Cons. Stato Sez. IV, Sent., 12-05-2011, n. 2870 Concessione per nuove costruzioni contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appello è rivolto avverso sentenza con la quale il T.A.R. di Brescia ha ritenuto che le opere di ampliamento e quelle realizzate nella parte preesistente del complesso ospedaliero denominato "Humanitas Gavazzeni", dovessero essere assoggettate al pagamento del contributo concessorio ed ha, conseguentemente, respinto la domanda della società S. s.p.a., proprietaria dell’ospedale, di annullamento dei provvedimenti del Comune di Bergamo, di date 11.2.2004 e 3.3.2004, di rigetto delle istanze di esonero dal contributo.

L’appellante riferisce che l’Ospedale Cliniche Gavazzeni è una struttura di riconosciuta eccellenza ed alta specialità in molteplici settori dell’attività sanitaria, accreditata al Servizio sanitario nazionale, ubicata in area classificata zona SH, ossia destinata a servizi ospedalieri e sanitari quali ospedali, cliniche, centri medici polispecialistici; espone che, fino al 2002, la superficie della struttura sanitaria era inferiore a quella prevista dal PRG in quanto l’ospedale non sfruttava completamente l’indice edificatorio di zona, e che, in considerazione delle previsioni della programmazione regionale, che attribuivano alle Cliniche Gavazzeni la funzione di D.E.A. (dipartimento accettazione emergenza), la proprietà decise di dare completa attuazione al piano regolatore, ampliando il complesso per localizzarvi un nuovo reparto di pronto soccorso; venivano, quindi realizzati: a) l’ampliamento della struttura con realizzazione di una nuova piastra, in forza di concessione edilizia e successiva variante e previo pagamento di contributi concessori, quantificati, per oneri e costo di costruzione, in Euro 655.337,02; b) la riorganizzazione delle superfici interne dell’edificio preesistente, senza alcuna modifica di superficie, sagoma e prospetti, in base a tre DIA.

La S. ha chiesto, con una prima istanza, la restituzione delle somme corrisposte con riferimento alle concessioni relative all’ampliamento e, successivamente, l’esonero per le opere oggetto delle DIA, istanze riscontrate dal Comune con i due dinieghi impugnati.

Le domande di annullamento dei provvedimenti e di accertamento della non debenza dei contributi di costruzione, formulate in relazione alle dedotte ascrivibilità delle opere alla categoria di quelle di urbanizzazione realizzate in attuazione di strumenti urbanistici, qualifica di ente istituzionalmente competente a realizzare opere di interesse generale, natura di manutenzione straordinaria di quanto indicato nelle DIA, sono state respinte dal T.A.R. che ha ritenuto, in sintesi: a) che l’ampliamento non fosse da realizzare obbligatoriamente e, dunque, non fosse da considerare quale opera espressamente prevista dal PRG, b) che i soggetti accreditati al SSN non potessero comprendersi tra gli enti istituzionalmente competenti a realizzare opere pubbliche, c) che le opere di cui alle DIA dovessero essere considerate come parte di un complessivo intervento di trasformazione e rifunzionalizzazione della clinica, soggette, quindi, a contributo.

L’appellante deduce: 1) falsa ed errata motivazione della sentenza in merito al primo motivo di ricorso di primo grado, violazione di legge per mancata applicazione dell’art 17, comma 3, lett. c) del D.P.R. 380/2001 (art. 9, lett. F, legge n. 10/77), in quanto i lavori eseguiti sono opere di urbanizzazione previste dal PRG del Comune di Bergamo; 2) errata e falsa motivazione della sentenza in merito al secondo motivo del ricorso originario, violazione di legge per mancata applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. c) del DPR n. 380/01 dovendo esserele riconosciuta la qualifica di ente istituzionalmente competente a realizzare opere di interesse generale; 3) errata motivazione della sentenza sul terzo motivo di primo grado, violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 31 legge 5.8.1978, n. 457 (art. 3 DPR 380/2001), per mancata applicazione dell’art. 22 DPR cit.(art. 4 D.L: 3.10.1993 n. 398, come modificato dall’art. 2, comma 60, legge 23.12.1996 n. 662), violazione degli artt. 8 e 22 del regolamento edilizio, Del. C.C. del 22.10.2001. n. 162/55386, sostenendo che le opere realizzate in base alle DIA erano opere meramente interne, consistenti nella riallocazione degli spazi, già a destinazione ospedaliera, con demolizione di alcuni tramezzi e ridistribuzione di determinate funzioni all’interno della struttura, con impatto urbanistico, quindi, per tale parte, nullo.

