Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-04-2011) 11-05-2011, n. 18518 frodi alimentari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale di Torre Annunziata ha affermato la colpevolezza di S.F. in ordine al reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b), a lui ascritto perchè, in qualità di titolare dell’azienda agrituristica (OMISSIS), deteneva per la vendita 20 kg. di alimenti in cattivo stato di conservazione.

Il Tribunale ha accertato che nel frigo congelatore a pozzetto, collocato in un locale deposito attiguo al laboratorio cucina, erano conservati 20 Kg di alimenti surgelati (carne, prodotti ittici, ortaggi e legumi), invasi da brina, con evidenti macchie dovute al contatto con ghiaccio e custoditi all’interno di buste di cellophane del tipo "non per alimenti".

Il giudice di merito ha escluso che gli alimenti surgelati fossero destinati ad uso personale dell’imputato e della sua famiglia.

La sentenza ha affermato inoltre la sussistenza degli estremi del reato di cui alla L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. b), mentre ha escluso l’esistenza della fattispecie di cui alla lett. d) del predetto articolo, che aveva formato egualmente oggetto di contestazione.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con vari mezzi di annullamento il ricorrente denuncia:

1) Violazione ed errata applicazione degli art. 456 c.p.p., comma 1, art. 429 c.p.p., comma 2, e art. 185 c.p.p., comma 3.

Si osserva che nel capo di imputazione riportato nel decreto penale opposto era contestato al S. di avere, nella qualità di titolare dell’azienda agrituristica (OMISSIS), detenuto per la vendita 20 kg. di alimenti vari in cattivo stato di conservazione.

Reato accertato in (OMISSIS).

Nel decreto di giudizio immediato disposto dal G.I.P., a seguito dell’opposizione al decreto penale, veniva contestata invece la detenzione, al fine di porli in vendita, di svariati chilogrammi di ravioli in cattivo stato di conservazione presso l’esercizio commerciale di proprietà dell’imputato, sito in (OMISSIS);

fatto del (OMISSIS).

Il giudice del dibattimento, dopo aver rilevato la difformità del fatto contestato nel decreto di giudizio immediato rispetto a quello riportato nel decreto penale, ha disatteso la richiesta del difensore di ritrasmette gli atti al G.I.P. perchè procedesse alla rinnovazione del decreto di giudizio immediato ed ha invitato il P.M. a modificare il capo di imputazione sulla base degli atti già acquisiti nel corso delle indagini preliminari, disponendo la notifica del verbale per estratto all’imputato contumace.

Si deduce che, ai sensi delle disposizioni di cui si denuncia la violazione, il giudice avrebbe dovuto, invece, dichiarare la nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato e trasmette gli atti all’autorità che ha emanato l’atto nullo perchè provvedesse alla sua rinnovazione.

2) Illogica valutazione degli elementi indiziari a carico dell’imputato e conseguente illogicità della motivazione.

Si deduce, in estrema sintesi, che le risultanze delle dichiarazioni del teste addotto a discarico dalla difesa dell’imputato, che si riportano nel motivo di gravame, risultano in contrasto con le argomentazioni utilizzate nella sentenza per affermare che gli alimenti di cui alla contestazione erano destinati alla vendita o somministrazione a terzi, sicchè nel contrasto degli elementi di valutazione non poteva trovare applicazione la regola di giudizio dettata dall’art. 533 c.p.p., secondo la quale il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio.

3) Violazione ed errata applicazione della L. n. 283 del 1962, art. 5, lett. b).

Si deduce che per configurare il reato di cui alla disposizione citata occorre che la condotta incriminata sia concretamente idonea a offendere l’interesse tutelato dalla norma penale e cioè deve essere accertato che le modalità di conservazione siano in concreto idonee a mettere in pericolo la genuinità o l’igiene degli alimenti;

pericolo concreto di cui si contesta la sussistenza, in applicazione delle regole di comune esperienza, con riferimento alla conservazione degli alimenti di cui si tratta in normali buste di cellophane.

4) Carenza e insufficienza di motivazione in ordine alla determinazione della pena.

Si deduce che la pena pecuniaria inflitta è stata determinata in misura elevata senza un’adeguata motivazione ed è stata negata la concessione delle attenuanti generiche in base ai precedenti penali dell’imputato, che, però, riguardano condanne di altra natura. Si osserva che la pena deve assolvere ad una funzione rieducativa, con la conseguenza che la misura della stessa deve essere ponderata con cautela.

5) violazione ed errata applicazione dell’art. 535 c.p.p. e conseguente illogicità della motivazione. Si deduce che l’imputato è stato assolto da uno dei reato ascrittigli con la conseguenza che la condanna al pagamento delle spese processuali deve riferirsi al solo reato per il quale lo stesso ha riportato condanna.

Il ricorso non è fondato.

Preliminarmente la Corte osserva, pur non avendo tale questione di diritto formato oggetto di deduzione da parte del ricorrente, che la L. 30 aprile 1962, n. 283 non è inclusa tra quelle abrogate dalla L. n. 246 del 2005 e relativi decreti attuativi.

Questa Suprema Corte, infatti, si è già pronunciata sul punto (sez. 3^, 19.1.2011 n. 9276, Facchi) osservando, in via principale ed assorbente, che detta legge contiene norme modificative delle disposizioni del Testo Unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. n. 1265 del 1934 (codici e testi unici fatti generalmente salvi dall’effetto abrogativo).

Tanto premesso in ordine alla permanenza della fattispecie penale oggetto di imputazione, osserva la Corte, in relazione al primo motivo di gravame, che nel caso in esame è stato correttamente applicato il disposto degli art. 516 e 520 c.p.p..

Infatti, rilevato che il fatto oggetto di imputazione risultava diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio, il P.M. ha provveduto a modificare l’imputazione e si è proceduto alla contestazione all’imputato contumace con le forme previste dall’art. 520 c.p.p..

E’ appena il caso di ricordare sul punto il consolidato principio di diritto affermato dall’indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, secondo il quale "in tema di nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione di cui all’art. 516 c.p.p. e la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante di cui all’art. 517 c.p.p. possono essere effettuate dopo l’avvenuta apertura del dibattimento e prima dell’espletamento dell’istruzione dibattimentale, e dunque anche sulla sola base degli atti già acquisiti dal pubblico ministero nel corso dette indagini preliminari". (sez. un. n. 4 del 1999, Barbagallo. RV 212757; più di recente negli stessi sensi: sez. 6^, 22.9.2009 n. 44980, Nasso, RV 245284; sez. 1^, 14.5.2009 n. 24050, Di Girolamo, RV 243802).

E’ noto, con riferimento al secondo motivo di ricorso, che la previsione normativa della regola di giudizio, secondo la quale la colpevolezza deve risultare "al di là di ogni ragionevole dubbio", non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova, ma ha codificato il principio già elaborato dalla giurisprudenza, secondo il quale la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato, (sez. 2^, 2.4.2008 n. 16357, Crisiglione, RV 239795;

sez. 1^, 28.6.2006 n. 30402, Volpon, RV 234374).

Tale regola di giudizio, pertanto, non ha affatto limitato il potere – dovere del giudice di valutare liberamente il risultato probatorio, purchè detta valutazione risulti fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici.

Orbene, la sentenza impugnata ha correttamente applicato tale principio di diritto, avendo escluso che gli alimenti di cui si tratta fossero destinati ad uso personale dell’imputato, come sostenuto dalla teste indicata dalla difesa, in base a rilievi afferenti alla collocazione del congelatore in un locale attiguo al laboratorio cucina, alla quantità rilevante di prodotti congelati, proporzionata alla capacità ricettiva dell’agriturismo.

Sicchè la valutazione del dato probatorio si palesa fondata su una motivazione adeguata ed immune da vizi logici.

Nel resto te deduzioni del ricorrente sul punto costituiscono esclusivamente censure fattuali, con le quali si prospetta una diversa valutandone delle risultanze probatorie.

Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.

Osserva la Corte che, seppure appare corretta l’affermazione del ricorrente in punto di diritto, secondo la quale, per ritenere la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 5, lett. b), occorre accertare che il fatto contestato sia concretamente idoneo ad alterare la qualità e la genuinità delle sostanze alimentari (cfr. sez. 3^, 13.4.2007 n. 15049), la sentenza impugnata non risulta affatto in contrasto con tale principio di diritto.

Nel caso in esame, infatti, tale idoneità è stata concretamente accertata, poichè, a parte l’uso di buste di cellophane espressamente dichiarate "non per alimenti", e quindi presumibilmente idonee a cedere sostanze inquinanti, è stato concretamente accertato che gli alimenti si presentavano coperti di brina e con segni di bruciature, sicchè si palesa evidente il cattivo stato di conservazione degli stessi.

Con riferimento al quarto motivo di ricorso osserva la Corte che il diniego delle generiche è stato adeguatamente motivato mediante il riferimento ai precedenti dell’imputato, mentre quest’ultimo non risulta avere indicato alcun elemento per cui doveva ritenersi meritevole del beneficio richiesto.

Anche la misura della pena risulta adeguatamente motivata, considerato che è stata inflitta la pena pecuniaria, prevista alternativamente a quella detentiva, in misura di gran lunga inferiore alla media tra il minimo ed il massimo.

Sul punto le generiche argomentazioni in ordine alla funzione rieducativa della sanzione hanno poca attinenza con la misura della pena pecuniaria, per la cui determinazione, anche in aumento rispetto alla previsione edittale, deve tenersi conto dei criteri dettati dall’art. 133 bis c.p..

E’, infine, infondato l’ultimo motivo di gravame.

Ai sensi dell’art. 535 c.p.p., comma 1, "La sentenza di condanna pone a carico del condannato ti pagamento delle spese processuali".

La L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 67, comma 2, lett. a), ha soppresso, con decorrenza dal 4 luglio 2009, l’ulteriore espressione "relative ai reati cui la condanna si riferisce".

Sicchè correttamente la sentenza ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali nel loro complesso.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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