Cons. Stato Sez. V, Sent., 12-05-2011, n. 2833 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

renzoni;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 302/1999 il T.R.G.A. di Trento ha respinto il ricorso proposto da E. C. avverso gli atti con cui la provincia autonoma di Trento ha negato l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria in ordine alla realizzazione di una baita di montagna nel comune di Pelugo e ha ordinato la demolizione dell’opera.

E. C. ha proposto ricorso in appello per i motivi che saranno di seguito esaminati.

La provincia autonoma di Trento si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 1610/2010 questa Sezione ha respinto la richiesta di sospensione dell’efficacia dell’impugnata sentenza.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla verifica della legittimità dei provvedimenti negativi, adottati dalla provincia autonoma di Trento con riferimento alla richiesta di rilascio di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria relativa ad una baita di montagna realizzata dal signor E. C. nel comune di Pelugo.

Il giudice di primo grado, dopo aver ricordato analogo precedente conclusosi in senso sfavorevole per il ricorrente sempre relativo al tentativo di recupero di altro rudere come baita di montagna, ha evidenziato come lo stesso P.d.F. del comune di Pelago invocato dal ricorrente consenta il solo recupero del preesistente a condizione che si disponga di una adeguata documentazione anche di altezze e cubature e che comunque prevalgono i criteri di tutela ambientale contenuti nel P.U.P..

L’appellante deduce che in sede di tutela paesaggistica non si possono richiamare norme urbanistiche, che era consentita la ricostruzione di edifici di cui fosse documentata la preesistenza e che le caratteristiche della baita erano conformi a quelle tradizionali e alle altre edificazioni esistenti nella zona.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono privi di fondamento.

Va in primo luogo evidenziato che nel caso di specie si tratta di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria, relativa quindi ad un intervento in zona vincolata realizzato abusivamente senza la preesistenza del titolo abilitativo.

In questi casi la giurisprudenza, pur avendo escluso i dubbi sulla stessa ammissibilità in astratto della autorizzazione paesaggistica in sanatoria, ha evidenziato che ogni valutazione di compatibilità paesaggistica di un intervento presuppone una comparazione tra la situazione antecedente all’intervento e l’impatto derivante dall’edificazione e che, in caso di autorizzazione postuma, l’amministrazione deve essere posta in grado di effettuare tale comparazione da parte dell’interessato, su cui grava l’onere di produrre la documentazione relativa alla condizione dei luoghi antecedente l’intervento; il giudizio dovrà essere conseguentemente negativo laddove detto raffronto non si riveli possibile stante il mancato assolvimento del descritto onere da parte del privato, così come nel caso in cui la realizzazione dell’opera abbia eliminato o cancellato il bene tutelato (v., fra tutte, Cons. Stato, VI, 22 dicembre 2004, n. 8188; 4 dicembre 2000, n. 6469; 9 ottobre 2000, n. 5373, relative al sistema previgente l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 42/2004, il cui contenuto, anche in relazione alle successive modifiche, non assume rilievo ratione temporis nel caso di specie).

La giurisprudenza ha, in sostanza, dato risposta all’obiezione secondo cui una volta modificato lo stato dei luoghi, diventa difficile, se non impossibile, ricostruire la situazione precedente all’intervento e, quindi, valutare la sua compatibilità con il vincolo paesaggistico.

La risposta positiva all’ammissibilità dell’autorizzazione postuma pone, tuttavia, come già detto, a carico del richiedente l’onere di dimostrare la situazione preesistente e la sussistenza dei presupposti per valutare la compatibilità paesaggistica.

Nel caso di specie, l’amministrazione ha correttamente ritenuto che l’intervento fosse assimilabile ad una costruzione ex novo, in quanto la documentazione allegata alla istanza non è idonea a dimostrare adeguatamente la preesistenza del fabbricato nella sua consistenza planovolumetrica e tipologica, essendo minime le tracce di un preesistente rudere.

Con la memoria del 16 febbraio 2011, la provincia richiama a tal fine le fotografie n. 2 e 3 del suo fascicolo di primo grado per sostenere come non vi fosse traccia significativa del preesistente edificio e in effetti tali fotografie, la cui riferibilità ai luoghi di causa non è stata contestata dall’appellante, non contengono evidenti tracce dell’edificio preesistente e soprattutto delle caratteristiche dello stesso.

In presenza di tali tracce (comunque minime, se non inesistenti) la realizzazione dell’intervento in assenza di valido titolo abilitativo ha posto a carico del privato l’onere di dimostrare la preesistenza del fabbricato e la sua compatibilità paesaggistica; tale onere non è stato assolto per le ragioni anzidette e ciò costituisce un elemento preclusivo per l’accoglimento della sua domanda, anche prescindendo dalle altre questioni sollevate, inerenti il rapporto con le previsioni urbanistiche

In una situazione al limite sotto il profilo della prova della preesistenza del fabbricato, era doveroso, come del resto lo è in ogni altra occasione, il rispetto delle previsioni di legge e l’acquisizione di un valido titolo abilitativo prima di modificare lo stato dei luoghi; l’appellante ha, invece, scelto la strada di intervenire sui luoghi senza autorizzazione, assumendosi il rischio di una valutazione negativa di incompatibilità dell’opera, fondata anche sulla difficoltà di ricostruire l’originario stato dei luoghi.

Si rileva, infine, che alcun rilievo assumono le successive istanze di condono presentate dal ricorrente e l’ulteriore contenzioso pendente, relativo ad atti successivi a quelli di causa.

3. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore della amministrazione appellata, delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 5.000,00, oltre Iva e C.P.;

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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