Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 27-04-2011) 11-05-2011, n. 18581 Eccesso colposo Scriminanti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il 13.11.2008 il GUP del Tribunale di Catania, all’esito di procedimento articolatosi nelle forme del giudizio abbreviato, condannava L.R.S., applicate le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni dodici di reclusione ed a quelle accessorie, perchè giudicato colpevole del reato di cui all’art. 575 c.p. e art. 577 c.p., comma 1, nn. 2 e 4, per aver cagionato la morte di S.A.S., con il quale era in antica ruggine, colpendolo alla testa con una piccozza da muratore della lunghezza di circa 50 cm., in seguito ad un violento alterco per ragioni di vicinato ed all’uso di parti comuni delle relative proprietà; fatto accaduto in (OMISSIS) e decesso intervenuto il (OMISSIS) successivo.

A sostegno della condanna il GUP del tribunale etneo poneva gli accertamenti di P.G. sul luogo del delitto, le indagini medico-legali sul corpo della vittima, le dichiarazioni dell’imputato e le testimonianze rese dai comuni familiari della vittima e del prevenuto, rispettivamente nipote e zio, i quali, ancorchè non de visu, ad eccezione della moglie della vittima, viceversa teste oculare dell’azione delittuosa, seguirono comunque i momenti concitati del litigio e della successiva condotta omicidiaria presso le rispettive abitazioni ovvero perchè comunque nei pressi per ragioni di lavoro, dappoichè i protagonisti della vicenda ed i testi escussi abitavano in uno stesso contesto di luogo, in immobili tra loro vicini. Il giudice di prime cure perveniva alla sua decisione argomentando nel senso; della non credibilità dell’imputato, che avrebbe dato dei fatti di causa tre versioni diverse in tre circostanze processuali distinte; della non totale credibilità della moglie della vittima perchè di parte; e molto considerando la testimonianza di S.C., cognato dell’imputato e zio della vittima, il quale aveva riferito di aver seguito lo scambio di invettive tra il cognato ed il nipote, di aver percepito minacce proferite dal nipote stesso, di aver sentito il cognato gridare all’indirizzo del nipote "non ti avvicinare" e subito dopo le grida ed il pianto della moglie della vittima.

2. Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello la difesa dell’imputato sostenendo: che il L. aveva agito in stato di legittima difesa, quanto meno putativa ovvero colposa ex art. 55 c.p.; che era legittimo invocare comunque il dubbio in ordine alla sussistenza dell’invocata esimente, a tanto inducendo le risultanze dibattimentali; che nella fattispecie, in via gradata rispetto ai precedenti rilievi, andava riconosciuta l’attenuante della provocazione; che il trattamento sanzionatorio appariva eccessivamente severo anche per la mancata applicazione, nella massima estensione possibile, della diminuzione di pena connessa alla concessione delle attenuanti generiche. La Corte territoriale rigettava tutti i motivi di gravame e confermava la pronuncia di prime cure, peraltro modificando, rispetto a questa, la ricostruzione dei fatti di causa. Il GUP infatti, dando maggior credito, come detto, alla testimonianza resa da S.C., aveva valutato i fatti ritenendo che, dopo l’iniziale alterco provocato comunque dalle proteste dell’imputato verso la vittima per l’occupazione da parte di questa, con un mezzo agricolo, di una parte di strada di cui rivendicava la piena proprietà, la vittima aveva minacciato il prevenuto, di poi tentando di avvicinarglisi nonostante la contraria intimazione a non farlo, di guisa che la reazione dell’imputato sarebbe stata quella di colpire l’antagonista, giovane e prestante, col piccone al solo scopo, secondo versione difensiva, negato però dal giudicante, di difendersi.

La Corte territoriale, invece, riteneva non credibile la testimonianza di S.C. e questo perchè il teste, dopo i fatti di causa, si sarebbe adoperato per ottenere una testimonianza difensiva di tale B.G. al fine di provare, in negativo, la personalità della vittima, circostanza che proverebbe, per il giudice dell’appello, un interesse del teste a rappresentare una situazione fattuale favorevole all’imputato.

