Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 06-04-2011) 11-05-2011, n. 18517 modi

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di S.G. in ordine ai reati:

a) di cui all’art. 334 c.p.;

b) di cui all’art. 349 cpv. c.p., a lui ascritti per avere sottratto l’auto Fiat 500 tg. (OMISSIS), sottoposta a sequestro e della quale era stato nominato custode, violando i sigilli apposti dall’autorità alla predetta auto. La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva eccepito la nullità della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e del decreto di citazione per il giudizio di primo grado effettuata per compiuta giacenza.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di norme processuali.
Motivi della decisione

Con un unico mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la nullità del giudizio di primo grado e vizi di motivazione della sentenza che ha rigettato l’eccezione sul punto.

Con il motivo di gravame si reiterano le deduzioni in ordine alla nullità della notifica dell’avviso di conclusioni delle indagini preliminari, per essere stata eseguita a mani del fratello nel luogo in cui il S. aveva formalmente la propria residenza, ma di fatto non vi abitava, essendosi trasferito presso la sua compagna, nonchè le deduzioni in ordine alla nullità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di primo grado, eseguita presso il medesimo indirizzo e perfezionatasi per compiuta giacenza dell’atto.

Si deduce che a seguito della notifica dell’estratto della sentenza di primo grado nel luogo ove l’imputato aveva la effettiva dimora lo stesso ha provveduto immediatamente a nominare un difensore di fiducia ed a eleggere domicilio, con ciò fornendo la prova che non aveva avuto cognizione in precedenza dell’imputazione contestatagli.

Si conclude affermando che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità del giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 604 c.p.p., comma 4, e, per l’effetto, si chiede l’annullamento di entrambe le pronunce di merito. Il ricorso è manifestamente infondato.

E’ noto che, secondo il consolidato principio di diritto affermato da questa Suprema Corte in tema di notificazioni, nel caso di consegna dell’atto a mani di persona convivente, come tale indicata nella relazione dell’ufficiale giudiziario, l’eccezione di nullità fondata sull’inesistenza del rapporto di convivenza può essere accolta solo quando il deducente fornisca una prova rigorosa in tal senso. A tal fine è inidonea la produzione di certificati anagrafici con indicazioni difformi dall’attestazione contenuta nella relata di notifica, considerato che la convivenza può essere anche solo temporanea e che la relativa nozione è comunque diversa da quella di coabitazione, (sez. 5^, 6.11.2009 n. 7399 del 2010, Capano, RV 246092; massime precedenti conformi: n. 11471 del 1997, RV 209217; n. 2183 del 1999, RV 214940; n. 9214 del 2005, RV 231487; n. 19035 del 2005, RV 231620; n. 30863 del 2006, RV 235236).

Orbene, il ricorrente non ha neppure chiesto, nel giudizio di appello, di provare che egli non abitava più nel luogo di residenza, dove peraltro il fratello, che ha ricevuto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, si è dichiarato "convivente", come rilevato nella sentenza impugnata e risulta dalla relazione di notifica.

Analoghe considerazioni valgono per la notifica del decreto di citazione per il giudizio, che risulta ritualmente eseguita per compiuta giacenza presso il predetto domicilio anagrafico dell’imputato, in assenza di qualsivoglia prova dell’effettivo trasferimento altrove del S..

Nè tale prova può essere fondata sulla successiva notifica dell’estratto contumaciale presso un altro indirizzo.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c..

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

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