Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 17-02-2011) 11-05-2011, n. 18557 Fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Il Tribunale di Firenze ha assolto – perchè il fatto non costituisce reato – in data 31.1.1997 L.A., curatore del fallimento STEI Int. Srl, e LI.Ro., avvocato della procedura concorsuale (nonchè F.G., di poi deceduto), avendo dichiarato estinti per prescrizione, con atto del 28.3.2007 altre imputazioni a carico dei predetti, dal reato di cui alla L. Fall., art. 228, in relazione ad una transazione conclusa con il creditore privilegiato Banca Nazionale del Lavoro. La decisione fu appellata sul punto dal Pubblico Ministero e dalla Parte civile, e la Corte d’Appello di Firenze in data 6.3.2009 dichiarò estinto per prescrizione il reato.

La vicenda rinviene la sua premessa nel fallimento della società che gestiva l’albergo (OMISSIS), procedura apertasi l’8.3.1995 in Firenze: procedura dalla gestione problematica poichè l’attivo era costituito dal solo immobile alberghiero, gravato da numerose ipoteche, a garanzia – soprattutto – dell’esposizione di BNL. I tentativi di vendita a mezzo di asta pubblica del bene non giunsero a risultato e si pervenne alla cessione del cespite, a trattativa privata, a favore di FEZIA GRANDI ALBERGHI Srl, iniziativa che la Corte di Cassazione dichiarò illegittima (seguendo, peraltro, un orientamento giurisprudenziale largamente maggioritario), dovendosi nell’ambito immobiliare procedere esclusivamente con asta pubblica (previsioni oggi superata dalla riforma della legge fallimentare).

Di qui il sorgere di molteplici vertenze tra BNL e la curatela relativamente alla cancellazione dell’ipoteca della creditrice si addivenne, quindi, alla vendita del bene, considerato quale "azienda alberghiera" e non più quale immobile, con significativo mutamento del peso delle garanzie che, prima, assistevano BNL. In siffatto contesto F.G., responsabile della società acquirente, delegò sia il curatore L. sia l’avv. LI. ad interessarsi ad incarichi professionali che riguardavano la sua posizione, incombenze che i due accettarono, nonostante il rapporto con la procedura concorsuale.

Sullo sfondo di questa situazione conflittuale, il pubblico ministero di Firenze – mediante un lunghissimo e "romanzesco" capo di imputazione che mirava ad una narrazione dei fatti, più che alla puntualizzazione dell’addebito (cfr. Sent. pag. 6-7) – appuntò la sua critica sull’esito della causa che contrappose il fallimento a Banca Nazionale lavoro e che sfociò in una transazione, caldeggiata dall’avv. LI., il quale, peraltro, al riguardo non aveva ricevuto espresso mandato dalla procedura, e per l’attrice, dall’avv. D.P.. Essa prefigurava la convenienza ad una intesa che consentisse la formulazione di un piano di riparto dell’attivo capace di liquidare alla creditrice BNL importo non inferiore a L. 32 miliardi, pari al valore del bene immobile (così obbligando alla formulazione di un piano di riparto modellato sulle esigenze del creditore, già assistito da ipoteca, non già sulla variazione proporzionale della somma da erogare al predetto).

L’intesa transattiva fu accolta ed autorizzata dal Tribunale, alla condizione che le spese legali fossero compensate tra le parti (luglio 1998): a seguito di essa il fallimento avrebbe ricevuto l’importo di L. 32 miliardi per la cessione dell’azienda alberghiera.

Dopo due mesi (settembre 1998) fu segnalata dal detto creditore, in ciò sostenuto di legale della procedura, l’opportunità che il fallimento versasse la somma di L. 250 milioni per il contributo nelle spese legali. Somme effettivamente versate (al termine del gennaio 1999), previa autorizzazione dell’organo concorsuale.

