Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-09-2011, n. 18285 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

che F.F., con ricorso del 28 giugno 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo undici motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Genova depositato in data 12 giugno 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del F. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale ha concluso per l’inammissibilità e per l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 5.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, oltre alle spese del giudizio, liquidate in Euro 900,00;

che resiste, con controricorso illustrato da memoria, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di giustizia, per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 16 febbraio 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) il F. si era insinuato, quale creditore, al passivo del Fallimento della s.r.l. Capital Italia con ricorso dell’agosto 1992;

b) l’equo indennizzo, a fronte della durata complessiva della procedura fallimentare pari a circa diciassette anni, doveva rapportarsi alla durata irragionevole della stessa procedura pari a nove anni;

che la Corte d’Appello di Genova, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in dodici anni circa la durata ragionevole della procedura fallimentare in questione, in ragione del fatto che, nel corso di tale procedura, sono stati promossi un giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento ed un giudizio di opposizione allo stato passivo protrattosi nei tre gradi, calcolando quindi in tre anni la durata ragionevole della procedura fallimentare ed aggiungendo a tale periodo l’ulteriore periodo di nove anni per la definizione di detti procedimenti incidentali (quattro anni per il giudizio di primo grado, tre anni per il giudizio di appello e due anni per il giudizio di legittimità) – ha determinato il periodo di irragionevole durata del giudizio presupposto in cinque anni circa, ha liquidato l’equo indennizzo nella misura di Euro 5.000,00, sulla base della somma annua di Euro 1.000,00, ed ha liquidato le spese del giudizio sulla base della tariffa relativa ai procedimenti speciali;

che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso;

che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.
Motivi della decisione

che, con i numerosi motivi di censura – che possono essere esaminati per gruppi di questioni vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) i criteri di determinazione della durata irragionevole della procedura fallimentare che, nella specie, avrebbero dovuto condurre ad un periodo di irragionevole durata pari a nove anni; b) i criteri di determinazione dell’equo indennizzo che, nella specie, avrebbero comportato un indennizzo annuo di Euro 1.500,00; c) i criteri di determinazione delle spese del giudizio che, nella specie, avrebbero dovuto riferirsi ai procedimenti contenziosi ;

che le censure sub a) sono manifestamente fondate alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla durata delle procedure fallimentari che, secondo lo standard ricavabile dalle pronunce della Corte europea, non dovrebbe superare la durata complessiva di sette anni (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 22408 e 8047 del 2010), ciò in quanto, tenendo conto della peculiarità del procedimento fallimentare, il termine di tre anni, che può ritenersi normale in procedura di media complessità, è stato ritenuto elevabile fino a sette anni allorquando – come nella specie – il procedimento si presenti particolarmente complesso (cfr. la sentenza n. 20549 del 2009), ipotesi questa che è ravvisabile in presenza di un numero particolarmente elevato dei creditori, di una particolare natura o situazione giuridica dei beni da liquidare (partecipazioni societarie, beni indivisi, ecc.), della proliferazione di giudizi connessi alla procedura ma autonomi e quindi a loro volta di durata vincolata alla complessità del caso, della pluralità di procedure concorsuali interdipendenti;

che, pertanto, il decreto impugnato – che, in violazione di tali principi, ha determinato in dodici anni i circa la durata ragionevole della procedura fallimentare in questione – deve essere annullato;

che le censure sub b) e sub c) sono consequenzialmente assorbite;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo fallimentare presupposto de quo è pacificamente durato circa diciassette anni, sicchè, detratti sette anni di ragionevole durata, esso ha avuto la durata irragionevole di circa dieci anni;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va equitativamente determinato, per la ricorrente, in Euro 9.250,00 per i dieci anni circa di irragionevole ritardo (Euro 750,00 annui, per i primi tre anni di irragionevole durata, ed Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4^, e B, par. 1^, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento al ricorrente della somma di Euro 9.250,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Giunio Massa, dichiaratosene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Massa, dichiaratosene antistatario.

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