Si è costituito il Comune di Bergamo replicando ai motivi di appello e concludendo per la conferma della sentenza del T.A.R.; dopo aver precisato di aver già applicato, trattandosi di opera di interesse generale, un abbattimento nella misura dell’80%, il Comune sostiene, in sintesi, che l’esonero totale non spettava in quanto, pur sussistendo il presupposto oggettivo della realizzazione di opere di interesse generale, difettava il presupposto soggettivo della qualificabilità come ente istituzionalmente competente, non trattandosi di concessionario di opera pubblica ma di soggetto privato esercitante nell’immobile attività d’impresa e non determinando l’accreditamento al SSN alcuna equiparabilità di situazioni; la destinazione di piano dell’area non equivale a far diventare opera pubblica le attrezzature su di essa realizzate; le opere realizzate in base alle DIA sono correlate, funzionalmente e fisicamente, alle opere realizzate in base a concessione, e vanno valutate in abbinamento e non parcellizzate.

Le parti hanno dimesso memorie (l’appellante anche in replica), illustrando ulteriormente le rispettive tesi.

La causa è stata posta in decisone all’udienza del 28 gennaio 2011.
Motivi della decisione

Il primo motivo si appunta sulla soluzione data dalla sentenza impugnata alla questione della ascrivibilità o meno della realizzazione della c.d. nuova piastra, ossia dell’ampliamento del complesso ospedaliero Cliniche Gavazzeni, alla categoria delle "opere di urbanizzazione, eseguite anche da privati, in attuazione di strumenti urbanistici".

Sul punto, il T.A.R. riferisce, dapprima, la tesi della ricorrente, secondo la quale "tratterebbesi di opere di urbanizzazione in quanto: a) l’art. 16, comma 8, del D.P.R. 380 del 2001 (che riproduce la disposizione già prevista dalla legge 847 del 1964), nell’enumerare le opere di urbanizzazione secondaria, menziona le attrezzature sanitarie; b) la legge regionale 15 aprile 1975, n. 51, annovera tra le dotazioni minime per il conteggio degli standards le attrezzature, anche private, di interesse generale, regolate da apposito atto di asservimento o regolamento d’uso, redatti in conformità alle indicazioni del Piano dei servizi; c) l’art. 16 delle N.T.A. del piano regolatore generale include i servizi di assistenza sanitaria tra le opere di urbanizzazione secondaria; d) l’art. 26 delle N.T.A. del piano regolatore generale, nello specificare in dettaglio i servizi sanitari, menziona anche le cliniche. La ricorrente evidenzia inoltre che lo strumento urbanistico vigente classifica l’area su cui sorge la clinica ad area a servizi e attrezzature pubblici o di uso pubblico con destinazione specifica Sh, Servizi ospedalieri e sanitari".

Tanto premesso, la sentenza considera che "affinchè possa trovare applicazione la disposizione invocata non è sufficiente la generica sussumibilità degli interventi nell’ambito delle opere di urbanizzazione. Anche se è possibile in linea di principio qualificare una struttura sanitaria privata come opera di urbanizzazione secondaria, non si può tuttavia trascurare che non tutte le opere di urbanizzazione sono esenti dal contributo concessorio, ma solo quelle eseguite "in attuazione di strumenti urbanistici". In questo caso con la gratuità si è inteso incentivare solo la dotazione di quelle infrastrutture che danno ordinata e coerente attuazione alle previsioni urbanistiche espressamente previste dall’Autorità comunale. Pertanto affinchè possa qualificarsi un intervento come "opera di urbanizzazione eseguita in attuazione di strumenti urbanistici" è necessario che, oltre a potersi qualificare opera di urbanizzazione, sia specificamente indicata nello strumento urbanistico, corrispondendo ad una precisa indicazione dello stesso".

Dopo aver posto tali, condivisibili, premesse concettuali di carattere generale, il T.A.R. ritiene che "nel caso di specie le previsioni del piano regolatore invocate dal ricorrente dimostrano che gli interventi sorgono su aree con destinazione specifica a servizi ospedalieri e sanitari, per le quali vi è quindi senz’altro la compatibilità urbanistica; mancano, tuttavia, specifiche prescrizioni degli strumenti urbanistici che prevedano il necessario compimento di tali opere; e ciò senza considerare che, in questo caso, esse non consistono nella realizzazione di nuove strutture ma nell’ampliamento e nella ristrutturazione di strutture sanitarie private già esistenti e funzionanti e, quindi, nella trasformazione edilizia del complesso rispondente ad esigenze organizzative della proprietà e non già nella esecuzione di nuove opere di urbanizzazione (non previste dallo strumento urbanistico).".

A detta valutazione non può aderirsi.

Il concretarsi dell’ipotesi di esenzione dal contributo concessorio ex art. 17, comma 3, lett. c), del D.P.R. n. 380 del 2001, ora considerata, si riscontra in presenza di opere classificabili come di urbanizzazione, purchè esse siano realizzate, anche da privati, "in attuazione di strumenti urbanistici". Rileva, dunque, ed è sufficiente, non ponendo la norma altre condizioni, che l’opera attui, ossia ponga in essere, quanto previsto dallo strumento, realizzando la configurazione di opere di urbanizzazione in esso contemplata.

