Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-09-2011, n. 18449 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.L. e C.A. proposero opposizione alla stima innanzi alla Corte di Appello di Ancona, in relazione alla indennità definitiva offerta dal Comune di Ascoli Piceno per l’esproprio di un loro terreno di mq. 820 sito in detto Comune, e dai predetti ritenuta incongrua, deducendo che il valore offerto (in L. 35.000 a mq.) fosse incongruo rispetto a quello effettivo (L. 145.000 a mq.) e che tampoco dovesse operarsi la riduzione del 40%. Si costituì il Comune deducendo che l’area aveva nel PRG destinazione a viabilità e parcheggi e osservando che gli espropriati avevano presentato nel 2001 dichiarazione ICI di valore coincidente con quello stimato ed offerto. La Corte di Appello ha respinto la domanda osservando che la CTU aveva individuato la indennità dovuta alla stregua del VAM ricavabile ex art. 16 della legge 865 del 1971, individuazione sulla quale il Comune aveva convenuto, che le conclusioni peritali erano però non condivisibili, posto che la destinazione del PRG del 1973 in ordine alla area de qua a viabilità e parcheggi (confermata dai piani PEEP e PPE successivi) evidenziava che l’area era inserita in un contesto esclusivamente edificatorio, in fatto attuato, che in tal senso militava l’insegnamento di S.U. 172 del 2001, che del resto lo stesso Comune nella relazione del proprio Ufficio aveva considerato l’area come edificabile, che nondimeno non era accoglibile la domanda diretta ad accertare la spettanza di una indennità superiore a quella determinata sulla base della stima della C.p.E., che infatti a ciò ostava la (eccepita) regola di riduzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 posto che nella specie gli attori avevano presentato in data 22.3.2001 (tardiva) dichiarazione ICI per un importo complessivo pari a quello offerto dal Comune in indennità provvisoria e quindi recepito nella indennità definitiva determinata nel Dicembre 2001. Per la cassazione di tale sentenza C.A. (essendo il coniuge S. deceduto) ha proposto ricorso il 6.12.2005 al quale si è opposto il Comune con controricorso 13.1.2006.
Motivi della decisione

Si duole la ricorrente, con il primo motivo, intitolato a violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 del fatto che il valore ostativo ex art. 16 citato sia stato fatto discendere da una dichiarazione ICI fatta sottoscrivere dal Comune dopo il deposito detta indennità di esproprio in tal guisa attingendo risultato iniquo . La ricorrente lamenta poi, come violazione dell’art. 5 bis, la mancata liquidazione dell’indennità al valore emergente ex actis e con il terzo motivo lamenta contraddittorietà di motivazione, in entrambi i mezzi indicando le corrette somme che si sarebbero dovute liquidare.

Ritiene il Collegio che, se secondo e terzo motivo sono privi di contenuto impugnatorio – dato che il decisum si è fermato alla constatazione del ruolo ostativo della denunzia ICI tardiva avente importo pari a quello liquidato anche se inferiore a quello spettante (ma non determinato) – e se essi sono pertanto ictu oculi inammissibili, non fondate sono le generiche censure contenute nel primo motivo.

La censura, infatti, che non considera espressamente mancante la dichiarazione ICI nè si lagna della irrisorietà della liquidazione rispetto a quella spettante (ed in tal modo non pone questione, rilevante in causa, di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16 nei termini sollevati dalla recente ord. SU 8489 del 2011) pone non chiare questioni di inefficacia della situazione ostativa alla liquidazione.

Non è dato infatti comprendere la ragione per la quale la denunzia tardiva ai fini ICI rassegnata dai danti causa della ricorrente non assumerebbe astratta idoneità preclusiva: da un canto, infatti, si sottolinea la sostanziale captazione della dichiarazione, quasi imposta dai funzionari comunali agli anziani proprietari, in termini di sovrapposizione pedissequa alla somma portata dalla indennità provvisoria previamente offerta; dall’altro canto si sottende che comunque la dichiarazione ICI successiva al deposito sarebbe affatto irrilevante nella logica sanzionatola della norma; ed infine si lamenta la iniquità del risultato attinto dalla Corte di merito. La prima prospettazione potrebbe, in tesi, preludere ad una pretesa di reputare viziata nell’elemento soggettivo la dichiarazione resa, ma in tal caso disvelerebbe tutta la sua inconsistenza, non scorgendosi quale rilevanza in sede di legittimità potrebbe assumere un vizio all’origine della dichiarazione nè conosciuto dal giudice del merito nè pervero allo stesso sottoposto.

La stessa prospettazione viene poi alternativamente posta sull’assunto della inidoneità a svolgere il previsto ruoto preclusivo di una denunzia presentata dopo la determinazione dell’indennità (alla stregua dell’indirizzo di questa Corte, richiamato anche nell’ordinanza di rimessione delle S.U. dianzi citata): ma la prospettazione non considera come la necessaria anteriorità della denunzia ICI va considerata con riguardo alla determinazione formale della indennità nel mentre nel caso in disamina la denunzia 22.3.2001 fu successiva alla sola offerta della indennità provvisoria e quindi ben anteriore alla ridetta determinazione formale (del Dicembre 2001).

La seconda, ulteriore prospettazione, parrebbe predicare la evidente inadeguatezza della indennità depositata ( in somma conforme a quanto anteriormente denunziato) rispetto al valore attribuibile (_ 49.484,36) al fondo ove la Corte di Appello le avesse – come affermato – liquidato quanto in dissenso dalla CTU avrebbe potuto liquidare: difetta però la affermazione della evidente dimostrazione di una irrisorietà della somma spettante sulla base del necessario ragguaglio alla somma denunziata, tale irrisorietà rappresentando il punto di rottura della tenuta costituzionale della norma (secondo la valutazione della ordinanza di remissione 8489/2011 di questa Corte più volte rammentata). In conclusione, la incertezza sulla portata della violazione dell’art. 16 denunziata nel motivo e la implausibilità di alcune delle alternative prospettazioni in esso contenute, induce a ritenere nella specie non rilevante la già sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 ed a rigettare il ricorso, affidato ad un ricorso articolato su motivi inammissibili od implausibili. Sussistono i giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese di giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *