T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 12-05-2011, n. 4134 Spettacoli e trattenimenti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

con l’atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente impugna il provvedimento con il quale, in data 20 gennaio 2011, il Questore di Roma gli ha vietato per anni due di accedere all’interno degli stadi e di tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale ove si disputano incontri di calcio a qualsiasi livello agonistico, amichevoli e per finalità benefiche, calendarizzati e pubblicizzati, ed agli spazi antistanti e comunque limitrofi agli stadi, "da due ore prima e sino a due ore dopo la conclusione" delle citate manifestazioni sportive, "oltre alle stazioni ferroviarie, caselli autostradali, scali aerei e marittimi, autogrill e a tutti quei luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle medesime competizioni…", chiedendone l’annullamento per violazione di legge (in particolare, art. 6 legge n. 401/1989 e art. 3 l. 241/90 per "difetto di motivazione in relazione alla pericolosità del ricorrente);

Ritenuto che le censure sollevate sono infondate, atteso che:

– la convalida del Pubblico Ministero – richiamata dal ricorrente – non investe il divieto di accesso agli stadi, ossia è estranea a tale decisione, riguardando esclusivamente l’obbligo di comparizione "nell’ufficio o comando di polizia competente", contemplato al comma 2 dell’art. 6 della legge n. 401 del 1989. Atteso che il suddetto obbligo – nel caso in esame – non è stato imposto, la previsione in argomento non è invocabile;

– il provvedimento di divieto di accesso agli stadi non presuppone sempre e comunque che sia intervenuta una denuncia o una condanna penale. Come espressamente disposto dall’art. 6, comma 1, della legge di cui trattasi, il Questore può disporre il divieto di accesso agli stadi anche nei confronti delle persone che – non denunciate o condannate – hanno "preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza". La previsione della possibilità per il Questore di impartire il divieto de quo anche in tali circostanze e, dunque, in carenza dell’instaurazione di un procedimento penale non appare in contrasto con prescrizioni di rango costituzionale, tenuto conto che tale possibilità è – in ogni caso – condizionata dall’avvenuta commissione di specifici fatti, sicuramente in contrasto con l’interesse della tutela dell’incolumità personale e dell’ordine pubblico. Del resto, non va dimenticato che la misura del divieto di accesso agli impianti sportivi può essere disposta in caso non solo di accertata lesione, ma anche di pericolo di lesione dell’ordine pubblico, e, quindi, inequivocabilmente prescinde da un oggettivo e penalmente accertato fatto di violenza (cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 9074; C.d.S., Sez. VI, 16 dicembre 2010, n. 9074);

– come si evince da quanto riportato, l’art. 6 in argomento non impone indagini specifiche sulla pericolosità del soggetto, ossia non richiede alcun previo accertamento attinente – in generale -alla personalità del destinatario del provvedimento, di cui dare conto – in seguito – in quest’ultimo (cfr. anche TAR Umbria, Perugia, Sez. I, 15 dicembre 2009, n. 767). Ai sensi dell’art. 6, è, infatti, rilevante il mero accadimento di determinati fatti in occasione di manifestazioni sportive, comunque rivelatori – ex se – di pericolosità. In altri termini, tale norma contempla misure che risultano dirette ad eliminare non una generica pericolosità sociale del soggetto, ma quella specifica che deriva proprio dal verificarsi di determinate condotte in un ambito specifico (cfr., tra le altre, TAR Campania, Napoli, 13 settembre 2010, n. 17403). Preso atto delle peculiarità del regime introdotto dalla disposizione in esame, differente da quello delle misure di prevenzione (TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 11 marzo 2010, n. 567), la scelta operata dal legislatore rivela non disparità di trattamento ma semplicemente una restrizione imposta da una norma di legge, ispirata dalla necessità di offrire idonea salvaguardia ad interessi primari, quali l’incolumità personale, e, dunque, ben giustificata anche sotto il profilo della legittimità costituzionale;

Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere respinto;

Ritenuto, peraltro, che – anche in ragione dell’attività difensiva delle parti – sussistono giustificati motivi per disporre la compensazione tra quest’ultime delle spese di giudizio;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2575/2011, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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