tenuto conto, basandosi solo sui redditi e l’entità del patrimonio, dei proventi delle ulteriori attività economiche svolte nel tempo dagli stessi ed indicate nella documentazione prodotta, limitandosi a dichiarare l’insufficienza delle deduzioni e produzioni difensive sul punto; con evidente errore di diritto laddove la corte territoriale ha ritenuto che fosse onere del proposto dimostrare la non illegittimità della provenienza del bene, dato che la stessa era da ritenersi presunta. Ulteriore errore metodologico è consistito sull’essersi basata l’ordinanza impugnata su indagini superficiali, infatti la Guardia di finanza ha confrontato il valore del patrimonio solo con i redditi rilevati dall’interrogazione all’anagrafe tributaria senza svolgere alcun accertamento in ordine allo svolgimento di attività lecita, sia pure sottratta all’imposizione fiscale. Non ha quindi tenuto conto la corte d’appello della consulenza tecnica sulla rilevanza economica dell’attività di noleggio di videogiochi che negli anni 1999/2000 aveva prodotto cospicui guadagni, come documentato dalle attestazioni provenienti dagli uffici della SIAE. Nè la Corte ha tenuto conto della vincita di Euro 51.095, 18 conseguita l’11.1.2006 della quale era pure stata allegata la schedina vincente.

3. Con istanza depositata il 10 gennaio 2011 i difensore del G. ha segnalato la pendenza di analogo ricorso concernente altra misura di prevenzione patrimoniale, con trattazione fissata al 26 gennaio 2011 davanti alla Sezione 6^ di questa Corte instando per la decisione contestuale dei due procedimenti.

4. Il Procuratore Generale, dott.ssa Maria Giuseppina Foddaroni ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Motivi della decisione

1.1.- Osserva preliminarmente il Collegio che non sussistono ragioni per la trattazione contestuale dei due ricorsi posto che ognuno di essi ha carattere autonomo e la decisione dell’uno, per quel che è dato conoscere, non necessariamente influenza quella relativa all’altro.

1.2.- Il presente ricorso è infondato e deve quindi essere rigettato.

Riguardo al primo motivo di ricorso osserva il Collegio che la L. 31 maggio 1965 n. 575, art. 2 bis, comma 6 bis, quale modificato dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 2, comma 22, stabilisce che le misure di prevenzione patrimoniali, oltre a poter essere applicate disgiuntamente dalle misure di prevenzione personali, possono essere applicate indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto al momento della richiesta della misura di prevenzione.

Il significato letterale della norma rende evidente che non solo le due misure di prevenzione possono avere applicazione disgiunta altresì, che la seconda, quella di carattere reale, prescinde, ai fini della sua irrogazione, dalla sussistenza in capo al soggetto per il quale è richiesta del requisito della attuale pericolosità sociale.

Dunque se come nel caso di specie sia stata esclusa la pericolosità sociale nell’attualità, a cagione del lungo tempo trascorso dalla realizzazione delle condotte delittuose, non di meno la misura ablativa ben può essere disposta, se correlata alla sproporzione rispetto al reddito ed alle attività economiche del proposto.

In tal senso il provvedimento impugnato è esente da vizi e rispettoso del dettato normativo in relazione alle condizioni previste dalla L. 31 maggio 1965, n. 575, comma 6 bis dell’art. 2 bis quale vigente.

1.3. In relazione al secondo motivo appare del tutto evidente che il ricorrente, riproponendo le questioni già esaminate dal giudice di primo grado e da quello dell’appello, finisce per riformulare sempre le medesime censure in punto di omissioni argomentative nelle quali sarebbero incorsi i giudici di merito in merito alla verifica della genesi lecita e dell’effettiva disponibilità del bene oggetto di provvedimento ablativo. L’onere di allegazione che grava sul ricorrente avrebbe imposto che ad esso si facesse fronte con ogni debita specificità, in assenza della quale la mera prospettazione di una qualunque, ipotetica ricostruzione dei meccanismi genetici del bene in confisca non può certo assolvere ad una funzione liberatoria. Il ricorrente lamenta che i giudici d’appello non abbiano ritenuto verosimili le sue allegazioni e domanda che tale giudizio – formulato con motivazione esauriente e congrua – venga censurato in sede di legittimità da questa Corte, cui si vorrebbe affidare il non consentito compito di privilegi, tra le due ricostruzioni del fatto, quella più favorevole alla tesi prospettata dalla difesa.

La Corte territoriale ha, invece, correttamente valutato come priva di un’apprezzabile tasso di credibilità e non suffragata da concreti e obiettivi elementi di riscontro l’allegazione del G., smentite dal complesso delle accurate e puntuali indagine svolte in merito alla genesi illecita del danaro investito nell’acquisto dell’autovettura, pagata dal ricorrente ma, significativamente, intestate ad un terzo e nella concrete ed assoluta disponibilità della consorte di G.G..

Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *