Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-04-2011) 11-05-2011, n. 18585 Armi da fuoco e da sparo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il dì 11 giugno 2010 la Corte di Appello di Torino, in parziale riforma, quanto alla pena, della sentenza resa dal GIP del Tribunale della stessa sede a carico di P.A. e D.L.M., condannava entrambi gli imputati alla pena di anni due di reclusione ed Euro 200,00 di multa, perchè giudicati colpevoli dei reati di cui all’art. 81 c.p., comma 1, L. n. 110 del 1975, art. 23, comma 2, e art. 697 c.p., per aver detenuto e portato in luogo pubblico una rivoltella marca BBM, modello "Olimpie 38", calibro 380 e due rivoltelle trasformate, tutte, da pistole a salve ad armi vere e, quindi, clandestine e per aver detenuto n. 17 cartucce, calibro 22, atte all’impiego. In (OMISSIS).

A sostegno della decisione la Corte distrettuale, al pari del giudice di prime cure, poneva: a) l’arresto in flagranza di reato degli imputati, avvenuto il (OMISSIS), in seguito ad un controllo di polizia dell’autovettura sulla quale gli stessi viaggiavano ed a bordo della quale vennero rinvenute e sequestrate le armi per le quali è causa; b) le intercettazioni ambientali effettuate sull’auto in questione (intestata ad altri) nell’ambito di altro procedimento penale, nel corso delle quali le persone presenti a bordo discutevano esplicitamente di armi e munizioni, commentando le caratteristiche di quelle in possesso, c) la perizia balistica sulle armi in sequestro.

2. Avverso la sentenza di appello ricorrono per cassazione gli imputati, personalmente il P. ed assistito dal difensore di fiducia il D.L..

2.1.1 Nell’interesse di quest’ultimo, la difesa ricorrente illustra tre motivi di impugnazione, col primo dei quali denuncia violazione di legge in relazione alla norma incriminatrice, sul rilievo che le armi in sequestro erroneamente sono state qualificate come armi clandestine, giacchè in realtà, come pacificamente accertato dalla perizia balistica, armi a salve trasformate e, quindi, armi semplicemente alterate.

L’ipotesi in esame, sempre secondo assunto difensivo, non è contemplata dalla L. n. 110 del 1975, art. 23, che elenca un numerus clausus di fattispecie oltre le quali all’interprete non è consentito andare, risolvendosi, diversamente opinando, l’interpretazione estensiva della norma in una interpretazione analogica in malam partem non consentita dall’ordinamento.

Può tutt’al più richiamarsi, alla fattispecie in esame, l’ipotesi astratta contemplata dalla citata Legge, art. 3, ove è sanzionata la condotta appunto dell’alterazione dell’arma, senza per questo definirla clandestina.

2.1.2 Con il secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione della legge processuale in relazione alla disciplina relativa al giudizio immediato, in particolare deducendo la violazione dell’art. 453 c.p.p., osservando che:

– risulta agli atti che nel caso di specie sia stato chiesto il giudizio immediato, ma la richiesta è stata effettuata un anno dopo l’arresto e si fonda sull’acquisizione delle intercettazioni eseguite all’interno dell’autovettura, intercettazioni disposte nell’ambito di altro e diverso procedimento penale ed unite al presente procedimento soltanto il 9.6.2009, eppertanto ben oltre i 90 giorni dall’iscrizione dell’imputato nel registro degli indagati;

– siffatto ritardo rende inutilizzabili le intercettazioni medesime;

– altresì illegittimo deve ritenersi il ricorso al giudizio immediato allo scadere del termine massimo a disposizione per lo svolgimento delle indagini preliminari, sia per la violazioni dei diritti di libertà dell’imputato detenuto, sia per la ristrettezza dei termini difensivi;

– è pur vero che l’imputato è stato giudicato nelle forme del giudizio abbreviato, ma ciò non può rilevare nella ipotesi il cui tale rito speciale si innesti sull’originario procedimento immediato, giacchè ciò che non era utilizzabile in questo processo non può diventare utilizzabile in quello successivamente richiesto;

– se diversamente interpretate le norme di cui all’art. 453 e 438 c.p.p., deve ritenersi non manifestamente infondata la questione di costituzionalità di dette norme, là dove incidono pesantemente nei diritti difensivi e, quindi, sui principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost..