La stessa Corte, per contro, valorizzava le dichiarazioni testimoniali di C.Z.L., moglie della vittima, e questo perchè: a) la medesima è stata l’unica teste oculare dei fatti di causa; b) le sue dichiarazioni sono confermate dai rilievi di P.G. sul luogo del delitto ed in particolare dalla posizione delle tracce ematiche abbondantemente lasciate dalla ferita mortale inferta; c) le dichiarazioni della C. sono inoltre riscontrate dalle conclusioni medico legali secondo cui, dall’assenza sulla vittima di lesioni da difesa, si deduce che, verosimilmente, la vittima era stata colta di sorpresa dal suo aggressore; d) le dichiarazioni iniziali dell’imputato, che aveva attribuito alla moglie della vittima il colpo infertogli con la stessa arma del delitto al braccio, ferita riscontrata poi dai sanitari, sono state poi radicalmente mutate dall’imputato nelle successive dichiarazioni.

Ebbene, secondo il racconto dell’unica teste oculare, dopo l’alterco iniziale, violento e condito di insulti e minacce, i due si erano divisi, ognuno tornando alle proprie cose, in particolare la vittima guadagnando la propria abitazione, da dove poi era uscita pochi istanti dopo seguito dalla moglie; giunta la vittima all’altezza della casa dei L., la teste ha visto l’imputato uscire improvvisamente dalla stradina laterale limitrofa alla sua abitazione e, dopo aver mosso alcuni passi, colpire violentemente alla testa il S., che per questo non potè che accasciarsi a terra sanguinante. Sulla base di questa ricostruzione la Corte ha poi valutato le deduzioni difensive relative alla legittima difesa, nelle varie articolazioni innanzi sintetizzate, ed alla provocazione, negandone il fondamento e rigettando, nel contempo, le richieste in ordine al trattamento sanzionatorio in forza della ritenuta gravità della condotta, dell’efferatezza dell’azione omicidiaria e della sostanziale mitezza della sanzione inflitta tenuto conto delle esposte premesse. Appare opportuno aggiungere che la Corte di secondo grado, attraverso lo schema logico della doppia motivazione, ha altresì considerato le deduzioni difensive in ordine alla legittima difesa, piena, colposa, ovvero putativa ed all’attenuante della provocazione anche in riferimento ad una dinamica dell’omicidio corrispondente a quella accreditata in prime cure, negandone ugualmente la fondatezza sulla base di considerazioni giuridiche e logiche analoghe a quelle illustrate dal GUP. 3. Ricorre per Cassazione avverso detta pronuncia l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, illustrando quattro motivi di impugnazione.

3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione grave e diffuso, in particolare osservando che:

– le conclusioni del giudice dell’appello, desunte da una visione dello svolgimento dei fatti diametralmente opposta a quella accreditata in prime cure, si appalesano apodittiche ed illogiche;

– il GUP ha valorizzato la testimonianza di S.C. ed ha, nel contempo, negato credibilità a quella della moglie della vittima, con metodo di giudizio del tutto logico e coerente;

– di qui il rilievo che deve avere, ai fini del giudizio, la frase allarmata percepita dal teste predetto, "non ti avvicinare", rivolta dall’imputato, anziano e mal messo, all’indirizzo della vittima, giovane e prestante ed aduso all’uso della violenza fisica già innanzi sperimentata verso altri familiari;

– il diverso opinamento della Corte territoriale si fonda invece su un travisamento dei fatti, dappoichè il racconto di S.C., che si assume interessato in favore del prevenuto, in realtà fu offerto alla P.G. nell’imminenza dei fatti corrisponde a quello reso sul punto dall’imputato, con il quale non aveva avuto alcuna possibilità di concordare alcunchè;

– la testimonianza di C.Z.L., contrariamente all’assunto dei giudici di seconde cure, è invece priva di reali riscontri;

– la ricostruzione dei fatti offerta dalla C. e le due fasi in cui la teste li suddivide, è smentita non solo dalla testimonianza di S.C., ma anche da quella di S. S., che esclude di per sè i tempi necessari alla doppia fase stessa;

– anche le minacce ripetute della vittima all’imputato sono coerenti con la ricostruzione difensiva e contrastano con quella impugnata;

– dalla ricostruzione dei fatti conseguono le conclusioni accreditate difensivamente e con esse la fondatezza delle tesi difensive, quanto meno nella dimensione del dubbio, da risolvere in senso favorevole all’imputato a termini di legge.

3.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente violazione degli artt. 52 e 55 c.p., in particolare osservando che:

– il processo avrebbe accertato due circostanze di fatto, e cioè che S.A., dapprima con iattanza ed atteggiamento sprezzante e poi con minacce, ha tentato di aggredire fisicamente lo zio ed inoltre che questi non era nelle condizioni fisiche (documentate) di sottrarsi con la fuga allo scontro causato dalla vittima;

– non è possibile che il trauma certificato al gomito destro dell’imputato sia stato cagionato dalla C. con la stessa arma utilizzata per colpire il marito, perchè la piccozza avrebbe cagionato una ferita da taglio e da punta;

– credibile, invece, che quel trauma sia stato cagionato da una chiave stringitubi come dichiarato, non importa se tardivamente, dall’imputato, la stessa impugnata dalla vittima al momento dello scontro;

– la reazione difensiva dell’imputato, attese le circostanza di tempo, luogo, oggettive e soggettive, non contrasta con la nozione giuridica di adeguatezza come requisito della legittima difesa, tenuto conto che anche a mani nude possono cagionarsi lesioni mortali;

– in ogni caso, tenuto conto del carattere litigioso e violento della vittima, ampiamente documentato, vanno riconosciuti, nella fattispecie, i requisiti della legittima difesa putativa ed, in ogni caso, formidabili elementi di dubbio sulla sussistenza dell’esimente nelle forme attenuate dette, ivi comprendendo quella dell’eccesso colposo.

3.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 62 c.p., n. 2, in particolare osservando che:

– l’attenuante in parola trova conforto in fatti di causa pacificamente accertati quali: il carattere litigioso ed aggressivo della vittima, i pessimi rapporti tra essa e l’imputato per l’uso indebito che la vittima faceva delle parti comuni al fine di impedire il pieno esercizio della proprietà esclusiva (in particolare l’accesso attraverso il segnalato passo carrabile, impedito dal sostare indebito di mezzi agricoli da parte di S.A.); le minacce violente e gravi proferite da questi nel corso dell’alterco;

l’aggressività espressa dallo stesso al momento dei fatti a fronte dell’atteggiamento preoccupato dell’imputato espresso dall’invito a non avvicinarsi;

– le esposte circostanze fattuali evidenziano la sussistenza di tutti i requisiti richiesti dalla legge per il riconoscimento dell’attenuante della provocazione;

– il richiamo alle nozioni di proporzionalità e di adeguatezza tra fatto ingiusto e reazione delittuosa operato dai giudicanti appare errato, quanto meno nel richiamo alla proporzionalità;

– il L. ha reagito all’ennesimo sopruso del nipote, il quale, ancora una volta, gli aveva di fatto ostruito il passo carrabile di sua esclusiva pertinenza e che, alle sue rimostranze, aveva risposto con minacce e con un atteggiamento aggressivo.

3.4 Col quarto ed ultimo motivo di gravame denuncia la difesa ricorrente difetto di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorie, in particolare osservando che:

– l’imputato ha condotto una vita di lavoro senza mai incorrere nei rigori della legge;

– è provato che fosse persona non violenta e tranquilla;

– aveva tutte le ragioni per lamentarsi del comportamento prepotente del nipote;

– senza l’arroganza e la prepotente reazione della vittima nulla sarebbe successo;

– i parametri di cui all’art. 133 c.p. non sembra siano stati valutati adeguatamente;

– anche il P.G. di udienza aveva chiesto una riduzione della pena;

– il colpo mortale, la cui violenza ed i cui effetti sono stati valorizzati dal giudicante di secondo grado ai fini della confutazione delle domande difensive sulla pena, fu in realtà unico, a dimostrazione che non v’era nella condotta dell’imputato alcuna volontà omicida ma semplice esigenza di difendersi e l’esito della ferita mortale è stato frutto della causalità, insieme, del colpo e della zona attinta.

3.5 Il difensore delle parti civili ha fatto pervenire duplice memoria difensiva sostenendo diffusamente la correttezza logica e giuridica della sentenza impugnata.

4. Il ricorso è infondato.

Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Di qui il conseguente principio, costantemente affermato da questa istanza di giustizia, secondo cui, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02, Schiavone;

