Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-03-2011) 11-05-2011, n. 18503 Sanità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.E. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale il tribunale di Milano lo ha condannato alla pena di Euro 10.000 di ammenda ed al risarcimento del danno in favore della parte civile – provincia di Milano – per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 257, commi 1 e 2 in relazione all’art. 242 perchè, quale persona formalmente delegata per il fondo pensione COMIT, ometteva di effettuare la comunicazione agli uffici territorialmente competenti dell’accertamento di inquinamento storico della predetta area provocato da sostanze pericolose, nella specie idrocarburi con concentrazioni comunque superiore a 1000 mg/Kg.

Deduce in questa sede il ricorrente l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale rilevando che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto configurabile il reato di omessa comunicazione a suo carico. Al riguardo fa rilevare che l’art. 257, nell’attuale formulazione, distingue l’obbligo di bonifica dall’obbligo di comunicazione e, solo per il responsabile dell’inquinamento sanziona penalmente, con la norma in questione, la condotta di omessa bonifica e di omessa comunicazione.

A carico di esso ricorrente, in quanto proprietario del terreno incolpevole della contaminazione, non sarebbe, pertanto, configurabile alcun reato non potendosi ammettere in sede penale l’analogia in malam partem e ciò in quanto l’art. 257 farebbe inequivocabilmente riferimento esclusivamente alla persona che cagiona l’inquinamento richiamando anche espressamente l’articolo 242 dello stesso decreto legislativo anch’esso incentrato sull’autore della condotta di inquinamento.

Il ricorso è fondato.

Recita il D.Lgs. n. 152 del 2006, l’art. 257 (bonifica dei siti) comma 1:

1. Chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli art. 242 e segg.. In caso di mancata effettuazione della comunicazione di cui all’art. 242, il trasgressore è punito con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da mille euro a ventiseimila Euro.

L’art. 242 (procedure operative ed amministrative), richiamato dall’art. 257, al comma l, stabilisce a sua volta che:

1. Al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne da immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2. La medesima procedura si applica all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.

L’esame delle due disposizioni consente immediatamente di percepire che l’art. 257, comma 1 sanziona penalmente due ipotesi distinte:

l’omessa bonifica del sito inquinato e la mancata comunicazione dell’evento inquinante alle autorità competenti secondo le modalità indicate dall’art. 242.

In entrambi i casi il destinatario del precetto è tuttavia lo stesso e, cioè, colui il quale cagiona l’inquinamento.

Ad avvalorare tale conclusione sta il rilievo che l’art. 257, comma 1 non menziona altri soggetti e ciò benchè l’art. 242 preveda che la procedura di comunicazione debba trovare applicazione anche all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.

L’autonomia della posizione di colui il quale cagiona l’inquinamento rispetto a quella di colui il quale accerti la sussistenza di contaminazioni sul suolo è rimarcata dall’art. 245 che ha per oggetto gli obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione. Prevede infatti tale ultima disposizione:

1. Le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati non responsabili.

2. Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di cui all’art. 242, il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all’art. 242. (omissis).

Da quanto precede emerge che sotto il profilo formale l’obbligo di comunicazione per gli "interessati non responsabili" risiede in realtà nell’art. 245 e non già nell’art. 242 richiamato unicamente dall’art. 245 stesso per la disciplina degli aspetti procedimentali.

Per cui se il legislatore avesse voluto fare riferimento nell’art. 257 anche a coloro che non hanno cagionato l’inquinamento, come correttamente rilevato dal ricorrente, non solo avrebbe dovuto menzionare anche questi ultimi quali soggetti attivi del reato, ma necessariamente avrebbe dovuto fare riferimento all’art. 245 (e non art. 242) per individuare l’obbligo di comunicazione gravante su questi ultimi.

Il che non è.

Il tribunale motiva la soluzione prescelta evidenziando in premessa il carattere innovativo della nuova normativa in quanto nella vigenza del D.Lgs. n. 22 del 1997 il proprietario del sito non era tenuto agli interventi di messa in sicurezza e di bonifica di ripristino ambientale, nè aveva obblighi di comunicazione della situazione di inquinamento che avesse rilevato.

Fa altresì rilevare che le nuove disposizioni prevedono attraverso il richiamo all’art. 242 la medesima procedura da seguire sia per colui che ha cagionato l’inquinamento che per colui che si sia limitato a rilevarlo e sostiene l’irragionevolezza di sanzionare penalmente solo uno dei soggetti obbligati alla comunicazione, escludendo al contempo l’analogia in malam partem.

Il ragionamento, seppure fondato su premesse almeno in parte incontrovertibili, non può essere condiviso nelle conclusioni.