2.1.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione sul rilievo che, immotivatamente, avrebbero i giudici di merito ritenuto non credibili le dichiarazioni del coimputato P., il quale ha escluso la responsabilità del coimputato; che il D.L. non ha partecipato alla modificazione delle armi e neppure all’acquisto delle stesse; che la Corte distrettuale non avrebbe considerato le diffuse argomentazioni difensive.

2.2 P.A.A., come detto, personalmente, illustra due motivi di impugnazione, denunciando, sotto il profilo del difetto di motivazione, la mancata concessione delle attenuanti generiche ed, altresì, sotto il punto della violazione di legge, la mancata concessione dei benefici di legge.

3. Le doglianze sono infondate.

3.1 Quanto al primo motivo del ricorso proposto nell’interesse del D.L., osserva la Corte che, per il combinato disposto della L. n. 110 del 1975, artt. 2, 11 e 23, anche una pistola a salve poi trasformata in arma da sparo è sottoposta all’obbligo dell’immatricolazione, per cui per integrare il reato di detenzione di arma clandestina non è necessario, come difensivamente assunto, che il possessore ne abbia cancellato il numero di matricola, essendo sufficiente che questo non risulti apposto (Cass., Sez. 6, 25/03/1992, per la ipotesi di pistola ad aria compressa, Cass., Sez. 1, 18/03/1991, per ipotesi di arma giocattolo trasformata; Cass., Sez. 1, 26/09/1995, n. 4606 in generale).

L’esposto principio peraltro, come annotato costantemente affermato con lezione interpretativa di questa Corte, trova sicuro fondamento nel tenore letterale della norma di riferimento, la quale al comma 1, n. 2, esplicitamente considera arma clandestina quella sprovvista dei numeri, dei contrassegni e delle sigle di cui al precedente art. 11, norma quest’ultima che disciplina modi e termini per rendere non clandestine le armi prodotte nel nostro Paese e sprovviste dei numeri e dei contrassegni anzidetti (comma 8, prima ipotesi ivi elencata).

E’ appena il caso di osservare che l’ipotesi di cui all’art. 3 è invece riferibile ad armi inizialmente fornite di caratteristiche proprie di quelle da sparo e non già di quelle giocattolo poi divenute armi in senso proprio. Ma anche a voler sostenere il contrario, l’interprete si troverebbe a delibare condotte diverse, se del caso entrambe imputabili in concorso, attesa la diversità delle condotte descritte dalle due norme incriminatrici e la diversità delle finalità perseguite con esse dal legislatore.

3.2 Del tutto eccentrica rispetto alla motivazione ed alla decisione impugnata si appalesa, altresì, il secondo motivo illustrato dalla difesa del D.L..

Ed invero l’imputato è stato giudicato nelle forme, dal medesimo liberamente scelte, del giudizio abbreviato, con la conseguenza che nessun rilievo riferibile alla legittimità ed alla ritualità del giudizio immediato, inizialmente richiesto dal P.M., può venire in considerazione nell’ambito del processo concretamente esperito, di natura e con disciplina del tutto diverse.

Quanto, in particolare, alla invocata inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali raccolte in diverso processo, inutilizzabilità fondata sul ritardo con cui le stesse sarebbero state acquisite al processo in riscontro alle regole proprie del giudizio immediato ( art. 453 c.p., termine di giorni 90 ivi previsto) osserva la Corte che la disciplina di rigore appartiene ad un rito diverso da quello di cui all’art. 438 c.p.p. e segg. e che la fattispecie in esame non sfugge alla regola, secondo cui il "giudizio abbreviato costituisce un procedimento "a prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del "dibattimento". Tuttavia tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessi, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano nè l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 c.p.p., con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 c.p.p. (in quanto il tal caso il vizio- sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), nè le ipotesi di inutilizzabilità "relativa" stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatoria dell’inutilizzabilità cosiddetta "patologica", inerente, cioè, agli atti probatori assunti "contra legem", la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonchè le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito (Cass., Sez. Unite, 21/06/2000, n. 16, Tammaro).