Cass. 6.05.03, Curcillo). Ciò posto non può non rilevarsi la natura diffusamente di merito dei rilievi difensivi offerti, col primo motivo di ricorso, alla delibazione della Corte, rilievi volti, essenzialmente, all’accredito di una dinamica dei fatti diversa da quella assunta dai giudicanti nella fase dell’appello, più favorevole all’imputato e posta come necessario presupposto logico delle tesi giuridiche poi illustrate in tema di legittima difesa, provocazione, ragionevole dubbio affidate al secondo ed al terzo motivo di impugnazione. Di merito è infatti la valutazione di maggiore o minore credibilità dei testi assunti nel processo ed alternativa a quella della Corte territoriale è la motivata conclusione della difesa secondo cui, la testimonianza di S. C., sarebbe credibile e riscontrata, a differenza di quella della C., moglie della vittima. Su tale punto la Corte di merito, nonostante il diverso opinamento difensivo, ha articolato una motivazione logica e coerente, assumendo: a) che la moglie della vittima è stata teste oculare, l’unica, degli accadimenti; b) che il suo rapporto di coniugio con la vittima la rendeva sospetta; c) che per questo le sue dichiarazioni andavano valutate con il necessario rigore; d) che dette dichiarazioni sono dotate di coerenza interna;

e) che le stesse sono coerenti con gli accertamenti di P.G. sullo stato dei luoghi ed in particolare con la posizione delle tracce ematiche lasciate dalla vittima; f) che tali dichiarazioni sono riscontrate, altresì, dagli esiti medico-legali, secondo cui l’assenza di segni difensivi sul corpo della vittima lascia presumere che l’aggressione fu proditoria ed inattesa; che lo stesso imputato in sede di prime dichiarazioni (poi sconfessate) ha riconosciuto di essere stato colpito al braccio dalla teste con la stessa arma utilizzata per colpire il marito. Alla valorizzazione, con argomenti logici, della testimonianza dell’unica teste oculare del ferimento mortale, la Corte territoriale ha poi giustapposto una altrettanto coerente e logica valutazione critica della testimonianza di S. C., dichiarato non del tutto credibile sia per il suo comportamento successivo ai fatti, allorchè si impegnò per acquisire testimonianze favorevoli all’imputato e sfavorevoli alla vittima, da utilizzare durante il processo, sia perchè in contrasto, la sua testimonianza, nella parte in cui avvalora la tesi pure esposta dall’imputato della intimazione a non avvicinarsi rivolta alla vittima, con gli esiti degli accertamenti medico legali e con la totale assenza, certa, di lesioni da difesa. Diffusamente, infine, ha la Corte di merito dimostrato la contraddittorietà delle dichiarazioni dell’imputato nelle varie fasi del processo e sempre in relazione a fatti e circostanze estremamente significativi per il riconoscimento del grado di colpevolezza da imputargli, da ciò desumendo, con logica coerente, la inattendibilità difensiva delle sue dichiarazioni. Quanto, in particolare, poi al secondo e terzo motivo di impugnazione, va pertanto sottolineato che le valutazioni giuridiche con essi illustrate, si fondano sulla prospettata ricostruzione alternativa della vicenda e vengono pertanto meno in uno con la sua denegata fondatezza. Sulla pena e quanto al quarto ed ultimo motivo di ricorso, osserva infine la Corte che trattasi, del pari, di doglianza manifestamente infondata.

In primo luogo l’imputato ha goduto della concessione delle circostanze attenuanti generiche in forza di quegli elementi di positiva valutazione della sua personalità che la difesa intende altresì porre a fondamento di un più benevolo trattamento sanzionatorio. La Corte di merito, inoltre, ha ritenuto la pena inflitta in prime cure non solo adeguata al fatto ed alle sue connotazioni giuridiche e criminali, ma addirittura "generosa" nei confronti dell’imputato.

La determinazione della pena infine, è operazione giuridica e processuale rimessa alla discrezionalità del giudicante, che attraverso essa esprime parte cospicua della sua stessa funzione, di guisa che la motivazione necessaria per dare ragione della sua decisione al riguardo può limitarsi a rapide considerazioni idonee a giustificarla (Cass., Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713; Cass., Sez. 2, 23/11/2005, n. 44322).

E’ d’altra parte nota la lezione di questa istanza di legittimità secondo cui la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per le circostanze del reato, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Cass., Sez. 2, 26/06/2009, n. 36245; Cass., Sez. 6, Sent, 12/06/2008, n. 35346; Cass., Sez. 1, Sent., 05/05/1995, n. 6677).

5. Il ricorso è, in definitiva, infondato ed al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalle parti civili, che si liquidano in Euro 4000,00, onorari compresi, oltre accessori come per legge per C. Z.L., in proprio e per il figlio minore, ed in Euro 5000,00, onorari compresi, oltre accessori come per legge, per S. R. e gli altri difesi dall’avv. Ciancio Paratore.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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