Si deve senz’altro concordare sulla circostanza che l’attuale normativa, a differenza della precedente, ha individuato anche per il proprietario del terreno che non abbia cagionato l’inquinamento, l’obbligo di comunicazione alle autorità preposte nel caso in cui si avveda di tale situazione.

In questo senso sembra in effetti orientata l’intera normativa di riferimento ed, in particolare, l’art. 245, comma 2 che, pure in apparente contrasto con il comma 1 – secondo il quale le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale possono essere comunque attivate su iniziativa degli interessati – stabilisce che il proprietario o il gestore dell’area che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento delle concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione ed agli altri enti menzionati.

Ma il riconoscimento dell’obbligo di comunicazione non può condurre all’automatica conclusione cui perviene il tribunale che ritiene applicabile anche per il caso in esame la disposizione dell’art. 257.

Al riguardo occorre anzitutto ricordare che in linea con le disposizioni della legge delega le sanzioni penali rappresentano solo uno dei rimedi previsti per contrastare il danno ambientale.

La L. 15 dicembre 2004, n. 308, recante la "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" all’art. 1, comma 9, lett. e) indicava la necessità di procedere contestualmente in più direzioni e, cioè, conseguire l’effettività delle sanzioni amministrative per danno ambientale mediante l’adeguamento delle procedure di irrogazione e delle sanzioni medesime; rivedere le procedure relative agli obblighi di ripristino, alfine di garantire l’efficacia delle prescrizioni delle autorità competenti e il risarcimento del danno; definire le modalità di quantificazione del danno; prevedere, oltre a sanzioni a carico dei soggetti che danneggiano l’ambiente, anche meccanismi premiali per coloro che assumono comportamenti ed effettuano investimenti per il miglioramento della qualità dell’ambiente sul territorio nazionale.

Il recepimento di tali principi ha portato alla formulazione dell’art. 311, comma 2 che, in particolare, prevede l’azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato per chiunque, realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza, o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto in parte.

E, dunque, il mancato adempimento all’obbligo di comunicazione per colui che non abbia cagionato l’inquinamento espone senz’altro l’autore della omissione alle conseguenze indicate dalla disposizione citata.

Il che vuoi dire che per l’omissione vi può essere comunque autonoma sanzione indipendentemente dalla applicazione delle disposizioni penali. Nè si può invocare l’irrazionalità dell’impianto normativo.

Ed invero sul piano dei principi potrebbe semmai destare perplessità un sistema che dovendo tra l’altro farsi carico di dare specifica attuazione al principio "chi inquina paga" prevedesse la medesima tipologia di intervento sanzionatorio per colui il quale si rende responsabile della condotta di inquinamento e che ha, quindi, in prima persona l’obbligo di elidere le conseguenze di quanto da lui stesso provocato e per colui che, invece, la situazione di inquinamento abbia per così dire "subito" accertandola occasionalmente in tempi successivi senza avervi dato comunque causa.

Sarebbe poi tutta da verificare la compatibilità della introduzione di una fattispecie di reato in precedenza mai prevista (il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51 bis si riferiva, infatti, solo a colui che cagiona l’inquinamento) con i limiti imposti dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308, recante la "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione" in relazione alla disposizione dell’art. 1, comma 8, lett. i) secondo cui:

8. I decreti legislativi di cui al comma 1 si conformano, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle competenze per materia delle amministrazioni statali, nonchè delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali … e del principio di sussidiarietà, ai seguenti principi e criteri direttivi generali:

(omissis) i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge;

(omissis).

In ogni caso si appalesa evidente rispetto alle conclusioni cui perviene il tribunale la lesione del principio che fa divieto dell’analogia in malam partem. Non sembra infatti in alcun modo possibile fare riferimento nel caso di specie alla nozione di interpretazione estensiva per giustificare l’opzione interpretativa del giudice di merito avuto riguardo alla disposizione dell’art. 257, comma 1.

Nella specie non si tratta, infatti, di individuare diversi significati letterali delle espressioni lessicali utilizzate dal legislatore o di dare concretezza ad una casistica esemplificativa ma di procedere nel senso di una vera e propria integrazione della norma penale con evidente vulnus per i principi di legalità e tassatività.

Peraltro questa Corte ha da tempo chiarito che con l’analogia, vietata in via di principio, non va confusa l’interpretazione estensiva, che si ha quando l’ambito di applicazione di una norma penale viene, per necessità logica e non per similitudine di rapporti, esteso ad un caso, che non essendo ivi previsto, si deve ritenere compreso nella norma stessa, risalendo all’intenzione del legislatore, cui si riferisce l’art. 12 disp. gen. (Sez. 4, n. 11380 del 27/04/1990 Rv. 185084).

Da quanto sopra deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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