Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-04-2011) 11-05-2011, n. 18564 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione N.U. avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza in data 25 marzo 2010 con la quale è stata confermata quella di primo grado, affermativa della sua responsabilità in ordine ai reati di ingiuria e diffamazione continuate in danno di L.P., fatti commessi tra (OMISSIS).

La pena inflitta al ricorrente è stata quella, calcolata tenendo conto della diminuente del rito abbreviato, di mesi 2 e gg 20 di reclusione, fissata in aumento rispetto al trattamento sanzionatorio irrogato relativamente ai reati – unificati nel vincolo della continuazione con quelli oggetto del presente processo – già giudicati con sentenza della Corte di appello di Potenza del 14 dicembre 2006.

La Corte ha osservato in proposito che la sospensione condizionale della pena, già riconosciuta con la precedente sentenza del 2006, sarebbe stata operativa anche in relazione alla presente condanna, relativamente alla quale, in aggiunta, concedeva anche l’indulto.

Deduce:

1) La violazione dell’art. 649 c.p.p., e il correlato vizio di motivazione.

La difesa ricorrente si ritiene insoddisfatta dalla decisione sul punto resa dalla Corte di appello.

Secondo tale giudice non vi sarebbe luogo a violazione del principio del ne bis in idem in quanto il prevenuto sarebbe stato giudicato, nel precedente processo conclusosi nel 2006, per fatti diversi e antecedenti a quelli oggi in esame.

Ed invece, come la stessa difesa avrebbe dimostrato con la documentazione prodotta in allegato ad una memoria depositata nel 2008, i fatti oggetto dei due processi sarebbero i medesimi.

Tanto deriverebbe dal fatto che le condotte contestate nel precedente processo sarebbero state imputate nella forma del reato permanente e cioè con condotta "perdurante".

Per la dimostrazione di tale asserto la difesa fa rinvio alla documentazione allegata alla detta memoria.

Anche il Tribunale di Potenza, nella sentenza del 2006, aveva dato atto in motivazione del carattere attuale e perseverante della condotta allora in giudizio.

Basterebbe infine notare che la sentenza del 2006 è posteriore alla consumazione dei fatti oggetto del presente procedimento.

In conclusione, stante la forma "aperta" della contestazione dei reati nel processo del 2006, dovrebbe pervenirsi alla conclusione – in applicazione della maggioritaria giurisprudenza di legittimità – che la consumazione del reato permanente cessò con la pronuncia della sentenza di primo grado e dunque nel 2006, comprendendo anche le condotte analoghe medio tempore poste in essere.

Addirittura, quello descritto, sarebbe una ipotesi di scuola di violazione del principio del ne bis in idem come rimodellato dalla sentenza delle Sezioni unite del 2005, prescindente persino dalla formazione di un precedente giudicato con riferimento ai medesimi fatti per i quali proceda la medesima Procura della Repubblica;

2) Inosservanza dell’art. 599 c.p.p..

E’ stata negata la causa di non punibilità della provocazione o della ritorsione sul presupposto che non risultava agli atti alcun comportamento in tal senso rilevante ad opera della persona offesa.

Ed invece erano state versate in atti alcune prove acquisite nel diverso processo, regolarmente versate in atti dalla difesa, attestanti il contrario. Attestanti, cioè, che la L. avrebbe agito come agente provocatore;

3) Il vizio di motivazione sul trattamento sanzionatorio.

Non è stata concessa la diminuente dell’art. 89 c.p. invece riconosciuta nel diverso processo e documentato con produzione della relativa perizia, versata in atti dalla difesa;

Ingiustamente ed in via subordinata, non sarebbe stata concessa quantomeno la attenuante della provocazione ex art. 62 c.p., n. 2;

la pena in continuazione è stata fissata in maniera macroscopicamente superiore (il doppio) a quella riconosciuta in aumento, per gli stessi reati, nel diverso processo;

ingiustificatamente erano state negate le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dello stato di incensuratezza del prevenuto;

quanto alla pena, questa, in origine di natura solo pecuniaria perchè relativa a reati di competenza del giudice di pace, era stata convertita in pena detentiva per operare il cumulo giuridico con quella già inflitta, ex art. 81 c.p.. Ma una simile determinazione avrebbe dovuto comportare il riconoscimento anche del beneficio della sospensione condizionale della pena e non quello dell’indulto, richiesto dalla difesa solo sul presupposto che sarebbe stata applicata una sanzione pecuniaria;

la pena inoltre era stata calcolata moltiplicando quella per il reato base (Euro 114) per quaranta ossia per il numero dei fatti di rilevanza penale. Così facendo era stato operato non un cumulo giuridico ma un cumulo materiale;

la pena per i reati in contestazione, infine, essendo per le ragioni dette, di natura pecuniaria, non avrebbe dovuto essere convertita in pena detentiva.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Il primo motivo è infondato.