Nella specie può considerarsi pacifico che il PRG prevedesse una destinazione a servizi e attrezzature di proprietà pubblica o privata ma di uso pubblico, nell’accezione specifica di "servizi ospedalieri e sanitari" (Sh), stabilendo i corrispondenti indici, all’interno dei quali l’ampliamento realizzato si colloca. Risulta, quindi, riduttivo parlare di sola conformità urbanistica dell’opera, atteso che essa comporta, oltre che, ovviamente, una trasformazione rispondente agli intendimenti della proprietà, anche, al contempo, la traduzione in opera di quanto previsto dallo strumento urbanistico in punto destinazione a strutture di urbanizzazione secondaria e relativo dimensionamento.

Sulla riconducibilità al novero delle urbanizzazioni secondarie delle strutture sanitarie private si concorda con la sentenza; del resto l’ipotesi di esonero considerata nella seconda parte dell’art. 17, co 3, lett c) D.P.R. cit è testualmente riferita ad opere di urbanizzazione eseguite anche da privati, coerentemente con l’intento di agevolare la realizzazione di opere di urbanizzazione e di evitare un illogico addebito al privato realizzatore di queste di contributi per opere di urbanizzazione che, in parte, egli stesso contribuisce a creare.

Argomenti in contrario non si rinvengono nelle difese dell’amministrazione appellata, che si limita, sul punto, ad osservare che la conformità tra quanto edificato e le previsioni urbanistiche comporta la legittimità dell’intervento edilizio ma non rende qualificabili le attrezzature come opere pubbliche.

Non può, infine, considerarsi determinante la circostanza che non si tratti nella specie della costruzione di una nuova clinica ma della realizzazione di un ampliamento, medesima essendo la funzione ospedaliera.

Spettano, quindi, per la realizzazione della c.d. nuova piastra l’esenzione dal contributo e la restituzione del contributo già corrisposto

Quanto detto circa l’ampliamento ha influenza anche in relazione all’ulteriore aspetto della debenza di contributi relativi alle opere realizzate nella parte preesistente della struttura, che va esclusa.

Non viene contestato che si tratti di opere meramente interne, ossia che il preesistente edifico permanga, nello stato modificato di cui alle tre DIA, inalterato quanto a superficie, sagoma, prospetti, destinazione sanitaria, ma si sottolinea nelle difese del Comune ed è stato considerato dai primi giudici che dai progetti oggetto delle denunce di inizio attività risulta che tali opere sono il necessario completamento alle trasformazioni che hanno ridisegnato il complesso delle cliniche attraverso la realizzazione della nuova piastra; le opere, configuranti un insieme unitario, devono, quindi, secondo la sentenza, essere considerate congiuntamente per qualificare la tipologia dell’intervento, ai fini della valutazione della sua incidenza territoriale e del relativo regime contributivo.

La considerazione unitaria dei lavori che, come puntualizza la sentenza, sono stati realizzati "per stralci, con diversi titoli abilitativi richiesti a brevi intervalli di tempo (il permesso di costruire è della fine del 2001, mentre le tre denunce di inizio attività sono del 2002 e del 2003)", non può, peraltro, contrariamente all’avviso del T.A.R., condurre a ritenere dovuti i contributi per le opere di cui alle DIA.

Il maggior carico urbanistico è indotto dall’ampliamento che ha consentito di introdurre nuove funzioni, tra cui il pronto soccorso, ed a questo va ricondotto, rimanendo indifferente la distribuzione interna delle varie funzioni tra il preesistente edifico e la nuova "piastra", ossia la traslazione nel nuovo edificio di funzioni prima esercitate nelle preesistenti volumetrie, rifunzionalizzate per accogliere le nuove funzioni sanitarie, trattandosi di aspetto che attiene alla organizzazione dei lavori edili e della attività sanitaria, ma rimane indifferente sul piano urbanistico, essendo, sì, il carico complessivo aumentato ma, appunto, in dipendenza dell’aumento volumetrico generato dall’ampliamento.

Se, quindi, l’ampliamento, che determina il maggior carico urbanistico, non è soggetto, come detto in precedenza, a contributo, non può sostenersi che esso vada applicato alle opere interne nello stabile preesistente, senza incorrere in una duplicazione che non ha ragion d’essere; né può ipotizzarsi che il maggior carico urbanistico derivante dalle nuove funzioni sanitarie non comporti contributo ove esse siano allocate nella nuova piastra di ampliamento e lo imponga, invece, ove quelle stesse funzioni siano collocate nella parte preesistente del complesso, poiché la soluzione allocativa prescelta è neutra sotto il profilo urbanistico.

L’appello va, pertanto, accolto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ed, in riforma della sentenza in epigrafe, annulla i provvedimenti impugnati col ricorso di primo grado e condanna il Comune di Bergamo a restituire i contributi versati dall’appellante.

Condanna il Comune di Bergamo, in persona del Sindaco pro tempore, a rifondere alla controparte le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 6.000 (comprensivi di onorari), oltre i.v.a. e c.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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