Il richiamo alla nota lezione appena riportata consente poi di escludere rilevanza e fondamento, ancorchè nei termini della non manifesta infondatezza, alla questione di costituzionalità proposta dalla difesa ricorrente, considerato che quella del giudizio abbreviato è scelta della stessa parte privata, la quale ben può considerare diverse ipotesi processuali, rimesse alla sua libera determinazione, se intenzionata a far valere vizi procedurali non propronibili nel giudizio celebrato nelle forme speciali dette.

3.3. Con riferimento poi al terzo motivo di impugnazione osserva la Corte che la doglianza è manifestamente infondata. Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Consegue da tale principio, secondo costante insegnamento di questa Corte, che ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata. Di merito è infatti la valutazione probatoria delle dichiarazioni del coimputato invocata dalla difesa a fronte di quella di non credibilità accreditata dai giudicanti, di merito è la valorizzazione difensiva di circostanze fattuali riferibili all’imputato a fronte della motivata interpretazione delle intercettazioni ambientali oggettivamente in contrasto con la tesi difensiva.

Generica si appalesa nel resto la censura del ricorrente, giacchè non individuati specificamente i profili processuali favorevoli all’imputato non considerati dalla motivazione impugnata, dati i quali, per riverberare nel difetto di motivazione, devono avere capacità probante tale da mettere in dubbio il motivato giudizio di colpevolezza ed i fondamenti fattuali sui quali i giudicanti hanno articolato il sillogismo decisionale.

3.4 Quanto, infine, alle censure del ricorrente P., richiama la Corte i propri ricorrenti insegnamenti.

In tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. 2, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. 2, 02/12/2008, n. 2769) giacchè il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322). Ciò premesso ed in applicazione degli esposti principi deve concludersi che, ai fini dell’applicabilità o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, assolve all’obbligo della motivazione della sentenza il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, ritenuti di particolare rilievo come elementi concreti della di lui personalità, non essendo affatto necessario che il giudice di merito compia una specifica disamina di tutti gli elementi che possono consigliare o meno una particolare mitezza neirirrogazione della pena (Cass., Sez. 5, 06/09/2002, n.30284;

Cass., Sez. 2, 11/02/2010, n. 18158) ovvero, il che è lo stesso, la gravità della condotta giudicata.

Nel caso di specie la Corte ha dapprima illustrato le ragioni della doglianza e ad esse ha poi opposto, negativamente per l’imputato P. il suo comportamento processuale, volto pervicacemente ad alterare i da i fattuali posti a giudizio, col fine di escludere la responsabilità del coimputato. Ciò posto nessuna censura nè di legittimità nè di insufficienza motivazionale può muoversi alla deduzione sintetizzata.

Del pari in ordine alla mancata concessione dei benefici di legge è noto che il giudice di merito, nel valutare la concedibilità della sospensione condizionale della pena, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi indicati nell’art. 133 c.p. ma può limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti (Cass., Sez. 3, 17/11/2009, n. 6641. Nella specie la Corte ha ritenuto esaustiva la motivazione della esclusione del beneficio fondata sul riferimento ai precedenti penali dell’imputato).

Orbene, nel caso di specie la Corte territoriale ha argomentato assai più incisivamente, dappoichè ha logicamente dedotto dalla condotta giudicata l’inserimento dell’imputato in equivoci circuiti criminali incompatibili con una prognosi positiva in ordine al futuro comportamento dell’interessato, prognosi comportamentale e necessaria, come è noto, per legittimamente riconoscere in favore dell’imputato richiedente i benefici in parola.

4. Alla stregua delle esposte argomentazioni i ricorsi devono pertanto essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

La Corte, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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