La giurisprudenza evocata dal difensore sulla consumazione del reato permanente contestato in forma "aperta" non riguarda il caso di specie.

Essa attiene, per l’appunto, al reato permanente, ipotesi alla quale è del tutto estranea quella dei reati di diffamazione e ingiuria, oggetto del presente e del precedente processo.

I reati di ingiuria e diffamazione sono reati istantanei, la cui consumazione avviene cioè con la realizzazione dell’evento lesivo dell’onore o della reputazione e a nulla varrebbe in contrario una formulazione del capo di imputazione che potesse dare adito alla ipotesi che i reati in questione siano perduranti.

Mancherebbe, infatti, in siffatta ipotesi, quel dato di specificità della contestazione per cui si renderebbe impossibile la condanna per fatti non autonomamente enucleati nel capo di imputazione.

Il fatto che vengano poste in essere ripetute ed autonome condotte della stessa natura può rilevare, invece, nell’ottica del riconoscimento della continuazione e quindi, ove ne ricorrano i presupposti, della determinazione del trattamento sanzionatorio o della prognosi ex art. 163 c.p., ma non vale certo, come detto, a mutare la natura di ciascuna condotta penalmente rilevante.

Il secondo motivo è inammissibile.

Esso è formulato nel senso della assunta sussistenza di una causa di non punibilità senza che siano indicate, nei termini specifici e dettagliati richiesti dall’art. 581 c.p.p., le ragioni in fatto e in diritto sulle quali poggerebbe tale assunto.

Non è neanche descritta la fattispecie concreta che giustificherebbe tale richiesta, essendosi limitato il difensore ad affermare di avere prodotto la relativa prova al giudice di primo grado.

Fondato è invero il terzo motivo nei limiti di cui appresso.

Invero le prime quattro doglianze sono o formulate in termini generici in violazione dell’art. 581 c.p.p., (la prima e la seconda) oppure in termini inammissibili perchè consistenti nella sottoposizione al giudice della legittimità di una questione squisitamente di merito (la terza) oppure sono manifestamente infondate (non risulta che la Corte non abbia tenuto conto delle attenuanti generiche, avendo affermato in sentenza che queste risultavano già conteggiate con riferimento al reato assunto a base del calcolo della continuazione).

Neppure da accogliere è la censura sulla applicazione, in aumento, di una pena detentiva relativamente a reato satellite punito solo con pena pecuniaria posto che per tale computo il giudice deve aumentare la pena prevista per il reato base, perdendo il reato satellite ogni autonomia ai fini del calcolo ex art. 81 c.p. (Sez. U, Sentenza n. 15 del 26/11/1997 Cc. (dep. 03/02/1998) Rv. 209487).

Fondata è invece la censura riguardante la applicazione dell’indulto, in presenza di operatività della causa di estinzione della sospensione condizionale della pena.

La Corte di appello ha osservato infatti che la sospensione condizionale della pena è stata già concessa all’imputato con la sentenza del 2006 e che su tale statuizione non incide l’aumento di pena disposto nel presente processo.

Al riguardo, dunque, deve trovare applicazione il principio da ultimo affermato dalle Sezioni unite di questa Corte secondo cui con la sentenza di condanna, non può essere contestualmente applicato l’indulto e disposta la sospensione condizionale della pena, in quanto quest’ultimo beneficio prevale sul primo (Sez. U, Sentenza n. 36837 del 15/07/2010 Ud. (dep. 15/10/2010) Rv. 247940).

Valuterà la Corte di appello se ricorra in concreto la fattispecie astratta appena evocata.

La fondatezza del rilievo della difesa, sull’assenza di interesse all’applicazione dell’indulto, comporta la necessità di calcolare il termine di prescrizione nelle more decorso.

Sono ormai estinti per prescrizione tutti i fatti commessi fino al 30 settembre 2003 e tale causa di estinzione deve essere rilevata e dichiarata, dovendo i reati in continuazione essere considerati a tali fini autonomamente in base al nuovo testo dell’art. 158 c.p.p., comma 1 come novellato dalla L. n. 251 del 2005, novella che si applica al caso concreto in cui la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2008.

Il giudice del rinvio dovrà procedere al computo della pena relativa ai reati prescritti che dovrà essere eliminata e rideterminare la pena per gli altri reati.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente ai reati commessi fino al (OMISSIS) perchè estinti per prescrizione e con rinvio alla Corte d’Appello di Salerno per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio in ordine agli altri reati.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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