L’accusa addebitò agli attuali imputati – oltre a minori profili di indebito pagamento – non soltanto la condotta conflittuale con gli interessi della procedura, di cui si è detto, ma anche il conseguente danno per la procedura fallimentare di oltre L. 2 miliardi: in tal modo essi avrebbero evitato conseguenze patrimoniali ove il negozio concluso fosse stato annullato (come era del tutto ragionevole prevedere, in ragione della analoga interpretazione giurisprudenziale che pretendeva le medesime modalità di vendita immobiliare quando l’azienda comprendesse un cespite immobiliare), trattandosi di cessione a trattativa privata. Infatti, parte del cespite non era ipotecata e, quindi, non BNL non era legittimata a concorrere nel riparto – quanto alla porzione in cui risultava creditrice chirografaria – per quella somma.

Inoltre, indebito era "il maggior onere" fatto gravare sul fallimento per l’importo di L. 250.000.000, quale contributo alle spese legali.

2) Il processo penale pervenne in primo grado a sentenza di assoluzione degli imputati. Interposero appello sia il Pubblico Ministero sia la Parte civile, dolendosi sostanzialmente dell’assoluzione relativa alla violazione della L. Fall., art. 228 (cfr. Sent. pag. 4/5).

La Corte Territoriale, con lunga, talora polemica (ma non sempre chiara) argomentazione, è giunta ad escludere rilievo alle condotte afferenti alla vicenda transattiva, nel suo complesso, assegnando – invece – interesse alla erogazione della somma, addebitata alla procedura fallimentare, di L. 250.000.000, quale rimborso per spese legali, la cui erogazione fu deliberata con separato atto, privo di autorizzazione del Collegio, all’istituto di credito. Fra le righe la pronuncia lascia intendere che l’importo era destinato a sovvenire "non ostensibili" relazioni tra la Banca e l’avv. D.P., pur in assenza di un rapporto diretto tra la procedura e questo legale.

Pagamento favorito dalle conoscenze del D.P. con "chi disponeva … di adeguati agganci con chi decideva per il fallimento" (Sent. pag. 62). Uscita che, tuttavia coinvolgeva, a titolo di concorso di persona nel reato, innanzitutto, l’avv. LI. che era stato il diretto interlocutore del D.P. per l’intera transazione con BNL., ma trascinava con sè anche il curatore L. dal primo determinato alla commissione dell’illecito – soggetto attivo "proprio" – per avere firmato la proposta transattiva al riguardo e che addensava forti sospetti sul giudice delegato che diede, in seguito, l’autorizzazione al curatore al pagamento, tanto che la decisione si conclude con la trasmissione degli atti al PM. di Genova (cfr. pag. 62 e dispositivo).

Per un riguardo astratto la condotta era riportata al paradigma della L. Fall., art. 228, poichè il comportamento del curatore e del legale della procedura aveva portato un indebito profitto alla BNL, con danno per la massa dei creditori a cui era stato (in via di prededuzione) sottratta una porzione di attivo suscettibile di distribuzione. Reato, peraltro, insuscettibile di persecuzione penale, perchè estinto per prescrizione.

La decisione, infine, condannava gli imputati al risarcimento dei danni in favore della parte civile, procedura fallimentare condanna che si indirizzava anche verso il LI., il quale opponeva l’intervenuta revoca della costituzione di Parte civile nei suoi confronti.

Avverso la sentenza hanno presentato distinti ricorsi – la difesa di LI. che si duole: a) dell’errata dichiarazione dell’inesistenza della revoca della costituzione di parte civile, essendo detta revoca (qui allegata al ricorso) esistita e concordata con la (nuova) curatela del fallimento, la quale ha mantenuto, invece, la costituzione nei confronti del coimputati L. (e F.), sottolineando anche la mancata assunzione delle conclusioni, in sede dibattimentale, della Curatela verso il LI.;

b) della nullità della sentenza che ha condannato il LI. per un fatto diverso da quello originariamente contestato, con violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p..

– la difesa del L.:

a) della medesima censura formulata dal LI. sub b) attesa la modifica dei soggetti attivi, dell’interesse leso, nonchè della tipologia del vantaggio arrecato e della condotta illecita che giovò (nella sostanza) esclusivamente all’avv. D.P. (nuovo personaggio coinvolto) al di fuori delle personali cointeressenze, essendo uscito di scena il F. originariamente indicato come destinatario del vantaggio, con decisiva lesione del diritto di difesa;

b) carenza di motivazione poichè l’ipotesi accusatoria formulata dalla Corte fiorentina si fonda su ricostruzioni personali dell’estensore della decisione, senza il supporto di riscontri probatori di sorta alfine di accertare l’esatto svolgimento della vicenda.
Motivi della decisione

3) Per quanto attiene al primo motivo del LI. la Corte osserva che la cosiddetta "immanenza" della costituzione di parte civile viene meno in presenza sia della revoca espressa sia nei casi di revoca implicita previsti dall’art. 82 c.p.p., comma 2.

Tra essi è considerato il caso che non siano assunte le conclusioni scritte a mente dell’art. 523 c.p.p., comma 2 (atteggiamento che si riscontra anche nelle dichiarazioni rese all’odierna udienza dal patrono della Parte civile).

Il motivo è, dunque, fondato.

Il punto fu segnalato ai giudici di appello.

Dalla decisione impugnata si apprende, invero, che impropriamente la Parte Civile ebbe a confermare, nel rassegnare le conclusioni, la principale istanza di condanna degli imputati al risarcimento dei danni.

Ma tanto non poteva consentire di ritenere certamente espressa la volontà processuale dal momento che, al contempo, la Parte precisò che l’istanza era stata nominativamente indirizzata nei confronti del solo L., ed era stata espunta dalla richiesta il LI. (Sent. pag. 63/64).

Doveva, pertanto, dedursi come inequivoca la revoca della costituzione nei confronti del detto LI., anche alla luce della produzione del ricorrente che ha dimostrato come i relativi atti (formalmente regolari) già fossero (o dovessero essere) presenti nel fascicolo processuale.

La Corte pertanto annulla senza rinvio la sentenza limitatamente alla statuizione che condanna il LI. al riguardo.

4) Nel merito le ragioni addotte dai ricorsi rinvengono facilmente la ragione nella formulazione, sfocata e, secondo i ricorrenti, "bulimica" del capo d’accusa che – difettando di sintesi – omette di evidenziare i precisi punti d’accusa raccolti contro i prevenuti.

I motivi che lamentano una violazione delle regole che vietarono la condanna per fatto diverso da quello contestato sono infondati.

Per quel che qui interessa, il punto focale del quesito, come meglio si dirà oltre, non è più costituito dalla complessa vicenda e, segnatamente, dalla transazione intercorsa tra gli organi concorsuali e BNL: l’argomento è stato ampiamente esaminato e deciso dalla Corte fiorentina.

Non è, quindi, mestieri ripercorrere la lunga dissertazione sull’effettivo contenuto del precetto incriminatore, sulla natura del reato, sul requisito del danno che possa conseguire (con richiamo a Corte cost., 18 marzo 1999, n. 69, Carnevale). In sostanza, in tema di interesse privato del curatore, non può affremarzi la penale responsabilità nel riscontro della mera sovrapposizione dei piani di interesse, pubblico e privatistico, poichè rilievo penale assume soltanto quel comportamento che conduce alla lesione effettiva degli interessi della sfera concorsuale.

Le conclusioni assunte al riguardo non sono state oggetto di impugnazione e la soluzione assegnata dalla Corte d’Appello ha raggiunto la definitività. Non vi è dubbio che l’accertamento dell’esito lesivo si radica, nel caso che qui interessa, soltanto nell’uscita di denaro dall’economia della procedura, spesa ritenuta ingiustificata, per l’importo dei pretesi oneri legali fatti unilateralmente gravare sulla parte pubblica e non già al privato creditore, per di più al cospetto di diversa autorizzazione del tribunale fallimentare. Dunque, nell’uscita dall’economia della procedura concorsuale della somma di L. 250 milioni che i giudici di seconde cure hanno giudicato integrativa, ai soli fini della responsabilità patrimoniale degli imputati (attesa la già maturata prescrizione del reato).

Il Collegio non ravvisa mutazione dell’originario fatto, nel contesto della lettura fornita dalla sentenza impugnata alla vicenda.

Non deve trascurarsi che il fondamento basilare e connotativo del reato consiste nella presenza di interessi confliggenti con lo scopo pubblico perseguito: questa contrapposizione sottostante alle condotte censurate è rimasta invariata nella considerazione della Corte d’Appello ed, anzi, permane come dato invariato nel lungo e tortuoso percorso argomentativo.

La condotta che portò alla indebita erogazione di denaro fallimentare a favore della Banca creditrice (o al legale della medesima) altro non è, nello sviluppo motivazionale, che la riprova della "presa di interesse" del L..

E’ vero che essa era riposta in un ambito secondario del capo di accusa, sovrastata dalla ben più complessa e problematica valutazione della soluzione transattiva, oggetto di ben maggiore attenzione da parte del secondo giudice, ma risulta – del pari – certo che l’articolazione del capo di imputazione, per quanto formato da dilungata e discorsiva prosa, non separa l’episodio dal contesto del complessivo comportamento censurato (" L. e LI. generavano per la procedura un maggior onere di L. 250.000.000 corrispondente alla somma versata alla BNL per contributo di spese legali …" e dalle coordinate previste dalla L. Fall., art. 228, che individuano il comportamento illecito. La somma – oggetto materiale del reato – infatti, fu destinata alla banca creditrice (come ribadito dal L. nel ricorso) ed il fatto, che non risulti più interessato alla vicenda il F., non incide sull’economia dell’accusa poichè, in questa appendice, del tutto autonoma dal restante contesto del capo di accusa, il F. non viene menzionato come protagonista della condotta censurata.

5) Quanto al secondo motivo del L. (sul quale concorda il Procuratore Generale) – che si duole dell’assenza di opportune indagini per sostenere l’accusa – è facile replicare che i dati, su cui si è fondata la valutazione dei giudici di seconde cure, o sono di tipo documentale ovvero sono dalle parte incontestati. Certo essendo – che la procedura versò alla Banca Nazionale Lavoro la somma di L. 250 milioni, – che detta erogazione avvenne in un momento cronologicamente lontano dalla definizione transazione autorizzata dal giudice delegato, – che, inoltre, la spesa non fu assistita da regolare permesso del tribunale, – che il versamento fu reso a seguito di istanza del curatore con sottoscrizione dell’avv. Li., ecc..

Dunque, risultanze istruttorie già consacrate nell’incontrovertibile documentazione, non abbisognevole di ulteriore ragguaglio informativo.

I sospetti sulla condotta del giudice delegato non interferiscono con il presente giudizio (ed opportunamente sono stati delegati a separata vicenda processuale, come dimostra lo stralcio indirizzato al pubblico ministero di Genova).

In realtà, quello per cui il ricorrente si duole è la motivazione che ha avvinto queste risultanze e che ha portato – secondo la sua convinzione – per percorsi non fondati giuridicamente ad affacciare, in grado di appello, una diversa lettura delle carte. Ma a tanto non gioverebbe una ulteriore indagine di fatto, al cospetto del quadro ritraibile dalla vicenda e l’argomentazione resa, plausibile ed aderente al dato istruttorio, non presenta aspetti di irragionevolezza, tale da evidenziare vizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla condanna di LI.Ro. al risarcimento dei danni in favore della parte civile e delle spese da questa sostenute, statuizione che elimina.

Rigetta nel resto il ricorso del LI..

Rigetta il ricorso di L.A. e condanna il medesimo al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione di quelle sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.800 per onorari, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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