Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-04-2011) 11-05-2011, n. 18628 Misure alternative

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 28.09.2010 il Tribunale di Sorveglianza di Messina rigettava l’istanza proposta da P.A. volta alla sospensione della esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147 c.p. ed all’applicazione in suo favore della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter comma 1 O.P., con l’argomento che gli accertamenti medici peritali avevano escluso l’incompatibilità delle patologie denunciate dalla istante, soprattutto di natura oculistica, con il regime di detenzione carceraria.

Propone ricorso per cassazione il P., con l’assistenza del difensore di fiducia, chiedendo l’annullamento della impugnata ordinanza perchè viziata, secondo prospettazione difensiva, da difetto di motivazione. Deduce, in particolare la difesa ricorrente, che:

– il Tribunale avrebbe equivocato e travisato circostanze relative alla vicenda detentiva dell’istante;

– in particolare il Tribunale avrebbe imputato la mancata fruizione della detenzione domiciliare presso l’ospedale oculistico di Monza, concessa con precedente provvedimento dell’autorità di sorveglianza di L’Aquila, alla volontà dell’interessato, il quale avrebbe preferito al ricovero la sua traduzione ad un carcere calabrese vicino alla residenza abituale;

– in realtà la mancata esecuzione di quel provvedimento trova giustificazione nella documentata mancanza di posti letto presso l’ospedale monzese;

– del pari il rifiuto del ricovero presso altro ospedale per visite specialistiche trova giustificazione nella visita in carcere della figlia minore e malata del detenuto, il quale diede prevalenza a tale significativa opportunità familiare;

– il Tribunale è pervenuto alla sua decisione molto valorizzando le sintetizzate circostanze peraltro, come detto, travisandole;

– non risulta adeguatamente delibata la gravità delle patologie oculistiche e la valutazione definitiva di compatibilità delle patologie dette con il regime detentivo non risulta motivato in relazione alla sofferenza aggiuntiva che la patologia detta determina in costanza di stato detentivo, secondo i noti criteri giurisprudenziali in tema di trattamento contrario al senso di umanità. 2. Il P.G. in sede, con motivata requisitoria scritta, concludeva per la inammissibilità dell’impugnazione.

3. La doglianza è infondata.

3.1 L’ordinanza impugnata si appalesa motivata in termini giuridicamente corretti e logicamente coerenti. Va preliminarmente chiarito che il differimento della pena, secondo la disciplina portata dagli artt. 146 e 147 c.p., può essere provvedimento necessitato ovvero facoltativo e ciò, evidentemente, sulla base della ricorrenza o meno di determinati requisiti. Nel caso in esame il giudice a quo ha rigettato l’istanza del ricorrente sulla semplice considerazione che le risultanze diagnostiche peritali erano nel senso della compatibilità delle condizioni di salute dell’interessato con lo stato di detenzione. Siffatta affermazione, peraltro, è stata poi supportata dalla descrizione delle patologie riscontrate, e dalla motivazione a sostegno delle conclusioni riportate, per le quali si esclude che nel caso di specie ricorra sia l’ipotesi di differimento obbligatorio disciplinato dall’art. 146 c.p., n. 3, peraltro non richiesto dall’interessato, sia quella del differimento facoltativo di cui al successivo art. 147 c.p., n. 2, posto che è proprio il requisito della incompatibilità detentiva con lo stato di salute dell’istante quello distintivo tra la prima e la seconda ipotesi, in cui il codificatore ha contemplato la fattispecie secondo la quale, pur potendosi astrattamente ritenere la compatibilità tra patologie accertate e stato di detenzione, purtuttavia la presenza di una "grave infermità fisica" può consentire il differimento di quest’ultima. Ne consegue che la questione di diritto posta dalla disciplina relativa al differimento facoltativo è quella di definire i confini della riconosciuta discrezionalità ("L’esecuzione della pena può essere differita" recita la norma di riferimento).

Orbene, sul punto non è mancata l’adeguata elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha ripetutamente affermato il principio che il giudice investito della delibazione della domanda per l’applicazione dell’art. 147 c.p. deve tener conto, indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità colle possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, anche dell’esigenza di non ledere comunque il fondamentale diritto alla salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dagli artt. 32 e 27 Cost., circostanza questa che ricorre, ad esempio, allorchè, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di detenzione, le condizioni di salute accertate diano luogo ad una sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla privazione dello stato di libertà in sè e per sè considerata, in conseguenza della quale l’esecuzione della pena risulti incompatibile coi richiamati principi costituzionali (cfr. Cass., Sez. 1A, 28/09/2005, n. 36856; Sez. 1A, 28.10.1999, Ira). E ciò considerando, inoltre, che detta sofferenza aggiuntiva è comunque inevitabile ogni qual volta la pena debba essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni di salute, di tal che essa può assumere rilievo solo quando si appalesi, presumibilmente, di entità tale – in rapporto appunto alla particolare gravità di dette condizioni – da superare i limiti della umana tollerabilità (Cass., Sez. 1A, 20.05.2003, n. 26026; 10.12.2008, n. 48203).

3.2 Ciò posto sul piano dei principi e da essi transitando all’esame del fatto concreto, osserva la Corte che il giudice a quo ha indicato adeguatamente le ragioni del diniego impugnato e sul punto la motivazione non è censurabile dappoichè corretta giuridicamente e logica nel suo dipanarsi argomentativi, come dimostrato dalla sintesi innanzi riportata, dalla quale emerge, sulla base di una specifica relazione medica, ancorchè implicitamente ma senza margine di dubbio, che deve escludersi, nella fattispecie, sia la incompatibilità tra detenzione carceraria e patologie in atto, sia la ricorrenza nello specifico di quella sofferenza aggiuntiva oltre i limiti di sopportabilità giustificativa dell’applicazione della invocata disciplina di favore.

Alla stregua di quanto sin qui esposto, il ricorso deve pertanto essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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